Come cambierà il Pd nel post segreteria Letta

Paola Alagia
13/09/2022

Non solo Bonaccini, pure la sinistra dem è pronta ad azzannare Letta, ritenuto colpevole del mancato accordo col M5s. Provenzano e Orlando sono in pole. Per una rivoluzione che potrebbe significare il superamento del Pd come lo abbiamo conosciuto fin qui.

Come cambierà il Pd nel post segreteria Letta

Anche se i sondaggi restano chiusi nei cassetti, al Nazareno la paura di un risultato deludente da ingoiare il 25 settembre rimane forte. E così come circolano sottotraccia le rilevazioni, altrettanto carbonari, almeno per ora, sono i movimenti che si registrano in casa Partito democratico. Nel mirino, naturalmente, c’è la segreteria di Enrico Letta. Dimissioni spontanee o “spintanee”, non ha importanza. Ma in entrambi i casi i dem non si faranno trovare impreparati. Reggenza a parte, che potrebbe toccare a uno dei due attuali vicesegretari Irene Tinagli o Peppe Provenzano, il partito lavora al dopo. E nella rosa dei successori non c’è solo l’eterno candidato Stefano Bonaccini, costretto a smentire di continuo, e non da ora, ipotetiche sue mire sul Nazareno. 

C’è anche la sinistra dem che si agita, ossia quei democratici che hanno vissuto con maggiore sofferenza il “divorzio” del Pd dal Movimento 5 stelle. Qui i nomi più gettonati per la successione a Letta sono sostanzialmente due al momento: lo stesso Provenzano o Andrea Orlando. Non a caso proprio il ministro del Lavoro, in un retroscena non smentito oggi su La Stampa, starebbe insistendo sulla necessità di indicare una prospettiva chiara agli elettori, vale a dire «un campo largo» che contempli di nuovo l’abbraccio anche con il M5s, realizzabile in una maggioranza di governo dopo il voto.

Come cambierà il Pd nel post segreteria Letta
Enrico Letta. (Getty)

Quel dialogo da tenere aperto con tutto il campo democratico

Un segnale che è un messaggio neanche tanto sibillino, visto che la campagna elettorale targata Letta è stata tutta nel segno di una chiusura totale ai cinque stelle. Del resto, il king maker democratico Goffredo Bettini in una recente intervista a il Manifesto a domanda secca sul dialogo con Giuseppe Conte ha risposto in maniera altrettanto nitida con un «il dialogo va tenuto aperto con tutto il campo democratico». E che dire, infine, del “like” del presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, a un video Instagram di Conte, seppure subito archiviato come «un errore» dal suo staff? 

Ma i segnali di una segreteria che traballa, in realtà, arrivano anche dall’esterno. Sono eloquenti a tal proposito le parole pronunciate dal leader pentastellato due giorni fa quando ha voluto sottolineare la preclusione dei cinque stelle non rispetto al Pd in generale, ma rispetto a «questi vertici nazionali»: «Laddove governiamo le città insieme al Pd manterremo l’impegno preso con gli elettori, ma per il futuro ci penseremo bene, non una ma tante volte, e soprattutto mai con questi vertici nazionali», ha detto.

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Andrea Orlando. (Getty)

In Direzione qualcuno alzerà la mano per rinfacciare l’addio al M5s

Insomma, per Letta sono giorni difficili. Al di là dei diversi errori che gli vengono imputati in questa campagna elettorale, però, quello che potrebbe pesare di più è proprio il mancato asse con i pentastellati. Tant’è che in diversi, come raccontano a Tag43, stanno aspettando l’analisi del voto post elezioni: «Più di di qualcuno è pronto ad alzare la mano in Direzione qualora da tale analisi dovesse emergere in maniera netta che l’alleanza al Sud coi cinque stelle avrebbe assicurato la vittoria in tutti i collegi». Attenzione, però, spiega un membro della Direzione dietro garanzia di anonimato, «troppo facile pensare che basti cambiare segretario per risolvere il problema. A parte che con Letta dovrebbero lasciare anche tutti i capi corrente che hanno spinto e avallato il divorzio dai cinque stelle. Ecco perché sono pronto a scommettere che nessuno oserà fiatare dopo il voto, visto che si contano sulle dite di una mano coloro che si sono opposti a questa linea». 

Da Dario Franceschini a Graziano Delrio fino a Orlando, quindi, «chi è senza peccato, scagli la prima pietra». Più facile, invece, che «la voce si levi dalle seconde file», continua la fonte, «e cioè dai territori dove in maniera pesante si sono vissute tutte le contraddizioni della campagna elettorale ed è stato più forte il disagio della frattura Pd-M5s».
Tra le fila dem c’è chi, a supporto di questa tesi, per esempio tira in ballo la fresca elezione a presidente della Provincia di Potenza di Christian Giordano: «Qui l’asse tra Pd, M5s e Articolo uno è risultato vincente. Abbiamo sconfitto le destre».

Come cambierà il Pd nel post segreteria Letta
Giuseppe Provenzano. (Getty)

Anche se il patto con Emiliano e De Luca vuole limitare pure i grillini

Ma c’è anche chi, in vista del voto – sempre il prossimo 25 settembre – per eleggere il nuovo governatore della Regione Lazio, principale laboratorio dell’alleanza tra dem e pentastellati, già affila le armi: «Sarò tra quelli che si farà sentire», anticipa un esponente dem romano a Tag43, «perché per me quest’alleanza che ha funzionato fino a ora non va archiviata». 

Certo, è vero pure che sui territori il quadro è abbastanza variegato. Prova ne è il patto partito da Taranto che il segretario Letta si è affrettato a stringere con i governatori della Puglia e della Campania, Michele Emiliano e Vincenzo De Luca, e finalizzata a contrastare, tra le altre, proprio l’avanzata dei cinque stelle. «Non è un’obiezione valida», ribatte. «Sono d’accordo che i territori non siano tutti uguali, ma proprio Emiliano e De Luca non fanno testo. Ricordano un po’ la parabola dei fratelli Pittella: ti sostengono sì, ma solo finché mantengono le loro posizioni…».

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Il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano (Getty)


Archiviato il blairismo, rinnegato il Jobs act, addio persino al concetto di Pd?

Una cosa è certa, però, tira le somme con Tag43 il piddino membro della Direzione, «qui c’entrano poco i destini personali, c’entra poco la sorte del segretario. È in gioco il futuro del Pd. Ecco perché c’è bisogno di una completa rigenerazione che coinvolga tutta la sinistra, incluso il mondo sindacale e l’associazionismo. Bisogna avere il coraggio di ammettere che il famoso “amalgama” ha portato solo a mediazioni estenuanti. È il momento di dire basta. Anche se questo dovesse implicare un superamento dello stesso Pd». Parole che se sommate a quelle di Orlando, che dal canto suo parla di «evento rifondativo del campo progressista», fanno intravedere più di una nube sotto il cielo del Nazareno. Archiviato il blairismo, rinnegato il Jobs act, insomma, dopo le politiche 2023 potrebbe anche finire in soffitta il Partito democratico. Almeno nella versione che abbiamo conosciuto fino a ora…