Il campo largo è diventato uno spazio immenso, talmente vasto che ci vuole immaginazione per pensare a come gestirlo. Così, il giorno dopo la scissione nel Movimento 5 stelle, il Partito democratico è chiamato a scegliere una rotta, a pensare come circoscrivere il perimetro degli interlocutori. Perché prima o poi bisognerà parlare di alleanze e compiere delle scelte. Al momento, il segretario del Pd, Enrico Letta, non sembra però intenzionato a modificare la sua strategia. Se potesse, farebbe finta di nulla rispetto alla spaccatura tra contiani e dimaiani. La linea, perciò, non cambia: vuole una coalizione con tutti dentro, dalla sinistra di Nicola Fratoianni ai centristi di Azione e Italia Viva. Incluso il Movimento 5 stelle di Giuseppe Conte e il nascente soggetto di Luigi Di Maio.

Una prospettiva che suscita qualche perplessità negli stessi ambienti dem. «È impossibile pensare che Conte e Di Maio siano nella stessa coalizione alle prossime elezioni pochi mesi dopo una rottura del genere», spiega a Tag43 una fonte interna dem. «È come», aggiunge, «se, facendo le dovute proporzioni, Bersani, dopo aver fatto la scissione, si fosse alleato con Renzi nel 2018». Anche tra i dirigenti di Base riformista (gli ex renziani guidati dal ministro della Difesa, Lorenzo Guerini), c’è chi, a microfoni spenti, chiede un chiarimento, una «riflessione» per decidere da che parte stare. Dai vertici della segreteria non arrivano segnali in tal senso. Come per le Amministrative e per qualsiasi passaggio delicato, Letta si muove con passo felpato, preferendo non farsi notare troppo nell’attesa dell’evoluzione degli eventi. Si va per immersione.

Ora la legge elettorale diventa una priorità
Ma l’impatto della scissione ha scosso anche la sinistra del Pd. La pressione sale sulla necessità di cambiare la legge elettorale. «È diventata una priorità, Letta deve spiegarlo ai cittadini che non è una questione decisiva, ma di qualità della nostra democrazia», ragionano dalle parti di chi spinge per un proporzionale puro. In questo modo ognuno si presenta con i propri simboli e le alleanze si decidono dopo lo scrutinio. Evitando di costruire prima una coalizione, compito notoriamente più complicato a pochi mesi dal voto. La spinta dovrebbe arrivare proprio da Letta, perché «qualcuno dovrà pur impegnarsi su questo dossier della legge elettorale», insistono nel Pd. D’altra parte c’è un punto non secondario: la riforma elettorale richiede un consenso ampio e trasversale, coinvolgendo il centrodestra. Se davvero Matteo Salvini dovesse insistere sul veto alle modifiche del Rosatellum, il sistema in vigore, ci sarebbe poco da fare. Si tornerebbe quindi al punto di partenza: scegliere con chi stare, delineare un perimetro delle alleanze.

La possibile virata barricadera di Conte preoccupa i dem
Non è un mistero che gli ex renziani, in testa il senatore Andrea Marcucci, preferirebbero guardare al centro, stringendo patti con Carlo Calenda, Matteo Renzi e, in fondo, anche con la nuova versione di Di Maio, quella moderata. Una strategia che resta indigesta a chi preferisce guardare a sinistra, come il vicesegretario, Peppe Provenzano, che non ama andare a braccetto con i liberal-democratici, lasciando indietro la sinistra. E pone delle questioni politiche: che si fa con il Reddito di cittadinanza, su cui Renzi è intenzionato a fare un referendum per chiederne l’abolizione? Anche in questo caso la risposta non è proprio semplice. Tuttavia, se Letta si trovasse con le spalle al muro non avrebbe dubbi: la scelta ricadrebbe su Conte, seguendo la rotta tracciata dal suo predecessore, Nicola Zingaretti. Una questione che ha alla base un ragionamento: l’avvocato di Volturara Appula si sta spostando più a sinistra – e non passa inosservata la liaison con i bersaniani – mentre Di Maio è orientato a dialogare con i settori centristi, compreso Giovanni Toti, che ha definitivamente abbandonato il progetto di Coraggio Italia. Resta, infine, da valutare un altro aspetto: comprendere quanto Conte sia davvero interessato a costruire qualcosa con i dem. La rottura definitiva con il ministro degli Esteri è la stura all’ala meno governista, decisamente più barricadera. La “dibbattistizzazione” di Conte è uno scenario che vari parlamentari del Pd scrutano con preoccupazione. Considerandolo sempre più plausibile. Mentre Letta preferisce, ancora una volta, far finta di niente. Ignorando addirittura come il suo campo largo sia diventato una prateria.
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