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Pd: Schlein, Renzi e la retorica del cambiamento

«Faremo squadra». «Lavoreremo insieme». «È una rivoluzione». I commenti alla vittoria di Elly Schlein sono sovrapponibili a quelli che seguirono il trionfo di Renzi nel 2013. Com’è finita quella stagione è noto. Forse è proprio questa retorica il nemico più insidioso per la neo-segretaria dem.

28 Febbraio 2023 16:31 Redazione
Pd: Schlein, Renzi e la retorica del cambiamento

«Lavoreremo insieme, con spirito di squadra». «Sarò leale e sincero. L’unità del Pd è un valore profondo e da difendere. Il treno dove siamo saliti è il nostro treno e non scenderà nessuno. In uno spirito unitario non rinunceremo alle nostre idee in un partito più forte, e tutto questo lo faremo con un nuovo segretario che sarà il segretario di tutti». No, non sono commenti dopo la vittoria Elly Schlein, anche se potrebbero benissimo esserlo. Entrambe le dichiarazioni risalgono al dicembre 2013. Quasi 10 anni fa. La prima è di Enrico Letta, allora premier, la seconda di Gianni Cuperlo. E il «segretario di tutti» con cui «lavoreremo insieme» era Matteo Renzi.

Pd: Schlein, Renzi e la retorica del cambiamento
Matteo Renzi nel 2013 (Getty Images).

Le rivoluzioni annunciate

Il “giovane uomo” – aveva 38 anni, uno in meno della giovane Schlein – vinse con il 67,8 per cento delle preferenze davanti a Cuperlo (20 per cento) e Pippo Civati (al 18). Quasi tre milioni gli elettori ai gazebo che vennero definiti dal Movimento 5 stelle «melma putrida» e «pecoroni». La sconfitta di Cuperlo sostenuto allora da Massimo D’Alema venne letta come la sconfitta dell’intera nomenklatura. Dario Nardella, fedelissimo di Renzi, arrivò a chiedersi: «Ci sarà posto per Massimo D’Alema nel Pd di Matteo Renzi? Noi siamo per un partito inclusivo, ma nella chiarezza». Sottolineando: «Renzi è stato sempre leale sin dal primo giorno dopo la sconfitta con Bersani. Ci aspettiamo la stessa lealtà ma se da domani cominciano a girare voci di scissione sarà una sconfitta per tutti». Anche oggi la vittoria di Schlein è raccontata come una rivoluzione. Una svolta a sinistra-sinistra (per usare parole di Renzi) del Pd benedetta però da big come Dario Franceschini (noto per la sua capacità di puntare sempre sul candidato vincente) e sua moglie Michela Di Biase (artefice della defenestrazione di Ignazio Marino dal Campidoglio), o Francesco Boccia. Di più, Schlein lavora per il ritorno a casa degli scissionisti di Articolo Uno, Roberto Speranza, Pier Luigi Bersani e – perché no? – lo stesso lider Maximo che lasciarono il partito in opposizione a Renzi.

Pd: Schlein, Renzi e la
Gianni Cuperlo nel 2013 (Getty Images).

La retorica del «fare squadra»

Quello che fa pensare è che, allora come oggi, dietro quel «fare squadra» e gli appelli all’unità strombazzanti covano mugugni, tentazioni scissioniste e grandi strappi. Il primo è stato quello di Beppe Fioroni, ex leader della Margherita e tra i fondatori del Pd, che ha dato vita a un nuovo network di cattolici, Piattaforma popolare-Tempi nuovi. E molto probabilmente, come si augurano il duo Renzi-Calenda, altri lo seguiranno accorgendosi di stare viaggiando sul treno sbagliato. Giorgio Gori per esempio ha già dato il preavviso. Anche se lo sconfitto Bonaccini, esattamente come 10 anni fa fece lo sconfitto Cuperlo, assicura: «Sono convinto che chi esca sbaglia, anzi dobbiamo chiamarne di nuovi. Dobbiamo far si che il Pd si rigeneri, che abbia una nuova classe dirigente e che metta in campo una proposta per costruire il centrosinistra». Un problema che nel Team Elly qualcuno non si pone: «Per un Fioroni che se ne va penso che avremo 100 nuovi entranti», ha commentato la sardina Mattia Santori.

Pd, Santori contro Fioroni: «Per uno come lui che va via avremo 100 nuovi iscritti». Polemiche per l'attacco all'ex ministro da parte del leader delle Sardine
Mattia Santori (Getty Images).

Il pericolo per Schlein? L’ansia di rivoluzione

Proprio rileggendo il passato, verrebbe da dire che il principale pericolo che corre Schlein sta proprio in questa aspettativa di cambiamento, di rivoluzione. Quest’ansia di trasformare tutto che rischia di restare un bello slogan. «Renzi ha vinto soprattutto per questo: per la promessa di cambiare il Pd e il Paese», scriveva su Repubblica Ezio Mauro all’indomani della vittoria del rottamatore. «Dovrà farlo subito, cominciando dalla legge elettorale, dai costi della politica, dalla crisi del lavoro. Guai se si disperdesse l’ultima speranza: solo il cambiamento può chiudere un ventennio e aprire quella nuova stagione di cui ha bisogno il Paese». Tolti i costi della politica – la Casta ormai non è più un bersaglio goloso neppure per ciò che rimane dei 5 stelle -, è esattamente quello che si chiede oggi a Elly Schlein, l’anti-Meloni, la nostra Ocasio-Cortez, «ragazza ricca». «Tocca a noi, stavolta si cambia davvero», disse Matteo Renzi appena “incoronato” segretario. «È un mandato chiaro, per cambiare», ha detto Schlein nella sua prima dichiarazione. Al Pd, riformista o progressista, a vocazione maggioritaria o come prevede qualcuno minoritaria, a questo punto serve solo capire una cosa: come si cambia per non morire.

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