Le elezioni europee non sono affatto un appuntamento lontano, eppure dalle parti del Partito democratico, principale forza di opposizione, il dossier non è ancora neppure sfiorato. A parte i primi nomi che cominciano a circolare per i capilista e qualche smentita di peso per la corsa a Bruxelles, come quella della giornalista Lucia Annunziata, non è dato sapere quale sarà la strategia che la formazione guidata da Elly Schlein metterà in campo. Dichiarazioni d’intenti a parte, naturalmente. La segretaria in persona ha fissato i paletti, intervenendo a Skytg24: l’obiettivo è vincere e superare Fratelli d’Italia. Guai però a parlare di ritardo o attendismo. Dal corpaccione del partito respingono al mittente questa lettura: «Il voto è tra un anno», è la giustificazione che mette tutti d’accordo. Ma che rende ancora più plasticamente evidente la distanza con i partiti di maggioranza.
Il progetto meloniano di un matrimonio tra popolari e conservatori
La morte di Silvio Berlusconi potrà provocare qualche battuta d’arresto, ma l’attivismo del centrodestra sull’affaire Europee è un dato di fatto. A cominciare dal progetto meloniano (chissà quanto utopico) di un matrimonio tra popolari e conservatori, passando per la due giorni a Roma dedicata al Ppe alla presenza del presidente Manfred Weber e con il coordinatore azzurro e vicepresidente del Partito popolare europeo Antonio Tajani a fare gli onori di casa e a sposare con forza un’alleanza tra popolari, conservatori e liberali. Con buona pace della maggioranza Ursula, ma soprattutto di Matteo Salvini.

La Lega preferisce il gruppo Identità e democrazia con la Le Pen
Ecco, pure guardando alla Lega, non si può certo dire che via Bellerio non abbia già preso tra le mani il file delle Europee, tra l’altro al centro del Consiglio federale del 28 maggio. La determinazione (per carità, magari anche indotta dalle resistenze del Ppe nei confronti dei leghisti) a rimanere ancorati al gruppo Identità e democrazia in compagnia di Marine Le Pen e dell’estrema destra tedesca e la ferma opposizione all’asse socialisti e popolari sono, seppur da una posizione di certo non di forza, un chiaro intento di voler giocare la partita.
Il Pd in un mix di rassegnazione e autoflagellazione
E il Pd cosa fa e come si muove? La sensazione prevalente, compulsando diversi esponenti dem, è quasi di rassegnazione: «Spira un vento di destra, è un dato di fatto con cui fare i conti», dicono. «Galoppa in Nord Europa. Anche in Germania i socialisti sono in difficoltà». Ma non mancano i sussulti d’orgoglio di chi a Tag43 garantisce: «Metteremo in campo personalità di peso che sapranno incidere alle urne» o di chi scommette anche sulle difficoltà dei popolari: «Con i conservatori che avanzano e si istituzionalizzano, è probabile che assisteremo a un travaso di voti tra loro e il Ppe». Di provare invece a insinuarsi per spaccare i popolari, visto che non tutti sono pronti all’abbraccio con Ecr (European conservatives and reformists group), invece, non c’è traccia: «Vediamo innanzitutto cosa succede in Forza Italia: se non tiene, il Ppe avrà già una bella grana da risolvere». Quello che si dice un gioco di rimessa. Quando non assume i contorni di una autoflagellazione tafazziana.

Il gruppo S&D accusato di non avere una narrazione politica
Tra gli sfoghi raccolti da Tag43 c’è anche quello di diversi dem che puntano l’indice contro gli stessi socialdemocratici: «Manca del tutto una narrazione politica di cosa è oggi la socialdemocrazia. Il gruppo S&D che risposte dà sulla transizione ecologica e digitale, per esempio?». Guai però a dire che il Pd gioca sulla difensiva. A dire il vero, soprattutto dalla cerchia più vicina al nuovo corso, respingono pure l’accusa di un’assenza di linea in vista del voto: «La nostra strategia», racconta una fonte parlamentare a Tag43, «è molto chiara: costruire un perimetro per tutti quelli che sono all’opposizione di questo governo, lavorando su tematiche comuni e quindi su un asse anche in Europa tra liberali, socialisti, verdi e sinistra». Che tradotto significa addio alla maggioranza Ursula? «È evidente che non è la nostra maggioranza preferita», taglia corto.

L’addio alle larghe intese rischia di spaccare i dem
E forse si spiega così l’attuale afonia dem in tema di Europee: c’è da scommettere, infatti, che questa linea non metterebbe tutti d’accordo nel partito, a cominciare dalla pattuglia di europarlamentari in cerca di ricandidatura che hanno sostenuto le larghe intese oggi sul viale del tramonto. Per tacere di futuribili alleati (sbarramento del 4 per cento premettendo) come i renziani e quindi Renew Europe. Proprio il leader di Italia viva ha scandito forte e chiaro il suo obiettivo: «Di nuovo una maggioranza Ursula, non una maggioranza Giorgia». Giusto per proiettare anche in Europa le distanze che allontanano Pd e centristi. Senza contare quelle con il Movimento 5 stelle di Giuseppe Conte. Anche se almeno su questo fronte «la colpa non può essere addossata a noi», si difende un esponete dem, «perché da parte nostra c’è la piena consapevolezza che una volta archiviato il voto col proporzionale, bisognerà ragionare sulle alleanze. Ripeto: noi questa consapevolezza l’abbiamo».