Elly Schlein è arrivata nel Partito democratico portando una ventata di freschezza, e questo la dice lunga sulla meteorologia di un partito in secca da molto tempo. Qualcuno ha detto che ha fatto sembrare immediatamente vecchia Giorgia Meloni, già vecchia come il cucco anche prima dell’arrivo di Elly: la modernità della Meloni era tutta nel remix di “Io sono Giorgia”, perché anche l’idea cardine dell’ideologia di destra, il Dio, la Patria e la Famiglia, se campionata al sintetizzatore da Bob Sinclair poteva sembrare una figata pop agli estimatori dei 45 giri di Raffaella Carrà. La Meloni sembra un’attrice sul viale del tramonto: alle conferenze stampa tira fuori quel tono sussurrato da vittima – dopo aver passato praticamente una vita a sbraitare urlando su qualunque argomento – che i guitti della rivista rispolverano quando vogliono ingraziarsi il pubblico carogna che gli tira sul palcoscenico pomodori e gatti morti.
Una netta differenza rispetto al «cari patrioti» meloniano
Elly Schlein ha dato da almeno l’impressione di aver viaggiato oltre il tragitto del 64 Garbatella-Piazza Venezia. Conosce i vocaboli del lessico di moda oltreatlantico e, anche se sarebbe meglio li dimenticasse per esprimersi con parole sue, li rende intelligibili al pubblico poco anglofono di casa nostra, cui si rivolge sempre con un «care tutte e cari tutti» un po’ lezioso, a dire il vero, ma che comunque marca la differenza con il «cari patrioti» con cui la destra si rivolge alla «nazione». I “cittadini” volteriani che rifiutano l’autorità e la tradizione cui miravano i grillini sono naufragati nella confusione tra tolleranza e qualunquismo, così Elly Schlein potrebbe avere gioco facile a rinnovare il linguaggio della politica.
Elly Schlein alla Camera in risposta alla Meloni…ma dove l'avevate nascosta…#Schlein #salariominimo #QuestionTime #Camera pic.twitter.com/3bzrDzWfNq
— Sirio (@siriomerenda) March 15, 2023
Discontinuità con le stagioni delle metafore di Bersani
L’abbiamo sentita parlare di discontinuità: speriamo che abbia il coraggio di chiudere davvero con la stagione delle metafore bersaniane, tra giaguari da smacchiare e mucche in corridoio, che hanno trasformato un onest’uomo in una macchietta da spremere nei talk (lo sventurato risponde quasi sempre agli inviti). All’assemblea del Pd dove è stata acclamata nuova segretaria, Elly Schlein ha detto: «Non vogliamo più vedere capibastone e cacicchi vari» (copyright D’Alema), abbandonando per un attimo il suo lessico aggiornato sulle ultimissime del politicamente corretto e riportando l’uditorio alle atmosfere gattopardesche che, nel partito del cosidetto mutamento, sono da anni la zavorra necessaria a far finta di cambiare in modo che tutto resti come è. Sono proprio i vecchi che Matteo Renzi non è riuscito a rottamare, Massimo D’Alema, Roberto Speranza, lo stesso Pier Luigi Bersani, che si erano riuniti per fargli ostruzionismo, i primi ad applaudire Elly, circondandola di quell’affetto cordiale che, se non sta attenta, finirà per soffocarla.

I marpioni della politica non hanno nulla a che fare con lei
I marpioni della politica non hanno, o meglio non dovrebbero avere nulla a che spartire con lei, che una base sfinita ha fortemente voluto per avere qualcosa di nuovo in cui sperare. La Schlein ha sicuramente capito che il lavorìo delle correnti, i piccoli ras alla Vincenzo De Luca, la comfort zone che Dario Franceschini si è creato e che non ha alcuna intenzione di abbandonare, saranno il suo vero banco di prova: perché il Pd è stato massacrato da questi potentati burocratici, che non mollano il potere nemmeno morti e che avevano visto in Renzi il loro vero probabile annientatore, per questo lo hanno distrutto dall’interno con una campagna di delegittimazione mai vista in un partito.
Questioni di genere e diritti, basta coi luoghi comuni della destra
Elly Schlein parla con chiarezza di cose che sembrano difficili e sulle quali il politico “furbo” farebbe meglio a sorvolare: le questioni di genere, l’adozione per le coppie omosessuali, la procreazione assistita, il diritto delle persone che scelgono di emigrare di trovare la vita che desiderano fuori dai loro Paesi di provenienza. Lo fa, a volte e purtroppo in “politichese”, ma ci vuole una come lei che in politica rinnovi le parole d’ordine del linguaggio stantio della destra e di quello pedante della sinistra. Ricordate quando Walter Veltroni ebbe l’intuizione disastrosa di non nominare mai Silvio Berlusconi in campagna elettorale col risultato che «il principale esponente del partito a noi avverso» vinse a man bassa? Ecco, Schlein, con la sua bella faccia pulita e il suo sorriso, non sembra incamminata su quella strada: chiama le cose con il loro vero nome e le spiega, con una foga pedagogica che non è mai da maestrina, come quella della Meloni, che affonda le sue convinzioni in salamoia nei luoghi comuni di una destra che ha superato da decenni la data di scadenza, ma che ci ritroviamo a governare, per colpa dei molti italiani intortati dai sughi della tradizione serviti nelle osterie di terza categoria, con Ignazio La Russa, Maurizio Gasparri, Daniela Santanchè, Matteo Salvini, Berlusconi e tutti i vecchi attrezzi di una politica che non c’entra nulla con il futuro a decidere le sorti del Paese.

Elly deve difendersi anche da chi vuole distruggerle l’immagine
Elly Schlein ha il gravoso compito di rilucidare il Partito democratico, togliendogli la polvere che si è accumulata negli anni. Non sarà più il grande partito all’americana che molti italiani si aspettavano, quella specie di Ulivo che federava le varie anime dei democratici e che aveva fatto sperare nell’alleanza delle sinistre, giusto per imparare qualcosa dalla destra, che ha solo quello da insegnare: uniti si vince. Sarà probabilmente un partito più radicale, che lascerà spazio per crescere a Renzi e a Carlo Calenda e che decreterà probabilmente la fine dei grillini. Per questo Elly deve difendersi non solo dai cacicchi ma anche dai Travagli che hanno cominciato a cercare di distruggerne l’immagine riportando sui Fatti quotidiani la sua effigie in una caricatura mostruosa da «ebrea ashkenazita». Tutti quei cari amici con i quali lei si fa incautamente fotografare, ben sapendo, dentro di sé, che se vuole sopravvivere li deve fare fuori, senza pietà.