Non era mai successo che il Vaticano intervenisse a gamba tesa per bloccare una legge dello Stato italiano, che per di più deve essere ancora approvata, esercitando di fatto le prerogative previste dai Patti Lateranensi. È quello che accaduto il 22 giugno con la nota ufficiale della Santa Sede contro il Ddl Zan all’esame in commissione Giustizia al Senato. «Alcuni contenuti attuali della proposta legislativa in esame presso il Senato riducono la libertà garantita alla Chiesa Cattolica dall’articolo 2, commi 1 e 3 dell’accordo di revisione del Concordato», si legge nel documento inviato dal Segretario per i rapporti con gli Stati Paul Richard Gallagher, il ministro degli Esteri di Bergoglio.
La carriera di Gallagher nella diplomazia vaticana
Gallagher fu nominato capo della diplomazia vaticana da papa Bergoglio nel novembre 2014 al posto del cardinale Usa Raymond Leo Burke. Un colpo di spugna con cui il pontefice allontanò uno dei grandi oppositori, reo di aver criticato apertamente il suo operato. Nato nel 1954 nello stesso quartiere di Liverpool – The Cavern Quarter – in cui i Beatles iniziarono la loro carriera, Gallagher entrò nella diplomazia vaticana nel 1984 ricoprendo incarichi in Tanzania, Uruguay e Filippine. Nel 2000 papa Giovanni Paolo II lo nominò inviato speciale con funzioni di Osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa. Dopo aver fatto esperienza come nunzio apostolico in Guatemala – dove tra l’altro conobbe Bergoglio – e Burundi, nel 2012 Benedetto XVI lo inviò nell’Australia infiammata dallo scandalo pedofilia.
La polemica per l’inchiesta sulla pedofilia in Australia
La nomina di Gallagher a Segretario per i rapporti con gli Stati aveva sollevato qualche malumore proprio per la sua nunziatura in Australia. L’arcivescovo infatti, come riportò nel 2013 il Guardian, non si dimostrò collaborativo nell’inchiesta sugli abusi sessuali di minori da parte di due sacerdoti della diocesi di Maitland-Newcastle. Alle ripetute richieste di accesso a documenti conservati negli archivi della Nunziatura apostolica a Canberra e della Congregazione per la dottrina della fede a Roma da parte della commissione australiana aveva risposto invocando l’immunità diplomatica. Nella corrispondenza con la commissione australiana Gallagher aveva citato le tutele offerte dagli accordi internazionali, compresa la Convenzione di Vienna, sulle relazioni diplomatiche. E cioè la sostanziale inviolabilità dei documenti diplomatici.