«Devi assolutamente vedere questi due film, brother», mi disse mio fratello quella Pasqua del 1996, porgendomi due videocassette piratate con i titoli sopra scritti a penna. Non ci vedevamo da qualche mese e finalmente avevamo deciso di andare a mangiare fuori una pizza per passare un po’ di tempo insieme. Da quando la nostra famiglia si era totalmente autodistrutta occasioni del genere non capitavano molto spesso e quindi il nostro incontro di quella sera aveva un sapore tutto particolare, quasi unico. Di quel periodo ricordo che mio fratello era stato da poco sfrattato dal suo appartamento in Via Visconti di Modrone, aveva appena buttato via un sacco di soldi in una serie di investimenti sbagliati, tipo ristoranti fallimentari o cavalli, e nell’acquisto sconsiderato di uno yacht mega galattico molto cafone che aveva chiamato Animal Boy. Io dal canto mio, mentre attendevamo che finissero i lavori nella casa in Piazza Adigrat che mia zia aveva appena comprato, vivevo con lei in un appartamento d’appoggio in via Dall’Ongaro, al numero 37, e ripetevo la prima classe al Liceo Volta. Avevo 16 anni quella Pasqua del 1996 e mio fratello ne doveva compiere 33.
«Ehi, senti», attacca. «Mi dispiace che ci vediamo così poco». Tace per un attimo, senza sorridere. Guarda il vuoto e prima di salutarmi aggiunge: «Ti voglio bene». Guardo la Porsche con i vetri scuri scomparire, apro il portone di vetro e, con sotto braccio le due videocassette piratate con i titoli sopra scritti a penna, entro in ascensore
Per la cena abbiamo scelto di andare a mangiare da Portobello, un ristorante in via Plinio dove ci portava spesso nostro padre, poco distante dalla casa dove abitavamo in via Amedeo d’Aosta. Ordiniamo due pizze al prosciutto e ogni tanto a mio fratello squilla il telefonino, così siamo costretti a interrompere la conversazione di continuo. Gli parlo di Nicole, del mio lavoro in discoteca, della noia che mi procurano le mattine a scuola e di quello che mi interessa, che in definitiva è drogarmi il più possibile con qualsiasi sostanza mi capiti a tiro. Lui scrolla le spalle e si accende una sigaretta. Gli dico anche che sono spesso nervoso e triste e malinconico e che da qualche mese, dopo che ho letto un libro intitolato Jim entra nel campo di basket (che però con il basket non c’entra un cazzo), ho iniziato a scrivere, a tenere una specie di diario. So che mio fratello è appena tornato da Parigi dove ha visto nostro padre, che io non vedo da tre anni, ma quando faccio per chiedergli di lui il telefonino comincia di nuovo a squillare con insistenza così lascio perdere. Poi la cena finisce e saliamo sulla sua Porsche nera con i finestrini scuri e io rimango stupito quando noto che sul tettuccio è appoggiata una tavola da surf. «È l’unica cosa che mi è rimasta», mi dice, indicando l’auto. «Domani parto per l’Elba», e poi aggiunge: «Credo che ci rimarrò qualche mese, sicuramente fino a dopo l’estate». Osservo mio fratello prima di salutarlo sotto casa che mia zia ha preso in affitto in via Dall’Ongaro e lo vedo stanco, debilitato, ma mentre lo abbraccio gli dico che ha un aspetto fantastico e lui dice che anch’io sono abbastanza in forma, solo dovrei abbronzarmi un po’ di più perché sono troppo pallido, e anche smunto. «Ehi, senti», attacca. «Mi dispiace che ci vediamo così poco». Tace per un attimo, senza sorridere. Guarda il vuoto sopra la mia testa e prima di salutarmi aggiunge: «Ti voglio bene». Poi guardo la Porsche con i vetri scuri scomparire, apro il portone di vetro e, con sotto braccio due videocassette piratate con i titoli sopra scritti a penna, entro in ascensore e schiaccio il bottone per salire al settimo piano.
«Devi assolutamente vedere questi due film, brother», mi disse mio fratello quella Pasqua del 1996. Fin da piccolo mio fratello è stato il mio maggior riferimento cinematografico, oltre che musicale. Per un lungo periodo, tornato a casa da scuola, tutti i pomeriggi aspettavo ansioso il suo rientro. All’epoca aveva l’abitudine di andare in una videoteca in via Pinturicchio che vendeva anche dischi e ogni giorno tornava indietro con un film preso a noleggio e un vinile, che scartava con cura e faceva suonare a un volume assurdo sul piatto del suo mega impianto Hi-Fi. Le band che andavano per la maggiore in camera sua erano i Deep Purple, i Genesis, i Marillon, gli Iron Maiden, i Led Zeppelin, gli U2. Ma anche qualcosa degli Europe, dei Police o dei Queen. Ricordo anche un disco live di Elton John, Here and There, con in copertina raffigurato un grosso pianoforte su uno sfondo bianco, che però non ascoltava mai, perché diceva che gli ricordava troppo il collegio. Le videocassette a nolo invece venivano regolarmente doppiate, collegando due videoregistratori al televisore del suo studio, e successivamente aggiunte alla poderosa videoteca che troneggiava sulla parete destra della stanza, dove erano collezionati centinaia di titoli, tutti numerati e successivamente catalogati per genere e anno di produzione. I miei preferiti, oltre ovviamente ai classici Disney, tipo Robin Hood, La Carica dei 101, Mary Poppins e compagnia bella, erano i film di Bud Spencer & Terence Hill, soprattutto Trinità, o quelli di Sylvester Stallone, tipo Rocky, per esempio, che guardavo a ripetizione ogni volta che mi veniva dato il permesso. Impazzivo anche per altri titoli come Grosso guaio a Chinatown, Top Gun, Ritorno al futuro, i Goonies, Un piedipiatti Beverly Hills, Terminator e Indiana Jones. All’epoca, inoltre, papà aveva una società che distribuiva film (la Techno Film che poi sarebbe diventata la Golden Video), e in casa nostra il cinema ricopriva per una serie di motivi un posto di primissimo piano. La prima delle due videocassette che mi diede mio fratello che guardai fu quella con sopra scritto Cattive compagnie. Un film del 1990, con protagonisti James Spader e un altro promettente attore di nome Rob Lowe, uno delle decine di presunti eredi di James Dean, che narrava la storia di uno yuppie che a un certo punto entrava in contatto con un misterioso personaggio che presto si sarebbe rivelato uno psicopatico pronto a rovinargli la vita. Fu però il secondo film, l’esordio di un giovane regista statunitense di nome Quentin Tarantino, intitolato Le iene, quello a farmi perdere totalmente la testa. Girato su una pellicola da 16 millimetri con soli 30 mila dollari di budget Le iene conteneva già tutti gli ingredienti che in seguito imparammo a conoscere e ad apprezzare in Tarantino: la violenza imprevista, i dialoghi fiume, il black humour e il sangue.
È quella sera che con ancora indosso il vecchio maglione scozzese di cachemire e le Stan Smith sformate mi stendo sul letto e, dopo aver infilato il dvd nel lettore, mi metto a guardare Taxi Driver. Film che insieme a Le iene di Tarantino mi riguarderò, senza mai togliermi il pigiama, oggi, steso sul divano di casa mia in questa vigilia di Pasqua 2023
«Devi assolutamente vedere questi due film, brother», mi disse mio fratello quella Pasqua del 1996 quando mi fece conoscere per la prima volta Quentin Tarantino. Un tizio che in seguito divenne uno dei miei registi preferiti, che con i suoi film segnò definitivamente i gusti cinematografici della mia generazione e del quale di fianco al letto, sul comodino, proprio in questi giorni ho appoggiato, tra V13 di Carrére e Buchi Bianchi di Carlo Rovelli, Cinema Speculation, una sorta di sua specialissima autobiografia attraverso la quale traccia un personale racconto della storia del cinema descrivendo i film della sua vita. Dentro c’è Bullet di Steve McQueen, Clint Eastwood che fa l’ispettore Callaghan, il Woody Allen di Prendi i soldi e scappa e soprattutto Taxi Driver di Scorsese, che ad oggi è uno dei miei 10 film preferiti di sempre. Ho visto per la prima volta Taxi Driver molti anni dopo quella Pasqua del 1996 in cui guardai Le iene, ricordo che era una notte di maggio del 2003, o forse del 2004, e ricordo perfettamente che allora il mio sistema nervoso era completamente in disordine. Associo la visione di quel film a una serie di immagini di me in jeans e maglietta e un vecchio maglione scozzese di cachemire, le Stan Smith sformate ai piedi che aspetto, con i capelli in disordine e fumando una sigaretta dopo l’altra, che arrivi Lucilla. Sono seduto su una panchina davanti alla fontana dei giardini di Largo Marinai d’Italia, sono circa le quattro del pomeriggio e davanti a me è un continuo passare di autobus che scaricano gente. Poi arriva Lucilla, si siede di fianco a me, mi perdo nei suoi occhi verde naviglio e le chiedo di venire nel week end a casa dei miei zii a Moltrasio. Lei mi guarda inespressiva rispondendomi che proprio non si può fare, che ha altri programmi e poi che ultimamente sono sempre scostante, che così non si può più andare avanti, che la faccio star male e che forse sarebbe meglio non vederci più per un po’. Poi se ne va e io giro a piedi qualche ora, come allucinato, per le strade sghembe del quartiere senza meta e quando torno a casa in via Tiepolo è già buio. È quella sera che completamente vestito, con ancora indosso il vecchio maglione scozzese di cachemire e le Stan Smith sformate, mi stendo sul letto e, dopo aver infilato il dvd nel lettore, accendo la tv e mi metto a guardare Taxi Driver. Film che insieme a Le iene di Tarantino mi riguarderò, senza mai togliermi il pigiama, oggi, steso sul divano di casa mia in viale Regina Giovanna in questa vigilia di Pasqua 2023.