Una notizia che ha commosso l’Italia, smuovendo le coscienze e richiamando ad un senso di responsabilità collettivo, tra chi si divide e chi comprende e supporta il gesto che può aver portato una donna ad affidare il suo bambino ad un luogo come la Culla per la vita della clinica Mangiagalli di Milano. Un luogo di speranza e di opportunità, ma anche di profondo dolore per chi è costretta a separarsi dal proprio figlio, come successo per la mamma del piccolo Enea. Ma come viene regolata nel nostro Paese la possibilità usufruire del parto in anonimato?
Come funziona il parto in anonimato in Italia
Sul sito del Ministero della Salute vengono spiegate le fasi e le procedure per poter aderire a questa pratica, ma viene innanzitutto specificato che «durante la gravidanza, specialmente in situazioni di difficoltà della madre a rispondere adeguatamente ai bisogni del bambino, è indispensabile che la donna sia seguita in maniera qualificata, per la tutela sua e del nascituro, in modo da evitare decisioni affrettate e spesso drammatiche, al momento del parto». E ancora: «Occorre sostenere, accompagnare e informare le donne affinché le loro scelte siano libere e consapevolmente responsabili».
Ecco perché viene sottolineato che, nell’ambiente ospedaliero, al momento del parto serve garantire la massima riservatezza, senza giudizi colpevolizzanti ma con interventi adeguati ed efficaci, per assicurare – anche dopo la dimissione – che il parto resti in anonimato. Non bisogna dimenticare che «la donna che non riconosce e il neonato sono i due soggetti che la legge deve tutelare, intesi come persone distinte, ognuno con specifici diritti». La legge che consente alla madre di non riconoscere il bambino e di lasciarlo nell’ospedale è il DPR 396/2000, art. 30, comma 2. Il nome della madre «rimane per sempre segreto e nell’atto di nascita del bambino viene scritto nato da donna che non consente di essere nominata».
Le disposizioni di legge
Poiché il nostro ordinamento giuridico garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile e la tutela della maternità, al neonato non riconosciuto «devono essere assicurati specifici interventi, secondo precisi obblighi normativi, per garantirgli la dovuta protezione, nell’attuazione dei suoi diritti fondamentali». Per questo la dichiarazione di nascita va fatta entro i termini massimi di 10 giorni, ma se la madre vuole restare nell’anonimato la dichiarazione di nascita è fatta dal medico o dall’ostetrica, come riportato nelle disposizioni di legge: «La dichiarazione di nascita è resa da uno dei genitori, da un procuratore speciale, ovvero dal medico o dalla ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l’eventuale volontà della madre di non essere nominata».
La successiva segnalazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni della situazione di abbandono del neonato non riconosciuto consente «l’apertura di un procedimento di adottabilità e la sollecita individuazione di un’idonea coppia adottante». Il neonato vede così garantito il diritto a crescere ed essere educato in famiglia e assume lo status di figlio legittimo dei genitori che lo hanno adottato.
Nella segnalazione e in ogni successiva comunicazione all’autorità giudiziaria devono essere omessi elementi identificativi della madre. Il diritto a rimanere una mamma segreta prevale infatti su ogni altra considerazione o richiesta e ciò deve costituire un ulteriore elemento di sicurezza per quante dovessero decidere, aiutate da un servizio competente ed attento, a partorire nell’anonimato».