Cosa sapere del processo per gli attentati di Parigi del 13 novembre 2015

Redazione
08/09/2021

Occhi puntati su Salah Abdeslam, il decimo uomo che non si fece esplodere e unico sopravvissuto agli attacchi che uccisero 130 persone, tra cui Valeria Solesin.

Cosa sapere del processo per gli attentati di Parigi del 13 novembre 2015

Si apre oggi mercoledì 8 settembre a Parigi il processo per gli attentati del 13 novembre 2015 al Bataclan, allo Stade de France e in alcuni locali della Capitale francese. Negli attacchi morirono 130 persone, tra cui la ricercatrice veneziana Valeria Solesin, e ne restarono ferite più di 400.

Alla sbarra 20 imputati. Tra questi, 11 sono detenuti, tra cui Salah Abdeslam l’unico sopravvissuto del commando. Altri tre sono liberi. Gli ultimi sei, di cui cinque presumibilmente morti, saranno giudicati in contumacia. Al processo sono stati chiamati un centinaio di testimoni, tra cui molti inquirenti francesi e belgi, e l’ex presidente François Hollande.

Processo per gli attentati di Parigi: il super imputato Salah Abdeslam

Occhi puntati su Salah Abdeslam, le dixième homme, il decimo uomo. Salah Abdeslam è arrivato con una mega-scorta dal carcere di Fleury-Mèrogis. Resta da capire perché non portò a termine il piano suicida. Si tirò indietro all’ultimo minuto per paura oppure doveva rimanere in vita per gestire il traffico di jihadisti per l’Europa? Una teoria ipotizzata dal libro inchiesta Convoyeur del la mort scritto da Etty Mansour. Dietro lo pseudonimo si nasconde una giornalista che ha frequentato per anni Molenbeek, quartiere di Bruxelles.

Abdeslam, franco-marocchino di 31 anni, a differenza degli altri 19 imputati che sono accusati di aver collaborato alla preparazione degli attentati, è coautore delle stragi, avendo partecipato in prima persona. Nella fase istruttoria, il terrorista aveva dichiarato di non essersi fatto esplodere, sebbene indossasse la cintura. L’inchiesta ha stabilito che la sera del 13 novembre 2015, intorno alle 20 e 55 fece scendere dall’auto i tre kamikaze che si fecero esplodere davanti allo stadio. A mezzanotte abbandonò la macchina nel 18esimo arrondissement e la cintura esplosiva a Montrouge (Hauts-de-Seine) e poi fuggì, all’alba del 14 novembre, verso il Belgio grazie al passaggio di due amici in auto. Fin dal suo primo interrogatorio, il 19 marzo 2016, dopo il suo arresto a Bruxelles Abdeslam aveva dichiarato: «Dovevo farmi esplodere davanti allo Stade de France con i miei complici. Tuttavia ho rinunciato una volta salito in auto. Ho lasciato i tre passeggeri e sono ripartito». Quello che gli inquirenti non hanno ancora capito è il motivo per cui dopo non essersi fatto esplodere, si recò nel 18esimo arrondissement, passando ore a Sud di Parigi invece di fuggire direttamente in Belgio.

Processo per gli attentati di Parigi: le prime parole di Abdeslam

Dichiarando la propria identità, come da procedura, Abdeslam ha abbassato la mascherina dicendo: «Prima di tutto voglio testimoniare che non c’è altro dio all’infuori di Allah». Alla domanda sull’identità dei genitori ha risposto: «I nomi di mia madre e mio padre non hanno niente a che fare qui». Sulla professione svolta si è limitato a dichiarare di aver smesso di lavorare per «diventare un combattente dell’Isis».

Processo per gli attentati di Parigi: le misure di sicurezza

Il processo si tiene nel vecchio Palazzo di Giustizia di Parigi sull’Ile-de-la-Citè, a poche centinaia di metri dalla cattedrale di Notre Dame. Almeno 1.800 le parti civili, le vittime che hanno sporto denuncia, e 550 le persone presenti in aula. L’area è blindata. Intorno al palazzo è stato istituito un cordone di sicurezza con controlli e il traffico nelle strade vicine è stato bloccato. «Il mondo intero ci guarda»,  ha detto il ministro della Giustizia, Eric Dupond-Moretti, sottolineando che «ciò che fa la differenza tra una civiltà e la barbarie sono le regole del diritto».