Papa Francesco, la guerra in Ucraina e la concezione di Chiesa delle periferie

Mario Margiocco
27/05/2022

Il cuore di Bergoglio, più che per l'Europa e gli Usa, batte per le periferie dove si gioca il destino del mondo. Non deve perciò meravigliare se di fronte alla guerra in Ucraina abbia avuto reazioni incerte. Sia per la storia recente della Chiesa sia per la sua profonda argentinità. L'analisi.

Papa Francesco, la guerra in Ucraina e la concezione di Chiesa delle periferie

«Per questi motivi è necessario da parte di Papa Francesco un chiarimento della posizione della Chiesa Cattolica sull’Ucraina». Così concludeva  a inizio maggio un articolo firmato da quattro accademici europei, e in Italia uscito su Il Regno. Il firmatario italiano, Massimo Faggioli, insegna a Philadelphia, è cresciuto nella scuola dossettiana di Bologna, ha perfette credenziali progressite, e ha animato una lunga querelle con un opinionista catto-conservatore del New York Times, Ross Douthat. «Papa Francesco sembra interpretare la guerra in Ucraina come il risultato di un conflitto di interessi geopolitico tra Russia e Stati Uniti. Questa visione del conflitto presenta importanti lacune. È fuorviante l’idea che la Russia stia difendendo un legittimo interesse di sicurezza nazionale e che la Nato abbia presumibilmente violato questo interesse con le sue passate espansioni», scrivono i quattro.

La profonda argentinità di Bergoglio e l’atteggiamento nei confronti di Europa e Usa

Sapevamo che Papa Francesco non ama gli Stati Uniti, e neppure l’Europa. Il suo cuore batte per “le periferie” dove si gioca dice il destino del mondo, e in parte è vero. Non deve meravigliarci quindi che di fronte a una guerra nel cuore dell’Europa o quasi, un mondo del passato, abbia avuto reazioni incerte. È così per due motivi fondamentali: uno legato alla Chiesa, alla sua storia recente e alle sue prospettive; l’altro alla profonda “argentinità” di Bergoglio. La Chiesa è sempre stata per un potere gerarchico dove il sovrano riceveva l’investitura dal Papa, in nome di Dio. Solo dopo la Seconda Guerra mondiale fu tolta del tutto dall’Exsultet, o Preconio pasquale salmodiato nella messa di Pasqua, la preghiera per il sacro romano Imperatore. La democrazia parlamentare ebbe il sopravvento, di colpo, durante la Seconda Guerra mondiale e fanno testo su questo i tre discorsi natalizi di Pio XII, del 1942, del 1943 e del 1944. Nei primi due il sostantivo ‘democrazia’ e l’aggettivo ‘democratico’ non ci sono, e il sostantivo ‘popolo’ si sente quattro e poi cinque volte. Nel 1944 c’è 26 volte ‘democrazia’, 10 volte ‘democratico’, 21 volte ‘popolo’. Con il generale Mark Clark e la sua Jeep in piazza San Pietro, nel giugno 1944, iniziava la chiesa occidentalizzata, e schierata più di prima contro il comunismo.

perché Bergoglio non ama l'Europa e gli Usa, ma considera la chiesa universale
Una bandiera argentina in Piazza San Pietro (Getty Images).

Attenzione al comunismo e richiesta di de-occidentalizzazione della Chiesa sono l’eredità del Vaticano II

I primi segnali chiari di una Chiesa che voleva distanziarsi dalla politica vennero con il Vaticano II, dove nonostante la richiesta formale di 454 padri conciliari per un emendamento in senso critico al comunismo nella Gaudium et Spes non fu fatto nulla, per un intoppo procedurale non casuale. Il silenzio pesò al punto, ha scritto Andrea Riccardi, fondatore e leader della Comunità di Sant’Egidio e storico accademico, «da accreditare la voce di un esplicito accordo fra il Patriarcato di Mosca e la Santa Sede». Il Concilio coglieva il vento nuovo nelle relazioni Est-Ovest; non coglieva la crisi del comunismo che datava in realtà dal 1956, non tanto l’impresa di Budapest, quanto il XX Congresso e la denuncia dello Stalinismo. I padri conciliari, esperti in divinità, non si chiesero quanto poteva resistere una religione politica che aveva decretato la morte del suo dio. Attenzione al comunismo, ritenuto solido, e una forte domanda di “de-occidetalizzazione” della Chiesa costituiscono l’eredità politica del Concilio. L’appello a de-occidentalizzare, formula non usata e sostituita dal concetto di “Chiesa povera” che rinuncia al suo organon culturale accumulato nei secoli per poter attingere con maggiore freschezza alla fonte del Vangelo, fu introdotto da un noto discorso del cardinal Giacomo Lercaro, allora ai vertici del fronte innovatore, scritto dallo stretto collaboratore Giuseppe Dossetti. Cosa voleva dire Chiesa povera? Non povertà francescana, ma meno tomistica e più Scritture, meno riti e più preghiera, più distanza da ellenismo e romanità, più universalità, e più distanza alla fine da Stati Uniti ed Europa, due realtà mai apprezzate anche dal Dossetti politico. Paolo VI dopo il 1968, il papa polacco e quello tedesco poi, misero il tutto in sordina, per quanto possibile, Ratzinger soprattutto, convinto invece della forza del nesso culturale cristianesimo-ellenismo-romanità.

Francesco, la guerra in Ucraina e la concezione di Chiesa universale
Il Concilio Vaticano II.

La svolta di Francesco per un cattolicesimo universale e concentrato alle periferie

Con Bergoglio una nuova interpretazione del cattolicesimo, non più romano ma universale, l’allentamento dei legami con l’Europa, una immagine di “periferie” vibranti di fede a fronte di un’Europa e un’America con chiese sempre più vuote hanno preso il sopravvento. Una guerra in Europa non pesa più ai suoi occhi e al suo cuore di una guerra, assai meno cruenta, altrove nel mondo. E forse ha ragione. L’Europa ha molte colpe secondo il Papa. L’articolo dei quattro europei lo invitava però nel caso ucraino a «smettere di produrre azioni e dichiarazioni che possono essere interpretate per alimentare la propaganda russa e fare dichiarazioni molto chiare e inequivocabili», cosa che in parte è stata fatta. Per capire quanto possa incidere poi l’argentinità è sufficiente ricordare in che clima arrivarono a Buenos Aires gli immigrati Bergoglio, nel 1929, mentre la stagione d’oro dell’economia argentina, durata almeno due generazioni, era alla fine. I salari erano ancora spesso doppi e tripli a parità di lavoro rispetto all’Italia, e simili in alcuni settori a quelli britannici, e lo saranno fino agli Anni 50 inoltrati. Ci fu una buona ripresa con la Seconda Guerra mondiale, e Juan Domingo Perón sognò di creare su quella ricchezza un nuovo faro mondiale, un pezzo di Europa australe rinvigorita dalle nuove terre del Rio de la Plata. Ma i mercati bellici finirono, l’illusione peronista di poter mettere il turbo grazie al debito pubblico fallì, l’inflazione trovata al 4 per cento salì al 50, e da allora l’Argentina è una terra devastata dalla perenne crisi della moneta, dove il peso serve ai borghesi per comperare caffè e sigarette, e tutto il resto si fa in valuta vera, dollaro ed euro. Negli ultimi 40 anni pochi sono stati gli arrivi, in Argentina, e numerose le partenze. E qualcuno si chiede: che cosa ha fatto l’Europa per questa Argentina, una storia surreale che economisti e politologi continuano a studiare, increduli di fronte a un Paese che avrebbe tutto ma riesce a vivere solo come se avesse piuttosto poco?

Bergoglio e la chiesa universale che non mette al centro la questione ucraina
Papa Francesco (Getty Images).

Per Andrea Riccardi «una Chiesa viva è una alleata per l’Europa»

La Chiesa e l’Europa? Andrea Riccardi è, secondo un estimatore romano «…un Gran Sornione di Alta Qualità, un fine analista di quanto accade…e… un pragmatico eccelso». Il suo libro La Chiesa brucia? uscito poco più di un anno fa è già un lapis angularis per una Chiesa post-bergogliana. Dice en passant che il cardinal Martini lo informò di non essere stato favorevole all’idea di Bergoglio Papa. Riccardi ha un’altra visione, non di sole “periferie”. «Una Chiesa viva è un’alleata per l’Europa, perché crede che questa, nonostante i limiti storici, sia un valore per il mondo. Non perché le radici storiche del continente sono cristiane…Ma l’Europa è una chance unica per la Chiesa e per il mondo. Per comporre le sue tante diversità, quasi costitutive, e proiettarsi sullo schermo del mondo con un respiro universale». Da Kyiv anche, da Leopoli, da Vilnius, da Helsinki, da Stoccolma, e da tante realtà ancora. Anche da San Pietroburgo, se Mosca lo permettesse.