Il tempo trascorso in casa durante il lockdown ha spinto la persone a guardare agli appartamenti come a tele bianche da riempire di colore. Salotti e stanze da letto sono stati sottoposti a restyling radicali. Operazioni dall’effetto terapeutico, che hanno incentivato il boom dell’arredamento low cost. Un fenomeno che, secondo gli esperti di tendenze, potrebbe portare il fast homeware ad eguagliare il fast fashion, equivalente relativo al mondo della moda.
L’avanzata del fast homeware
Una ricerca curata dall’e-commerce Made.com nel 2021 ha attestato che, nel Regno Unito, più del 68 per cento degli utenti adulti ha fatto shopping per la casa almeno una volta al mese durante la pandemia. Il 19 per cento non si è limitato a qualche acquisto sporadico e ha trasformato la pratica in un’abitudine quasi regolare. I prodotti che hanno attirato maggiormente l’attenzione dei compratori sono stati casalinghi e pezzi di design economici, che hanno contribuito a incrementare le vendite dei negozi al dettaglio fino al 42 per cento. Fiutando un’opportunità di business niente male, anche i retailer online sono saliti sul carro: così, distributori del calibro di Boohoo, John Lewis e Missguided (che si occupano, prevalentemente, di abbigliamento e accessori) hanno lanciato linee per la casa tra la fine del 2020 e gli inizi del 2021, attirando la clientela con prezzi vantaggiosi e ricavando profitti interessanti.

La spinta social verso l’homeware
A favorire ulteriormente questa “mania” hanno pensato i social. Così come le influencer postano i loro outfit giorno per giorno, la messa a nuovo di un angolo dello studio o della cucina ha spinto gli interior designer in erba ad aggiornare la propria community con foto e filmati. Su Youtube e TikTok, i video in cui il content creator mostra al pubblico i pezzi acquistati sono ritornati in voga e nuove tendenze si sono gradualmente fatte spazio. È il caso del trend noto come Avant Basic, coniato dalla giornalista Emma Hope Allwood e caratterizzato da un trionfo di stoffe a quadri, tavolini da caffè piastrellati e specchi ondulati. La fascia di compratori maggiormente coinvolta in questa moda è quella degli inquilini in affitto: «Si tratta di studenti universitari o di ragazzi alle prese con il loro primo appartamento», ha spiegato a Dazed&Digital Allyson Rees, trend forecaster della compagnia WGSN, «I loro soggiorni sono transitori, pagano un affitto e, per questo, non spenderanno mai 1200 dollari per un mobile, cosa che spiega anche perché preferiscano fare acquisiti frequenti a cifre contenute, più che comprare tanto in una sola volta».
Sostenibilità in bilico, l’altra faccia dell’homeware
Il vantaggio di non dover svuotare il portafoglio per arredare a dovere il proprio monolocale e la possibilità di sostituire un articolo con un altro senza rimorsi viste le spese ridotte, tuttavia, ha innescato anche un’eccessiva produzione di rifiuti, aspetto che mette in discussione la sostenibilità di tale pratica. Delle 921mila tonnellate di tessuto gettate via nel 2017, 391mila appartenevano a lenzuola e tovaglie. Ma non è tutto. Ogni anno, i Britannici buttano più di 22 milioni di piccoli pezzi di mobilio per lasciare spazio ai nuovi acquisti, anche se non sono in condizioni irrecuperabili e possono ancora essere utilizzati. La problematica pare riguardare in prima persona soprattutto il range anagrafico compreso tra i 16 e i 24 anni, quello della Generazione Z. Esistono, ovviamente, delle eccezioni: sembra in crescita, infatti, la percentuale dei consumatori che, come nel caso della moda, prova a essere più attenta al tema ambientale, limitando lo shopping compulsivo o optando per il noleggio, le alternative ecofriendly e i prodotti di seconda mano, sempre più disponibili anche grazie alle iniziative di brand come IKEA che, di recente, ha investito nella tutela delle foreste e si è posta l’obiettivo di introdurre solo plastica riciclabile entro il 2030.

Il punto interrogativo sulle condizioni dei lavoratori
Quel che rimane poco chiaro è il discorso sulle condizioni di lavoro degli operai e dei dipendenti delle aziende che producono oggetti low cost. Sebbene colossi come H&M abbiano firmato il nuovo Accordo Internazionale (una versione rivista del Bangladesh Accord, finalizzato a tutelare i lavoratori delle fabbriche) non è accertato che i vertici trattino con dignità l’organico e assicurino un ambiente di lavoro sicuro e confortevole. In ogni caso, gli sforzi delle imprese del fast homeware per garantire una certa trasparenza sembrano decisamente più efficaci e incisivi rispetto a quelli fatti dai colleghi del fast fashion. E, per quanto perfettibili, rappresentano un primo passo verso approcci e strategie in grado di conciliare etica e affari.