Ho scritto palindromi per tanti luoghi che ho amato, sparigliando le carte e sbadigliando la corte, confondendo i luoghi con le persone, che è il pasticcio di carne più laborioso da cucinare. Ecco il palindromo di casa, Alghero col mare a specchio obliquo: “Angolata Catalogna”.

Sei dentro quella città dolce solo se la senti. Daje cor palindromo: “Era il giro amoroso, so Roma origliare”. La città migliore è quella non ruffiana che ti rivede e manco un complimento: non mi sei mancata per nulla, dice, sei sempre stata qui. I solidi ignoti. Com’è sister Venezia. Al Festival del Cinema solo smilzi palindromi scritti da sbronza per onorare i miei avi veneziani di parte materna (mischia sangue veneto e sangue sardo e ottieni vino, tanto vino). Eccoli qua, i palindromi: “Ameni cinema”; “O dilla! È cine, Venice al Lido”. A certe città fotograferesti financo le mutande, certe altre non le portano, le mutande, altre ancora fan parte dei segreti. E i segreti son il miglior cardiotonico sulla piazza. Ma lei è la città amante, sempre, palindromo dadaista per lei: “Ero: lodava, limona, limono. Milano mi lava dolore”; Naviglio così umido, quasi sessuale, vali per certo il palindromo finale: “Ilare, sì, love: d’argini gradevoli, serali”.