Pioggia torrenziale e inondazioni senza precedenti negli ultimi 30 anni stanno colpendo da settimane il Pakistan, ormai in ginocchio. Nel Paese si contano oltre 1.100 morti, cui si aggiungono 700 mila capi di bestiame uccisi e quasi 2 milioni di ettari di aree coltivate perduti. Un terzo della nazione è sott’acqua, tanto che il premier Shehbaz Sharif parla di «un nuovo piccolo oceano». La principale ragione del disastro umanitario risiede nel cambiamento climatico che ha portato a precipitazioni da record proprio a seguito di un periodo di caldo torrido. La crisi ambientale è però solo uno dei fattori chiave, fra cui ci sono anche la povertà della popolazione sempre più vulnerabile, la conformazione del terreno e la distruzione accidentale di dighe e argini. Gli esperti: «È solo il trailer di ciò che ci aspetta con povertà, malnutrizione e malattie se non prestiamo attenzione al cambiamento climatico».
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La crisi climatica ha influenzato le inondazioni in Pakistan
Il Pakistan è l’ottavo Paese più vulnerabile al cambiamento climatico al mondo. Da anni infatti gli scienziati hanno cercato di allertare popolazione e governi circa i rischi potenziali di pioggia, scioglimento dei ghiacci e caldo torrido. «Quest’anno sta cadendo il 780 per cento di acqua in più rispetto ai livelli medi», ha detto ad Associated Press Abid Qaiyum Suleri, direttore esecutivo del Sustainable Development Policy Institute del Paese. «Un modello meteorologico estremo che sta diventando sempre più frequente nella regione». Basti pensare che in un solo giorno sono caduti 37,5 centimetri di pioggia, quasi tre volte in più rispetto alla media nazionale degli ultimi decenni. «Va avanti da otto settimane e a settembre potrebbe continuare», ha detto la ministra per il Cambiamento climatico Sherry Rehman, parlando di inondazioni di «proporzioni inimmaginabili».

«Chiaramente, il fenomeno è spinto dalla crisi climatica», ha detto ad Ap News Jennifer Francis, scienziata del clima del Massachussetts. L’incredibile portata delle piogge ha radici già nel mese di maggio, quando il Pakistan era nella morsa di un caldo torrido senza precedenti. Le temperature superarono costantemente i 45 gradi centigradi, toccando quota 50 a Jacobabad e Dadu, nel Sindh. L’aria più calda trattiene più umidità – circa il 7 per cento per ogni grado centigrado – che poi si riversa al suolo sotto forma di precipitazioni. Queste ultime si legano poi ad altri due fattori responsabili della catastrofe, la distruzione degli argini e la conformazione del territorio. Il Pakistan infatti è sede di pendii ripidi e scoscesi, su cui però pesa anche la deforestazione, dove l’acqua può scorrere rapidamente. L’incontro con i fiumi ha portato alla distruzione degli argini, la cui piena è finita nelle aree urbane e coltivate.
L’inoperosità del governo e le condizioni di povertà della popolazione
Non solo crisi climatica. Come ricorda il Guardian, il Pakistan fu teatro di altre inondazioni disastrose già nel 2010, quando morirono circa 1.700 persone. Eppure, nonostante i numeri, il governo non ha fatto nulla. Ap sottolinea come non abbia preso vita alcun progetto per prevenire future alluvioni impedendo la costruzione di case in aree a rischio o nei pressi dei corsi d’acqua. «Le persone, la cui maggior parte vive in condizioni di estrema povertà, non si preparano per ciò che non conoscono», hanno detto gli esperti. Infine, non bisogna sottovalutare i naturali cambiamenti del clima. Il meteorologo Scott Duncan ha sottolineato al Guardian la presenza della Niña, fenomeno oceanico che tende a raffreddare la temperatura delle acque. «Credo possa avere una grossa influenza sui monsoni», ha detto l’esperto, anche se ancora mancano studi ufficiali che ne certificano la teoria.
