Ora si è accordato con Renzi, ma nel (recente) passato Calenda ha detto di tutto sull'ex rottamatore: «Il suo modo di fare politica mi fa orrore»; «promoter dei sauditi»; «non faccio l'alleanza con lui, l'ho detto 6 mila volte, anzi 6 milioni». E poi ci si meraviglia se gli elettori non si fidano della politica.
Nessuno può obbligarci a scegliere fra i mega concerti di Jovanotti e il fratino che non riesce a nidificare come fra Gesù e Barabba. Lorenzo deve ricucire con gli ambientalisti, definiti «econazisti». Non gli fa onore. Nella sua grande chiesa ci sia posto pure per Francesco d’Assisi.
Il leader di Azione: «Non si costruisce una prospettiva di governo se non si condividono dei contenuti». Intanto, Renzi lancia su Twitter l’hashtag #TerzoPolo.
Dal Reddito di cittadinanza al salario minimo. Passando per le politiche ambientali e le armi all'Ucraina. Senza dimenticare il nodo della premiership. Tutte le differenze tra i possibili alleati del listone di centrosinistra.
L'ipotesi di aprire la lista Democratici e progressisti a Renzi e Calenda fa crescere i malumori della sinistra dem e di Articolo Uno. Che non abbandonano il progetto M5s. E allontanerebbe ancora di più la Cgil di Landini. Un bel rompicapo per Letta.
Si sa, Berlusconi è esperto di divorzi e addii. Anche politici. I più recenti sono quelli di Gelmini, Brunetta e Carfagna. Ma come dimenticare gli strappi di Vito, Toti e del delfino Alfano? Nulla comunque in confronto a quello del poeta Bondi.
Non avere votato la fiducia a Draghi potrebbe costare caro al M5s. Se non altro dal punto di vista legale, come ricorda l'avvocato Borrè. Tra addii e veleni interni il redde rationem è appena cominciato.
Di Maio aveva scommesso tutto sul premier; Brunetta deluso ha detto addio a Forza Italia. Calenda e Renzi, grandi sponsor dell'agenda Draghi, restano senza bussola. Il futuro incerto degli orfani di Super Mario.