L’Oscar per il miglior documentario è stato vinto da Navalny, dedicato appunto a Alexei Navalny, l’oppositore di Vladimir Putin sopravvissuto a un avvelenamento con il novichok nell’agosto del 2020 e attualmente detenuto in isolamento in Russia. «Famiglia Navalny, grazie per il vostro coraggio, il mondo è con voi», ha detto il regista Daniel Roher ritirando il premio. Rivolgendosi al dissidente russo, ha poi aggiunto: «Dedico a te il premio, il mondo non si è dimenticato del tuo messaggio, non avere paura». La moglie di Navalny, Yulia, che era sul palco con i figli Dasha e Zakhar, ha inviato un messaggio diretto al marito: «Alexei, sto sognando il giorno in cui sarai libero e il nostro Paese sarà libero. Sii forte, amore mio».
‘My husband is in prison for telling the truth’ — Yulia Navalnaya, wife of imprisoned Russian opposition leader Alexei Navalny, accepted the Oscar for Best Documentary Feature for ‘Navalny’ #Oscars pic.twitter.com/qehQjeCPZc
— NowThis (@nowthisnews) March 13, 2023
Il documentario ripercorre gli eventi successivi all’avvelenamento
Navalny, pellicola già premiata al Sundance Festival e considerata alla vigilia la grande favorita per la vittoria dell’Oscar nella sua categoria, esplora gli eventi successivi all’avvelenamento da agente nervino dell’oppositore del Cremlino, avvenuto nell’estate del 2020 a bordo dell’aereo che lo stava portando da Tomsk a Mosca.
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Nell’arco di 90 minuti, Navalny ripercorre, attraverso filmati in presa diretta e interviste alla moglie Yulia e ai collaboratori più stretti, il periodo di convalescenza trascorso dal dissidente russo in Germania, dove era stato trasferito dopo l’avvelenamento. In una scena, girata nel locale utilizzato come nascondiglio, l’oppositore chiama uno degli uomini sospettati di averlo avvelenato e lo porta a confessare dettagli dell’agguato, fingendosi un capo dei servizi di sicurezza particolarmente spazientito.
Come è nato il documentario premiato con l’Oscar
Inizialmente, il progetto di Roher era di lavorare con il giornalista investigativo bulgaro Christo Grozev, famoso per le sue inchieste per Bellingcat, su un altro tema. Tuttavia, subito dopo la notizia dell’avvelenamento di Navalny, Grozev ha iniziato a dedicare le sue energie alla ricerca dei colpevoli: muovendosi nel dark web, è riuscito a rintracciare un gruppo di otto agenti dei servizi segreti russi che sembrava lo avessero seguito in numerosi viaggi e per diversi anni. Raccolte le informazioni e accertatosi della loro attendibilità, ha chiesto a Navalny un appuntamento e lo ha raggiunto nella capitale tedesca in compagnia di Roher, che non ha mai smesso di filmare. Da qui è nata l’idea di realizzare un documentario a lui dedicato. «Quando Alexei si è svegliato dal coma a Berlino, aveva due idee in testa: confezionare un reportage dettagliato sul palazzo di Putin e sulla natura illecita della sua ricchezza e produrre un grosso docufilm destinato a Hollywood», ha spiegato il regista.
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Navalny sta scontando una condanna a 9 anni
Dopo aver affrontato un lungo e difficile percorso di recupero, a gennaio 2021 Navalny è rientrato in patria. Una volta atterrato all’aeroporto Sheremetyevo di Mosca è stato però arrestato e incarcerato con una condanna di 2 anni e 8 mesi per frode. Successivamente, a marzo 2022, Navalny ha ricevuto una condanna a 9 anni per frode su larga scala e oltraggio alla corte. Attualmente l’oppositore di Putin è detenuto in una colonia penale di massima sicurezza a 250 chilometri a est di Mosca. Recentemente è stato trasferito in una speciale cella di punizione, dove potrebbe rimanere per diversi mesi. Secondo i media indipendenti, l’attivista e politico ha problemi di salute e non sta ricevendo adeguata assistenza medica.
