L’Operazione Icaro alla fine s’è sciolta come cera al sole. Era stato pomposamente battezzato così il blitz ordinato dalla procura di Asti ed eseguito dalle fiamme gialle il 26 maggio scorso. In totale diciassette aerei privati confiscati per un valore complessivo di dieci milioni di euro. Perquisizioni all’alba ad Asti, Alessandria, Genova, Milano, Cremona, Varese, Bolzano, Venezia, Padova, Bologna, Ravenna, Pisa, Perugia, Terni, Viterbo, Roma, Caltanissetta e Ragusa. E per tutti un’accusa gravissima: contrabbando doganale, dai 3 ai 5 anni di reclusione se condannati.
L’accusa: aerei comprati negli Usa per aggirare l’Iva
Per gli investigatori, gli indagati avrebbero comprato i velivoli in Usa per poi importarli in Italia senza pagare l’Iva. «Soggetti che operano sul mercato in modo spregiudicato ed illecito», erano stati bollati nel comunicato stampa diffuso a operazione ancora in corso. «I paperoni restano a terra», avevano gongolato alcune testate giornalistiche sposando la tesi accusatoria.
Ma il 14 giugno il Tribunale del Riesame ha ribaltato tutto, revocando il decreto di confisca degli aerei e ordinandone l’immediata restituzione ai legittimi proprietari. Il perché è presto detto: i presunti contrabbandieri avevano tutti, nessuno escluso, la documentazione in regola. Documenti che però nessuno aveva chiesto loro.
Ultimo episodio di una lunga serie
Una bella doccia fredda per il sostituto procuratore Laura Deodato, in ogni caso non la prima per le procure a caccia di ricche canaglie (o canaglie perché ricche, chissà) che possono permettersi un aereo privato. Nell’ultimo decennio analoghe inchieste delle procure di Cagliari, Pisa e Genova (rispettivamente nel 2011, 2013 e 2015) erano finite con assoluzioni e archiviazioni.
Persino la Cassazione s’era espressa a favore dei contrabbandieri 8 anni fa, mettendo (teoricamente) la parola fine a dubbi e sospetti. «L’Iva non è un diritto di confine», ha sancito la Suprema Corte il 20 marzo 2014. E «scegliere Io Stato nel quale introdurre nella Comunità Europea, perché in esso si gode del regime fiscale più favorevole, costituisce esercizio del diritto di libera circolazione delle merci».
Documenti mai chiesti agli indagati
E invece no. La presunzione di colpevolezza verso i paperoni ha prevalso per l’ennesima volta. È questa la tesi dei legali degli indagati: «I proprietari hanno mostrato tutti i documenti, mai chiesti prima, né dalla procura né dalla guardia di finanza, con i quali era evidente che i velivoli erano stati, sia regolarmente sdoganati, che regolarmente denunciati nelle dichiarazioni dei redditi dove pagano anche la tassa del lusso». E in una nota aggiungono un altro tassello: «Il costoso blitz della procura di Asti, preceduto da due anni di indagini, durante le quali evidentemente non erano stati fatti i controlli più basilari presso dogane e agenzia delle entrate, non ha mai visto gli inquirenti chiedere i documenti agli interessati, procedura che sembrerebbe la più normale e che avrebbe evitato spese sia all’erario che agli interessati».