Ammettendo di essere «a disagio», ma precisando di avere le mani legate dalla recente decisione del dipartimento di Stato Usa, il giudice statunitense John Bates ha archiviato il caso contro Mohammed bin Salman per l’omicidio del giornalista e attivista Jamal Khashoggi. Nonostante «accuse credibili» che fosse coinvolto nel delitto, il principe ereditario saudita ha diritto all’immunità dopo la sua elezione a primo ministro. L’archiviazione del caso contro il nuovo capo di governo dell’Arabia Saudita è stata, dunque, un atto dovuto.

Immunità al principe saudita, una decisione che ha fatto discutere
La decisione concedere l’immunità a Mohammed bin Salman aveva sollevato molte critiche contro il presidente americano Joe Biden e la sua amministrazione, accusati da più parti di di aver capitolato davanti a petrolio e denaro sauditi. Anche perché, al di là della tempistica “sospetta”, l’incarico di premier sarebbe solamente di facciata. Re Salman, facendo un’eccezione alla legge del Paese, ha nominato il figlio primo ministro il 27 settembre, ovvero tre giorni prima dell’iniziale scadenza per il parere del governo Usa, ma negli incontri in cui è presente è il sovrano ad agire ancora come capo del governo. La conferma che è stata una manovra formale, attuata esclusivamente allo scopo di ottenere l’immunità.
La fine di Khashoggi, ucciso nel consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul
La compagna di Khashoggi Hatice Cengiz e l’organizzazione per i diritti umani Dawn, fondata dal giornalista dissidente ucciso, nell’ottobre 2020 avevano intentato una causa contro il principe bin Salman e altre 28 persone alla Corte distrettuale federale di Washington, affermando che gli assassini avevano «rapito, legato, drogato, torturato e ucciso» Khashoggi nel consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul. Il corpo del giornalista, che aveva 60 anni all’epoca dei fatti, è stato poi smembrato e i resti non sono mai stati ritrovati.
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Khashoggi, attivo su varie testate e molto critico sia nei confronti del principe ereditario Mohammad bin Salman che del re Salman dell’Arabia Saudita, a settembre del 2017 aveva lasciato il Paese, andando in esilio autoimposto. Il 2 ottobre 2018 si recò al consolato di Riad a Instanbul, per ottenere un documento che provasse che era divorziato, in modo da poter sposare la fidanzata turca: non lasciò mai l’edificio. Dichiarato persona scomparsa, già due settimane dopo un alto funzionario saudita ammise, interpellato dal New York Times, che Khashoggi era stato strangolato nel consolato. E, a metà novembre, la Cia indicò in Mohammed bin Salman il mandante dell’omicidio: l’intelligence Usa non ha mai avuto dubbi che Mohammed bin Salman sia stato il mandante dell’omicidio. Ma l’immunità ha impedito alla giustizia statunitense di andare avanti con il caso.
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