Raccontano le agenzie di stampa che il 28 giugno una delle sculture dell’artista statunitense Jeff Koons, Balloon Monkey (Magenta), sarà messa all’asta da Christie’s a Londra per raccogliere fondi per gli aiuti umanitari per l’Ucraina. L’opera sarà offerta con una stima tra 6 e 10 milioni di sterline (circa 7-11 milioni di euro) dal proprietario, l’oligarca ucraino Victor Pinchuk. Il ricavato sarà utilizzato per assistere soldati e civili gravemente feriti dalla guerra che necessitano urgentemente di protesi, cure mediche e riabilitazione. Già un paio di settimane fa, a Davos, in Svizzera, Pinchuk era finito sui media per aver trasformato quella che per gli ultimi decenni al Forum economico internazionale era stata la Russia House, cioè la sede dell’élite politica e finanziaria russa, nella Russia Warcrimes House, una mostra sui crimini di guerra commessi dalle truppe del Cremlino durante l’invasione dell’ex repubblica sovietica.

Da Pinchuk ad Akhmetov, gli oligarchi ucraini in prima linea contro Putin
Victor Pinchuk, secondo uomo più ricco del Paese dietro Rinat Akhmetov, è uno dei magnati che si è schierato, anche rumorosamente, contro Vladimir Putin. Da anni, anche attraverso la sua fondazione e la Yes (Yalta European Strategy), ha tentato di equilibrare le spinte politico-finanziarie centrifughe verso il Cremlino andando proprio nell’altra direzione, verso Occidente. Negli Anni 90 era partito dal versante filorusso, come tutti gli altri oligarchi nati con le privatizzazione selvagge dell’industria del Donbass, godendo della protezione dell’allora presidente Leonid Kuchma (1996-2004), diventato suo suocero. Poi la transizione lenta verso schieramenti più filoccidentali e la chiara presa di posizione con l’avvento del conflitto. La guerra ha spezzato definitivamente quelle reti che tenevano ancora legati i poteri forti tra Russia e Ucraina: ormai tutti gli oligarchi si sono spostati sul fronte antirusso, anche solo per il fatto che il “loro” Donbass sta diventando un cumulo di macerie sotto il controllo di Mosca. L’impero del carbone e dell’acciaio di Rinat Akhmetov non si sa che fine farà, a partire dal sito dell’Azovstal, la fabbrica diventata teatro della battaglia finale a Mariupol, ma l’uomo che era una volta il più grande sponsor del presidente filorusso Victor Yanukovich (2010-2014) ha detto di essere intenzionato ad andare di fronte ai tribunali internazionali per chiedere danni e compensazioni per le perdite subite.

Tregua per il nemico Poroshenko e l’ex alleato Kolomoisky
Anche Petro Poroshenko, ex presidente (2014-2019) e altro pezzo grosso dell’oligarchia ucraina, è in prima fila nella resistenza antirussa e, almeno in questa fase, è passato da nemico numero uno dell’attuale capo di Stato Volodymyr Zelensky, che lo aveva accusato di alto tradimento, a prezioso alleato: se prima dell’inizio del conflitto Zelensky aveva dichiarato guerra ai poteri forti, almeno quelli a lui più ostili, adesso ogni differenza tra oligarchi buoni e cattivi, utili e dannosi, è scomparsa. E così anche Igor Kolomoisky – padrino dopo la rivoluzione di Euromaidan del battaglione Azov e diventato temporaneamente governatore di Dnipropetrovsk, quindi ideatore e finanziatore della carriera politica di Zelensky, e infine bersaglio della rivincita presidenziale esplicitata nella legge “anti oligarchi” promossa per limitare la corruzione – può dormire sonni tranquilli con l’avvento della pace tra politica e oligarchia, che durerà almeno fino a quando la vera guerra sarà in corso. L’invasione russa ha messo una pietra sopra i conflitti interni del Paese e le faide sia politiche sia all’interno del mondo, sempre molto opaco, dell’economia e della finanza: gli oligarchi, piccoli e grandi, hanno dovuto mettere da parte le loro ambizioni e Zelensky ha dato alla politica il primato decisionale, anche se appunto si tratta di una fase temporanea eccezionale, con la guerra che sta affondando il Paese e riducendo non solo l’influenza, ma anche il patrimonio degli oligarchi.
