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Tre palle e un soldo

Nomine: il metodo Meloni fra industria, geopolitica e rapporti di potere

Il totonomi sulle partecipate impazza, ma nessuno spiega quali siano le logiche dietro la scelta dei candidati. La premier punta a scardinare un sistema che dura da almeno 10 anni. Facendo l’equilibrista fra pressioni internazionali, ambizioni della Lega e politica industriale. Ecco come si sta muovendo l’asse Giorgetti-Meloni.

31 Marzo 2023 18:0231 Marzo 2023 18:05 Andrea Muratore
Nomine: il metodo Meloni fra industria, geopolitica e rapporti di potere

La partita delle nomine è entrata nel vivo. Mancano poche settimane alla presentazione delle liste, previste subito dopo Pasqua. E la tornata di rinnovo dei vertici da parte del governo Meloni porterà al riassetto di Eni, Enel, Leonardo, Posta e Terna, il gotha delle partecipate. L’esecutivo dialoga, i partiti sono in campo e i nomi si sprecano. Ma al di fuori della girandola dei candidati e delle ambizioni dei singoli, c’è un sistema di potere in costante evoluzione. Nel Palazzo e fuori ci si accorge del fatto che il governo Meloni sta impostando un processo in parte nuovo, anche se l’asse portante è sempre quello tradizionale, Palazzo Chigi-Via XX Settembre. Giancarlo Giorgetti avrà la penultima parola, Giorgia Meloni l’ultima. Chiamata alla prova della verità e alla necessità di evitare nuovi casi Anastasio, la maggioranza e la premier hanno cambiato approccio. Le direttrici su cui Meloni si muove sono almeno tre: in primis, la gestione degli equilibri tra i vari “partiti” presenti nello Stato; in secondo luogo, la coesistenza tra politica estera e politica industriale nelle scelte chiave; infine, il tentativo di mettere gradualmente l’economia davanti alla politica in diversi campi chiave.

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Giancarlo Giorgetti e la premier Giorgia Meloni. (Getty Images)

I rapporti con le cordate e i ruoli di Tremonti e Fazzolari

Sul primo fronte la partita è quella nota da diversi mesi. Esiste una componente dello Stato, a cui Meloni guarda con attenzione, che fa riferimento alle cordate anglosassoni e americane, per una questione di rapporti politici, relazioni industriali, alleanze di sistema. L’atlantismo del governo Meloni, consolidato dalla presenza al Mef di Giorgetti e vigilato da figure di peso come Giulio Tremonti e Giovanbattista Fazzolari, si è consolidato con la chiara direttrice di Eni in allontanamento dal gas russo e con il colpo di Leonardo che sarà attore chiave nel progetto del caccia di sesta generazione Gcap con Regno Unito e Giappone. I mondi legati alle cordate franco-tedesche, ai tradizionali assetti storicamente vigilati dal Partito democratico e dal Quirinale, contano invece sul ruolo di mediazione del ministro della Difesa, Guido Crosetto.

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Ignazio La Russa e Giulio Tremonti. (Getty)

Gli intrecci fra sicurezza, industria e geopolitica

Sul secondo fronte è chiaro che, stando così le cose, Meloni mirerà a rivendicare con decisione le nomine di Leonardo e Eni. Due aziende tra le più “geopolitiche” del panorama italiano. Il momento attuale vede un nesso strategico tra politiche di sicurezza, politiche industriali e strategie geopolitiche. Da una pipeline a un accordo sulla Difesa, ogni attività delle nostre partecipate genera ricadute economiche e politiche. Dunque si assiste alla creazione di un nesso strutturale tra mondi di cui il governo deve tenere conto. E il round di incontri delle ultime settimane lo conferma.

Schierati dalla premier i pezzi grossi Mantovano e La Russa

Meloni ha schierato, in prima linea, la triade formata da Fazzolari, dal sottosegretario Alfredo Mantovano e dal presidente del Senato Ignazio La Russa. Garanti, contro l’inconsistenza delle frange più giovani del suo stesso partito, della ricezione di input e della comprensione dello scenario internazionale. La Russa ha ricevuto, in tempo di nomine, sia l’incaricato d’affari americano sia l’ambasciatore tedesco. Fazzolari e Mantovano guidano i rapporti con le aziende, mentre i cacciatori di teste sono in cerca dei nomi migliori per i consigli di amministrazione. Meloni ha invece incontrato, vis a vis, Emmanuel Macron, cercando di soppesare gli interessi di Italia e Francia su vari dossier, sicurezza compresa. E forse anche Tlc, con la questione Tim ancora aperta. In quest’ottica, anche per la compensazione di interessi in atto, saranno le logiche industriali ed economiche a farla da padrone. Meloni ha la sua golden share nell’inversione di tendenza rispetto al passato: «C’è più dialogo», nota chi conosce bene il dossier.

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Alfredo Mantovano. (Getty)

L’ambizione: non solo mera occupazione di poltrone

«La domanda iniziale posta dalla premier non ha riguardato la mera spartizione delle poltrone», si dice, «ma un concetto pienamente operativo: cosa serve a queste aziende?». Le imprese in questione non hanno un sistema consolidato di successione, contingency e risk management. Hanno però profonde necessità operative su cui si vorrebbe innestare la richiesta di discontinuità della Lega, che tocca in particolare Eni e Enel. Mentre su Leonardo l’obiettivo chiave sarà evolvere il gruppo verso il ruolo di punto di riferimento per progetti strategici di carattere tecnologico legati alla Difesa e alla sicurezza. Creando il polo dell’innovazione nel Paese che in passato ha saputo essere, per i grandi piani di sistema, Telecom Italia.

Occasione quasi irripetibile, come con Renzi 10 anni fa

In quest’ottica si dipana quindi una vicenda che vede le partecipate andare incontro a un sistema di nomine vigilato da Palazzo Chigi e Mef. Pronti a rivendicare risultati che garantiscano la continuità dell’Italia nei suoi sistemi di riferimento, atlantico in testa e europeo a seguire, ma seguendo una logica di pragmatismo. Meloni e Giorgetti sanno che ridurre a una corsa all’occupazione delle poltrone la partita delle nomine non permetterebbe di cogliere al volo i cambi di assetto di sistema paragonabili a quello che prefigurò l’ascesa al potere di Matteo Renzi tra il 2013 e il 2014.

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Matteo Renzi ai tempi delle Primarie 2012. (Getty)

La grande mischia dei papabili nomi? Meglio restarne fuori

«Cambieranno gli uomini e i rapporti di forza. Quello che sta per accadere è la fine del ciclo lungo e possente di un sistema di potere che ha segnato il Paese per quasi 15 anni. Si incrociano in una concentrazione impressionante scadenze anticipate e rinunce inaspettate, scadenze naturali e passaggi generazionali, l’esaurirsi di tendenze ormai consunte e l’emergere faticoso di tendenze nuove», scriveva nel 2013 Marco Panara su la Repubblica. Mettendo 10 anni al posto di 15, potrebbe descrivere il momento attuale. Meloni contiene la fame di potere dei suoi puntando a durare. E intanto, forte di questa logica, impazza la giostra dei possibili candidati, a cui evitiamo volutamente di partecipare. Titoloni, depistaggi, ballon d’essai, candidature gettate nella mischia per avvelenare i pozzi. Un gioco che va abbondantemente oltre la naturale curiosità giornalistica e che rischia di far diventare chi vi partecipa strumento di oscure trame decise da gruppi di potere e corpi separati.

Tag:Potere
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