«New York era la sua città, e lo sarebbe sempre stata». La Rhapsody in Blue di Gershwin in sottofondo, mentre sullo schermo scorrono, in bianco e nero, una dopo l’altra, in un susseguirsi ipnotico, quasi poetico, immagini di: grattacieli, ristoranti, insegne luminose, traffico, gente indaffarata e soprattutto un’incantevole ritratto di Park Avenue sotto la neve. Basterebbe l’incipit di Manhattan di Woody Allen (1979) per descrivere New York. Ogni altro tentativo risulterebbe superfluo. Un film che, come ha scritto Fabio Fulfaro su Sentieri Selvaggi, mette insieme «Groucho Marx e Bergman, Chaplin e Fellini». Come poter fare di meglio?
Questa è New York, il saggio di EB White apoteosi della letteratura sulla Grande mela
Ciò nonostante molto è stato scritto sulla città. Forse tutto il possibile. Sfondo eterno per commedie
romantiche, film di gangster e thriller finanziari. Fonte della poesia rinascimentale di Harlem e delle serie tv hipster ambientate a Brooklyn. La nascita dell’hip-hop. Un mare infinito di libri, film e blog hanno detto la loro e, ogni volta, le opinioni saltate fuori sono risultate frammentarie, contraddittorie e allo stesso tempo definitive. Sopravvalutata, solitaria, sovraffollata, bella, sporca, rumorosa, magnifica. Ma se c’è un’apoteosi nella letteratura, paragonabile a quello che è stato Manhattan di Woody Allen nel cinema, questo è il saggio trasformato in libro di EB White, intitolato Questa è New York, appena riedito da Garzanti. Nato quasi per caso nel 1949 come articolo destinato ad una rivista, questo agile libercolo composto da cinquanta sfolgoranti pagine ha avuto sorte di diventare il libro più citato in assoluto sulla città più affascinante e famosa del mondo. Una semplice passeggiata per le strade di Manhattan, trasformata nella lettera d’amore per eccellenza a New York e ai newyorkesi.

New York è cambiata dal 1949, ovviamente. L’America stessa è cambiata. Ma leggendo Questa è New York oggi, è impossibile scrollarsi di dosso la vaga sensazione che EB White avesse capito, già allora, il senso universale della città. Frasi come questa risultano forse perfino più attuali oggi che allora: «I newyorkesi per temperamento non bramano il comfort e la comodità: se lo facessero, vivrebbero altrove», dice ad un certo punto, ma dopotutto, «la città compensa i suoi rischi e le sue carenze fornendo ai suoi cittadini dosi massicce di una vitamina supplementare: il senso di appartenenza a qualcosa di unico, cosmopolita, potente e senza pari».
Anno bisestile, romanzo del 1988 di Peter Cameron ancora attuale
Sorprendentemente attuale risulta anche la lettura di Anno bisestile, primo romanzo di Peter Cameron, arrivato in Italia da poco grazie ad Adelphi. Pubblicato a puntate, settimana dopo settimana, durante il 1988 sull’allora neonata rivista di New York 7 Days, Anno bisestile è la cronaca, a volte satirica, a volte sentimentale, di dieci mesi di vita di un variegato gruppo di yuppies newyorkesi. Gente che lavora nelle pubbliche relazioni, nel settore bancario e nel’editoria. Legge People e la mattina sfoglia la New York Times Book Review. Gente che compra Frozfruits e Diet Dr. Peppers e mangia in ristoranti alla moda come Provence e NoHo Star. Cameron, che tecnicamente potrebbe essere classificato come un minimalista, non ha in realtà nulla di “minimo” nella confusione di emozioni represse e solitudine che pervadono le sue pagine.
Una vita come tante, affresco Hanya Yanagihara sulla crisi di identità di New York
Mentre nei decadenti Anni 80, i media riunirono i romanzieri Jay McInerney, Bret Easton Ellis, Tama Janowitz, Donna Tartt e Jill Eisenstadt in un gruppo noto come “brat pack letterario” formato da giovani scrittori che, si diceva, trascorressero più tempo nei bar del centro e nelle discoteche facendo festa fino all’alba invece di scrivere, Peter Cameron dipingeva un affresco tremendamente realistico di una New York complessa, conflittuale, in piena crisi di identità, molto simile a quella raccontata anni dopo in un altro romanzo, diventato anch’egli caso letterario, della scrittrice statunitense di origini hawaiane Hanya Yanagihara, intitolato Una vita come tante, che racconta la vita di quattro ragazzi a New York e svela le storie molto diverse delle loro famiglie e, soprattutto, le loro ambizioni intrecciandole con dosi massicce di malesseri e paure. Se si potesse scegliere un parente stretto del recente romanzo della Yanagihara, Anno bisestile di Cameron sarebbe sicuramente uno di questi.
Lo speciale di Riga sulla mostra alla Triennale dedicata a Saul Steinberg
Concludendo per i veri appassionati del genere una bonus track imperdibile la regala la rivista Riga, da qualche anno edita da Quodlibet, che dedica, in contemporanea con la mostra-monster ancora in cartello alla Triennale di Milano, un numero speciale a Saul Steinberg, il cartoonist più amato dalla bolla lit-glam che mette da sempre New York al centro dell’universo, come ha scritto Giulio Silvano su Esquire. Dentro ci trovate un dream-team novecentesco da leccarsi i baffi: Saul Bellow, Calvino, Soldati, John Ashbery, Updike, Gombrich, Gopnik. Roba per palati fini.