Ci sono dischi che suonano forte già dalla copertina. Il 24 settembre del 1991 l’arrivo nei negozi di Nevermind, il secondo album dei Nirvana, venne notato in primo luogo per la foto di un bambino intento a catturare una banconota appesa a un amo. Oggi quel bambino, ormai 30enne, ha denunciato gli ex membri della band e gli eredi di Kurt Cobain (oltre alla casa discografica e al fotografo Kirk Weddle, ai tempi amico di suo padre) per violazione della legge sulla pornografia infantile e sfruttamento improprio della sua immagine. Il tutto mentre i fan di tutto il mondo si apprestano a festeggiare il trentennale dell’uscita di uno degli album più importanti della storia rock. Spencer Elden, questo il nome di colui che per molti mesi è stato il bambino più famoso del mondo, sostiene di aver subito danni permanenti che hanno limitato il suo normale sviluppo e il suo apprendimento, provocandogli anche scompensi emotivi e sintomi fisici. E dire che negli anni passati aveva più volte posato per ricreare la celebre copertina e si era fatto tatuare sul petto il titolo dell’album. Comunque vada a finire la vicenda giudiziaria, quella di Nevermind e del rapporto dei Nirvana con l’Italia è una storia che merita di essere raccontata. Al momento dell’esplosione commerciale dell’album la band si trovava infatti in tour nel nostro Paese, dove era già stata in precedenza e dove sarebbe tornata in seguito, per alcuni fra gli ultimi concerti della sua breve storia, prima della tragica fine di Kurt Cobain.
I primi concerti (flop) dei Nirvana in Italia: al Bloom di Mezzago e al Piper di Roma
I primi due concerti italiani dei Nirvana risalgono alla fine di novembre del 1989, poco più di due settimane dopo la caduta del Muro di Berlino. Kurt Cobain, Krist Novoselic e Chad Channing hanno da poco pubblicato Bleach, album d’esordio messo assieme in 30 ore, costato solo 600 dollari e pubblicato dalla Sub Pop, una piccola etichetta di Seattle. Il 26 sono attesi al Bloom di Mezzago, in Brianza, locale storico per i concerti fuori dai grandi giri, assieme ai TAD. «Due gruppi di moderno hard-rock d’oltreoceano» si legge nel volantino. A vederli ci sono meno di 200 persone, ricordano al Bloom, dove a fine serata i tre Nirvana danno una mano con la chiusura, ammucchiando le sedie mentre i baristi sistemano bicchieri e bottiglie. Non molta più gente li aspetta il giorno dopo al Piper di Roma per la seconda e ultima data, ma nei mesi successivi i Nirvana compiono un salto di categoria.
Smells Like Teen Spirit: l’inno di una generazione
Il contratto per il secondo album viene infatti firmato con la Geffen, major del disco che sta reclutando gruppi underground nella speranza di suscitare l’interesse delle grandi platee. «Spero di poter guadagnare abbastanza da poter vivere di musica», dice il 24enne Kurt Cobain. Gli stessi discografici sarebbero più che soddisfatti di vendere qualche centinaio di migliaio di copie. Il budget sale a 100 mila dollari, e dietro i tamburi si siede il 22enne Dave Grohl. Aperto da un inno come Smells Like Teen Spirit, uno dei brani più memorabili degli Anni 90, Nevermind è l’album simbolo di un genere-non genere chiamato grunge, che in quel 1991 porta all’attenzione del mondo la sua ricetta fatta di hard e punk, pop e psichedelia, ingredienti che in percentuali diverse danno sapore a dischi come Ten, l’album d’esordio dei Pearl Jam, Badmotorfinger dei Soundgarden ed Every Good Boy Deserves Fudge dei Mudhoney, tutte band provenienti dall’area di Seattle.
1991, l’anno memorabile della musica rock
Per la musica rock è un’annata benedetta: nello stesso anno la Gran Bretagna produce capolavori come Screamadelica dei Primal Scream, Blue Lines dei Massive Attack e Loveless dei My Bloody Valentine, e anche il rock classico e il metal dicono la loro con Achtung Baby degli U2 e il black album dei Metallica. Ma i Nirvana che nell’autunno del ’91 volano in Europa per un tour che prevede cinque date italiane non sanno ancora che quello sarà il loro anno. Le vendite stanno andando bene, come previsto. Kurt e gli altri potranno diventare musicisti di professione e smettere di sbarcare il lunario con lavori saltuari, ma all’esplosione del fenomeno Nirvana manca ancora qualche settimana. Prima data a Muggia, vicino a Trieste. Impossibilitati a esibirsi in quella che ormai non è già più la Jugoslavia, i Nirvana (e in particolare Krist Novoselic, di origini croate) chiedono di suonare in una città vicina al confine. Al teatro Verdi, in quegli anni gestito da un gruppo di ex partigiani, arrivano più di 1000 persone, metà delle quali dalla Slovenia. Un’ora di concerto, con i brani del nuovo album a fare la parte del leone, come sarà anche nelle date successive. Kurt Cobain sta già con Courtney Love, con la quale si intrattiene in lunghe telefonate. Il cellulare è roba per pochi, e Fabrizio Comel di Globogas, l’agenzia organizzatrice del concerto, ricorda ancora il salatissimo conto telefonico dell’albergo: un milione di lire.
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I report quotidiani della casa discografica, intanto, sono sempre più entusiastici. In patria i Nirvana sfiorano le 100 mila copie al giorno. Sta succedendo qualcosa, come si accorgono anche al Bloom di Mezzago. La sala è una bolgia, dentro questa volta ci sono 600 persone schiacciate contro ogni legge fisica, fuori un cartellone che invita chi è privo del biglietto a tornare a casa. I soci e i lavoratori della cooperativa che gestisce il locale non possono nemmeno godersi il concerto, impegnati come sono a calmare i più esagitati, che vorrebbero entrare a tutti i costi. Dentro intanto si poga e si vola sulle teste del pubblico. Anche Roma si accorge che Nevermind è un album in grado di dividere la storia rock in prima e dopo, modificando i rapporti tra la grande industria discografica e l’underground. I Nirvana stanno dimostrando, numeri alla mano, che anche la musica non commerciale vende e va in classifica. Era già successo qualche mese prima con i R.E.M. di Out Of Time. «Un’atmosfera», quella del Castello di Roma, «che pur nelle ovvie differenze di suono ricordava quella dell’infuocato ’77 londinese». Così scrive Federico Guglielmi, una delle firme storiche del giornalismo rock di casa nostra, su Velvet, mensile da lui stesso fondato. Il tour italiano si chiude alla Kryptonight di Baricella, vicino a Bologna, quando ormai le copie giornaliere vendute sono quattrocentomila e lo status dei Nirvana sta per diventare quello di superstar.
Il giallo del concerto saltato allo Studio 2 di Torino
In mezzo c’è tempo anche per il giallo del concerto saltato allo Studio 2 di Torino. Che è successo? Versione ufficiale: uno sciopero dei benzinai ha impedito ai camion che trasportano le apparecchiature di raggiungere il locale. La vera storia è un’altra, ed è stata raccontata anni dopo da Cosimo Ammendolia, storico organizzatore torinese di concerti. «Lo sciopero in effetti fu la scusa che i promoter nazionali inizialmente mi rifilarono. La realtà è che le date dei Nirvana furono divise fra due promoter italiani dell’epoca. La sera del primo concerto ci furono problemi fra uno dei promoter e il management inglese. Il risultato fu che gli inglesi cancellarono la seconda data di quel promoter, ovvero Torino». Privando quindi il pubblico dello Studio 2 di un live per vari motivi memorabile. «Il gruppo Usa non s’è presentato al concerto in programma ieri sera allo Studio 2», scrisse Gabriele Ferraris sulla Stampa. «Motivazione del manager: “C’è lo sciopero dei benzinai, temiamo di non poter rientrare a Roma dove mercoledì abbiamo un concerto e un programma Rai”. Inutile l’impegno degli organizzatori (Metropolis e Radio Flash) a trovare comunque il gasolio per i camion. Torino è stata snobbata ancora una volta da un rock business sempre più scorretto e avventuristico».
Con In Utero i Nirvana riempiono i palazzetti
Per rivedere i Nirvana in Italia devono passare altri due anni e mezzo. In Utero, il terzo album, vende meno di Nevermind ma non è certamente meno bello, anzi. Le platee, in compenso, sono decisamente più ampie. Quattro i concerti in programma: Palasport di Modena, Palaghiaccio di Marino e due date conclusive al PalaTrussardi di Milano. Cobain intanto rilascia interviste in cui spiega che non gli piace fare la rockstar, che è stufo di suonare Smells Like Teen Spirit e che ha deciso di toglierla dalla scaletta. E i resoconti dei concerti che precedono quelli italiani parlano di una band stanca e poco affiatata. Sarà, ma a Milano Smells Like Teen Spirit si sente forte e chiara e soprattutto non si ha la sensazione di un gruppo a fine corsa. Anche in un palazzetto da 10 mila posti i Nirvana riescono a trascinare il pubblico, anche quello delle ultime file. A Roma c’è tempo per una partecipazione a Tunnel, il programma satirico della banda Dandini-Guzzanti, con Lorenzo (Corrado Guzzanti) che al termine di Serve The Servants cerca di “tirare in mezzo” Cobain e gli altri, comprensibilmente un po’ straniti.
Quelli italiani saranno tra gli ultimi concerti dei Nirvana. Ai primi di marzo, proprio a Roma, Kurt Cobain finisce in coma. «Ero a Seattle il 4 marzo 1994 quando ho sentito la notizia», scrive su The Face Douglas Coupland nel suo saluto al cantante. «Eri a Roma, avevi bevuto troppo champagne, preso troppi sedativi, del Rohypnol e avevi l’influenza», prosegue l’autore di Generazione X. «Insomma, eri in coma. Ho vissuto in Italia nel 1984 e ricordo che là i farmacisti dispensano sedativi come fossero caramelle, quindi la notizia era credibile». A parte il discutibile giudizio sui farmacisti, Cobain è in coma all’American Hospital. Ne uscirà dopo qualche giorno per fare ritorno negli Stati Uniti, dove poco più di un mese più tardi porrà fine alla propria parabola e a quella dei Nirvana.