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Perché credere Putin totalmente isolato è un errore

Se da un lato il presidente russo è riuscito a ricompattare l’Ue e dare nuova linfa alla Nato, dall’altro considerarlo totalmente isolato è miope. Turchia, Cina, India, ma anche le petromonarchie del Golfo hanno interesse a mantenere la partnership con Mosca. Per questo è il momento che l’Europa si intesti una proposta seria di negoziato.

26 Marzo 2022 10:00 Armando Sanguini
Per negoziare Putin non va considerato isolato

L’Occidente si schiera e lo fa con tre vertici in successione: Nato, G7 e Consiglio europeo. Un dispiegamento di forza economica e politica impressionante, arricchito dalla presenza del Presidente americano Joe Biden. Una manifestazione di coesione e determinazione che certo non era data per scontata anche solo un mese fa, quando cioè ancora non si era materializzata l’aggressione di Putin all’Ucraina.

Senza volerlo Putin ha restituito forza a Ue e Nato

Certamente senza volerlo Putin è riuscito a ricompattare non solo un’Unione europea a cui già il Covid era riuscito a dare un’importante scossa unitaria e a prefigurare l’orizzonte di una perseguibile soggettività internazionale degna della sua forza economica, commerciale e finanziaria. Putin è riuscito anche a riconfortare il senso strategico di una Nato che recentemente il presidente francese Emmanuel Macron aveva bollato come affetta da «morte celebrale». Ed è vero che questo schieramento sta mostrando anche il limite oltre il quale l’Occidente e l’Europa in particolare non vogliono portare la conclamata difesa dei valori della democrazia della libertà e della sovranità dell’Ucraina; limite che riguarda lo strumento delle sanzioni con le quali gli europei resistono all’idea di mettere a rischio le forniture energetiche di cui hanno tanto bisogno (Italia in testa e poi la Germania). Limite che ha comportato anche la ribadita indisponibilità a offrire una no fly zone e nostri “scarponi militari” in terra ucraina.

Putin non è completamente isolato e crederlo sarebbe un errore
Il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg durante l’esercitazione in Norvegia (Getty Images).

Perché nessuno ha impedito la annunciata invasione dell’Ucraina?

Ma da questo schieramento è anche emersa la determinazione di assicurare una significativa fornitura di armi tra le quali sistemi anticarro, di difesa aerea e di droni che, come ha detto il Segretario generale Nato, Jens Stoltenberg al termine del vertice straordinario, si sono dimostrati altamente efficaci. Val la pena ricordare al riguardo gli oltre 10 miliardi di dollari di forniture di armi già assicurate all’Ucraina negli ultimi 12 mesi se non di più. Ciò che lascia pensare sono le ragioni per le quali davanti al quasi quotidiano allarme circa la volontà di Mosca di invadere l’Ucraina non si sia cercato di impedirlo, magari con un rinnovato impegno a dare finalmente seguito all’accordo di Minsk 2 (2015) siglato da Kyiv, Mosca, Parigi e Berlino in cui si prevedeva, tra l’altro, l’attribuzione al Donbass di una speciale autonomia. È stata anche confermata l’istituzione di quattro gruppi tattici in Slovacchia, Romania, Bulgaria e Ungheria, a prova, ha sottolineato sempre Stoltenberg, che «difenderemo e proteggeremo collettivamente ogni centimetro del territorio della Nato». Cosa che verosimilmente rischierà di accentuare la percezione dell’accerchiamento dell’Alleanza Atlantica ai danni della Russia. Dunque Putin può solo ringraziare se stesso per le ripercussioni provocate dalla sua insana invasione. Ci si può domandare se non si sia fatto trascinare in una tragica trappola ordita ai suoi danni dal ‘famigerato’ Occidente che gli ha offerto l’occasione di una sua espansione a Ovest a tutela delle minoranze russe per rispondere poi in termini di una imprevista (per Putin) resistenza ucraina.

Putin non è completamente isolato e crederlo sarebbe un errore
Il presidente turco Recep Tayyp Erdogan e Vladimir Putin (Getty Images).

Il Cremlino non è isolato quanto si pensi

Resta il fatto che a un mese di distanza dall’aggressione, Putin appare in difficoltà anche se continua a stringere il Paese, soprattutto il sud-est, nella morsa di un bellicose assedio. In difficoltà, certo. Ma attenzione a non sottolineare troppo a gran voce il suo isolamento internazionale. In una posizione defilata ma resistente la Cina non ha interesse a lasciare sola la Russia. Lo stesso dicasi per l’India e il Pakistan che non sono certo secondari. E poi c’è una regione MENA (Medio Oriente e Nord Africa) dove le vicinanze di interesse superano le distanze. Paesi come la Turchia stanno preferendo porsi in gioco come mediatori, mantenendo peraltro una sostanziale neutralità (no sanzioni). Israele non vuole inimicarsi Mosca del cui benevolo disinteresse ha bisogno per continuare a contrastare l’espansionismo regionale iraniano e allargare la tela del processo di normalizzazione dei rapporti con i Paesi arabi (Accordi di Abramo); normalizzazione tanto più ricercata oggi per la reale prospettiva di un rientro degli Usa nell’accordo nucleare iraniano, abbandonato da Donald Trump, dove la prospettiva di evitare una corsa al nucleare continua a far premio sul tema della stabilità regionale che Teheran non sta certo favorendo.

perché credere nel totale isolamento di Putin può essere un errore
Un cartellone che raffigura Basgar al Assad e Putin a Damasco (Getty Images).

La partita di Erdogan e il cambio di prospettiva su Damasco

La Turchia di Erdogan ha robusti interessi con Mosca e Kyiv e non vuole pregiudicarli anche nella prospettiva delle prossime elezioni presidenziali. Ha la Crimea proprio di fronte e ha già assaggiato l’amaro calice della reazione di forza russa in Siria. Conta su una sorte di passività della Nato di cui continua a essere indisturbato membro. Era scontato che la Siria si sarebbe dichiaratamente schierata con Mosca, ma ciò che più conta è il fatto che il mondo arabo la stia ri-accogliendo nella Lega nel convincimento (realistico) che Bashar al Assad non sia più amovibile, almeno per un tempo imprevedibile. Non fanno eccezione le monarchie del Golfo che non intendono mettere in discussione l’ombrello protettivo degli Usa ma non vogliono neppure sacrificare la loro strategia di partecipazione a pieno titolo al condominio del mondo. Detto in estrema sintesi: le petromonarchie non hanno totale fiducia di Washington e non intendono bruciare i ponti di partenariato con Mosca, tanto meno con Pechino. Il discorso potrebbe allargarsi al Nord Africa e al Sahel dove Mosca è riuscita a inserirsi nello spazio lasciato libero dagli Usa (e dall’Europa). E poco importa nei fatti se ciò è avvenuto anche col soccorso delle milizie mercenarie Wagner. Conta ben più, tra l’altro, il rischio della crisi alimentare che questa guerra tra i due colossi dei cereali (Russia e Ucraina) sta minacciando in un’area ad altissimo consume di pane – dall’Egitto alla Tunisia allo Yemen – e alle prese con una dilagante crisi ambientale.

Putin non è completamente isolato
Xi Jinping, Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan al G20 del 2017 (Getty Images).

Zelensky ha vinto la battaglia mediatica, ora però deve vincere la pace

Ho svolto questi cenni solo per mitigare l’impressione di un sostanziale isolamento di Putin e trarne indicazioni utili sulla strada di quel negoziato che stenta a decollare anche perché è sapientemente lastricata dalla battaglia mediatica di Volodymyr Zelensky presso i parlamenti dell’Occidente; battaglia che lo vede decisamente vincente e premiato dal sostegno che sta ricevendo dalla sua popolazione, quella combattente ma anche quella in fuga dalla guerra, entrambe meritevoli del più alto apprezzamento. Ma Zelensky è chiamato a vincere anche la pace e dunque a misurare l’altezza delle sue prese di posizione rispetto alla prospettiva di una nuova guerra fredda giocata o meglio sofferta nel cuore dell’Europa.

Pillon e gli altri: i parlamentari che dicono no Zelensky. Il presidente ucraino si collegherà con Montecitorio il 22 marzo.
Volodymyr Zelensky in videoconferenza al Bundestag.

L’Europa deve intestarsi una proposta concreta di negoziato con la Russia

Ha ragione il Presidente del Consiglio Mario Draghi nell’affermare che Putin parteciperà al negoziato quando lo deciderà lui, ma sono persuaso che l’Unione europea, il cui destino è in gioco, sia chiamata a recuperare una sintesi tra passato, presente e futuro su cui concepire e attuare una nuova architettura di sicurezza e di cooperazione europea, non un maleodorante e pernicioso fossato conflittuale. Fossato che non vorrei augurare ai giovani di oggi e che fa tremare le vene ai polsi al solo pensiero anche se forse non è estraneo a una Washington che punta a dividere Russia da Cina e a tenere l’Europa in una chiave subordinate e sotto la ferula della Nato. Occorre che l’Europa si intesti una proposta concreta di negoziato e che non si cerchi di superare una pericolosa linea rossa di cui sappiamo molto bene il tracciato. E se è vero che la questione ucraina tocca il “centro” dell’Europa non è meno vero che ciò è avvenuto perché nel tempo si è lasciato che si verificasse uno spostamento dell’asse di equilibrio europeo a Est a scapito di quello euro-mediterraneo. Non dimentichiamo che di questo centro fanno parte anche Paesi che non sono proprio esempi di democrazia e di rispetto dei diritti umani come ci ricorda amaramente la sorte riservata a quesi poveri disgraziati ricacciati – e ancora rifiutati – dal confine bielorusso ma anche il rifiuto a uno schema di ripartizione dei profughi che arrivano dal Sud. La memoria è importante.

Tag:Crisi ucraina
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