Messico: perché è scoppiata una nuova guerra tra i cartelli della droga

Alberto Spiller
20/03/2022

La malattia o addirittura la morte di El Mencho, super boss del Jalisco Nueva Generacion e le lotte interne alle varie organizzazioni compresa Sinaloa hanno spaccato gli equilibri e riacceso la guerra tra cartelli. Ecco chi controlla o vorrebbe controllare il narcotraffico.

Messico: perché è scoppiata una nuova guerra tra i cartelli della droga

Da Guadalajara. Il 27 febbraio scorso, a Mazamitla, un rinomato centro della Sierra occidentale nello Stato di Jalisco chiamato la Svizzera messicana, era tutto normale. Un sabato come tanti: molti turisti arrivati come ogni weekend dalla vicina Guadalajara, bancarelle, tour a cavallo, bici o in moto e ristoranti pieni. Ma nel tardo pomeriggio di domenica, di colpo, tutto è cambiato. Negozi e posti ambulanti chiusi, strade vuote, al posto di cavalli e squad in strada solo blindati della polizia. Il coprifuoco, anche se non ufficiale, era stato dichiarato sui social. E sempre dai social era arrivato l’allarme alcune ore prima: un video girato a San José de Gracia, paese a solo nove chilometri di distanza nel vicino Stato di Michoacán, mostrava un gruppo di uomini, con la schiena al muro, fucilati a sangue freddo. Nonostante le ricerche delle forze statali e federali, nel luogo dell’esecuzione, dove si stava celebrando un funerale, non sono stati trovati cadaveri. Solo pochi indizi, come se qualcuno avesse eliminato le prove. Ma le testimonianze e i video girati sui social non lasciavano dubbi. I sicari hanno caricato i corpi su varie jeep (come mostra uno dei video) per non lasciare tracce.

La strage di San José de la Gracia è la peggiore della presidenza Obrador

Le prime informazioni parlavano di 17 morti. Dal canto suo, in assenza di cadaveri, il governo federale aveva preferito trincerarsi dietro un no comment, non riconoscendo quella che di fatto è stata la strage più cruenta del narcotraffico sotto l’attuale presidente Andrés Manuel López Obrador. I fatti di San José de la Gracia, oltre a dimostrare l’incapacità delle autorità nella lotta al narcotraffico, confermano quello che voci di corridoio stanno insinuando già da tempo e che preoccupa le agenzie di sicurezza tanto in Messico quanto all’estero: la guerra intestina all’interno del cartello più potente del Messico, il Cártel Jalisco Nueva Generacion (Cjng). La crisi interna sarebbe dovuta alle precarie condizioni di salute in cui verserebbe il boss Nemesio Oseguera Cervantes, El Mencho, che alcuni danno addirittura per morto. 

I motivi della nuova guerra tra i cartelli della droga messicani
La taglia di 10 milioni di dollari sul Mencho, considerato il nuovo boss dei cartelli.

La morte del Mencho, verità o leggenda?

L’ipotesi che Oseguera Cervantes sia morto non è nuova. Già nel giugno del 2020 era circolata sui social la notizia che il capo, obiettivo numero uno della Dea che offre una ricompensa di 10 milioni di dollari a chiunque dia informazioni utili alla sua cattura, era stato ucciso in uno scontro con forze federali. Il presidente Obrador però aveva smentito l’indiscrezione. Vero è che fin dal 2017 le autorità federali ricevono informazioni sulle condizioni di salute del Mencho che soffrirebbe di insufficienza renale acuta. La malattia e la difficoltà di di nascondersi hanno spinto il boss a costruirsi un ospedale privato sulle montagne tra Jalisco e Michoacán, dove è nato e starebbe trascorrendo la latitanza. La struttura, che offre servizi anche alla popolazione di Villa Purificación, una delle roccaforti del Cjng, è stata avvistata da un elicottero militare durante un’operazione per la cattura dello stesso Mencho. La notizia della morte del capo del cartello è tornata a circolare anche il mese scorso. Questa volta però a diffonderla è stato il capo dei suoi sicari José Bernabé Brizuela Meraz, alias “La Vaca”, “La Bestia” o El Animal”, leader degli scissionisti di Los Mezcales.

I motivi della nuova guerra tra i cartelli della droga messicani
Scontri a Guadalajara (Getty Images).

Chi comanda ora il narcotraffico in Messico?

Le dichiarazioni di Brizuela Meraz hanno generato molteplici teorie sulla morte del Mencho: secondo alcuni sarebbe stato ucciso in uno scontro a fuoco con l’esercito, secondo altri è rimasto vittima della guerra dei cartelli. Infine c’è chi sostiene che sia morto di infarto in un ospedale di Guadalajara. Sebbene non ci siano conferme ufficiali, la lotta all’interno del cartello potrebbe essere la prova che il capo o è morto o è gravemente malato. L’ultimo colpo a una organizzazione già indebolita dall’arresto di Rosalinda González Valencia, moglie del Mencho e ‘banchiera’ del cartello. La sua cattura, avvenuta a inizio 2022 con una spettacolare operazione con elicotteri e mezzi blindati in una delle zone residenziali più ricche di Guadalajara, è solo l’ultimo di una serie di colpi ai danni della famiglia del boss. Nel 2015 erano stati arrestati il figlio, Rubén Oseguera “El Menchito”, e sua sorella Jessica Johanna Oseguera, oltre a una serie di capi intermedi.

La faida interna al cartello di Sinaloa

Non va meglio però agli altri cartelli. Secondo un rapporto del gabinetto di sicurezza messicano, sono ben 16 le organizzazioni criminali in guerra per il controllo del territorio e il narcotraffico. ​Il Cjng e il cartello di Sinaloa sono le principali. E anche all’interno di quest’ultimo si sta consumando una faida tra due fazioni rivali: quella de “Los Chapitos”, i sanguinari figli di Joaquín “El Chapo” Guzmán attualmente in carcere negli Stati Uniti, quella di Ismael “El Mayo” Zambada, considerato da molti il vero leader dell’organizzazione. Sinaloa controllerebbe buona parte della frontiera ovest e del nord del Paese, fino all’Oceano Pacifico, dove è però è in lotta con il cartello di Juárez e quello dei fratelli Arellano Félix.

I motivi della nuova guerra tra i cartelli della droga messicani
L’arresto de El Huevo, considerato il boss del cartello del Nordest.

La guerra tra il cartello del Golfo contro i Los Zetas e il cartello del Nordest

​La parte orientale della frontiera invece è territorio del cartello del Golfo, in guerra permanente contro Los Zetas e il cartello del Nordest. La recente cattura del presunto boss Juan Gerardo Treviño, El Huevo, è stata definita dal segretario messicano agli Affari Esteri, Marcelo Ebrard «uno degli arresti più importanti dell’ultimo decennio». Un entusiasmo che però non convince i messicani. Di fronte ai massacri che avvengono ogni giorno in tutto il Paese, all’opinione pubblica sembra solo l’ennesimo tentativo da parte del governo di, come si dice in Messico, «nascondere il sole con un dito». ​Il Cjng invece controlla gran parte del centro del Paese, da oceano a oceano, dove si spartisce il territorio, tra un conflitto l’altro, con organizzazioni minori come La Familia michoacana e i Cavalieri Templari, i Beltrán Leyva, Guerreros Unidos, Los Rojos o Los Viagras. In questo quadro già di per sé complicato l’età del Mayo che ha superato i 70 anni e soprattutto la delicata situazione del Mencho potrebbero far precipitare i precari equilibri esistenti tra le diverse organizzazioni.

La guerra intera al Cjng e la battaglia nel carcere di Colima

La rissa che si è consumata il 22 gennaio scorso nella prigione Colima tra esponenti dei due gruppi del Cjng, tra cui i Los Mezcales comandati da La Vaca, fa prevedere il peggio. La spietata lotta a colpi di coltelli, forbici, taglierini e armi fatte in casa ha lasciato a terra diversi morti. Lo scontro dal carcere si è presto estesa alla città. Per sei giorni sparatorie e coprifuoco hanno svuotato le strade di questo centro sull’Oceano Pacifico, che si sono riempite di cadaveri e proiettili. Un testimone sentito da Tag43 ha riferito che nessuno osava uscire di casa in moto, nemmeno durante il giorno, per paura di essere giustiziato. La moto infatti è il mezzo sul quale si muovevano i sicari delle opposte fazioni.

i nuovi equilibri tra i cartelli messicani
Collane con la foto di Joaquin “El Chapo” Guzman (Getty Images).

​Poche settimane dopo, e per chiudere il cerchio, Alejandro García “El Pelón”, a capo di una cellula del Cjng che da alcuni anni controlla il territorio di Colima, ha deciso di recarsi a San José de Gracia per assistere al funerale di sua madre. A causa delle minacce di Abel Alcántar “El Viejón”, suo ex subalterno che dopo l’arresto de El Pelón nel 2019 lo aveva tradito e si era impossessato del controllo della zona, García era arrivato accompagnato da una decina di guardaspalle. ​Dopo meno di un’ora dal loro arrivo, l’area è stata circondata da 40 uomini di Alcántar, appartenenti a un altro gruppo del Cjng. Dalle testimonianze, lui stesso avrebbe giustiziato Pelón con quattro colpi di pistola in pieno viso. Poi, i suoi uomini, dopo essere stati fatti mettere faccia al muro sono stati fucilati. Undici le vittime confermate, almeno secondo i rilievi della scientifica basati sulle tracce di sangue rinvenute sul luogo. Uno dei tanti massacri che, quasi ogni giorno, insanguinano le strade di città e piccoli paesi, sottomessi ai narcos e alla paura.