Naomi e le sue sorelle

Redazione
02/06/2021

Il ritiro di Osaka dai Roland Garros non stupisce. C'è una generazione di giovani atlete pronte a ribellarsi al sistema: da Simone Biles a Mary Cain.

Naomi e le sue sorelle

Abbandonare il Roland Garros, dopo aver disertato una conferenza stampa che le avrebbe procurato solo ansia (per questo è stata multata dall’organizzazione), non è stato solo un modo per salvaguardare la propria salute mentale. Quello di Naomi Osaka è stato un vero e proprio messaggio inviato all’establishment del tennis, uno degli sport più elitari al mondo: non mi farò più manovrare. Ne è convinta Lindsay Crouse, giornalista del New York Times che dedica alla campionessa giapponese un lungo editoriale. Il punto è semplice: quando il sistema non ti ha sostenuto, perché ti dovresti sacrificare per sostenerlo? Soprattutto se hai il potere, di immagine ed economico, per cambiarlo stabilendo le tue condizioni?

Non solo Osaka: i casi di Simone Biles, Mary Cain e Allyson Felix

Osaka, 23 anni, non è l’unica sportiva ad avere sofferto di depressione e ad aver preferito se stessa alle coppe. Nel 2017 la mezzofondista Usa Mary Cain lasciò le piste e l’allenatore Nike Alberto Salazar per salvaguardare la propria salute mentale. Ora ha dato vita a una squadra di atletica tutta femminile le cui atlete dipendono da una organizzazione no-profit e non da una società. Un modo per proteggerle e farle sentire al sicuro. Tra gli atleti che hanno detto no al sistema, c’è anche la ginnasta e campionessa olimpica ai Giochi di Rio 2016 Simone Biles. La 24enne lo scorso aprile ha abbandonato la Nike per la Athleta, uno sponsor che a suo dire la avrebbe «supportata non solo come atleta ma anche come persona». La stessa scelta l’aveva fatta nel 2019 la velocista e sei volte medaglia d’oro alle Olimpiadi Allyson Felix che aveva accusando la Nike di aver ridotto il suo compenso del 70 per cento nei mesi successivi al parto. Dal canto suo il brand fece un passo indietro, cambiò la sua policy e ora dedica intere collezioni alle future mamme. Felix vinse la sua battaglia. A dimostrazione che puntare i piedi e dire no a volte paga. E parecchio.

 

Da Naomi Osaka a Simone Biles: le campionesse che dicono no
La ginnasta Usa Simone Biles (Getty Images).

La pressione a cui queste atlete sono sottoposte però non può stupire. Il sistema professionistico non dovrebbe ammettere disparità di genere, ma così non è. Basta considerare il fatto che Osaka è sì l’atleta donna più pagata al mondo – nel 2019 ha guadagnato 37,4 milioni di dollari – ma davanti a lei ci sono 14 uomini. Non solo. Osaka – ma anche Biles, Cain e molte altre atlete – ora è osannata sui social per i messaggi che ha lanciato e per aver parlato a cuore aperto sui social dei suoi problemi. Un coraggio che però la espone a diversi rischi. Essendo brand di se stessa e guadagnando perlopiù con le sponsorizzazioni ogni presa di posizione, come aver indossato una maschera del Black Lives Matter agli Us Open del 2020, può causare terremoti. Due volte onore a lei, dunque.