Naomi Kawase sarà la regista del film ufficiale delle Olimpiadi di Tokyo 2020. Un lavoro difficile già di per sé, ancora più complicato quest’anno. Non solo per la pandemia, che ha posticipato i Giochi e costringerà gli atleti a gareggiare senza pubblico, ma anche perché Kawasi è un’artista indipendente, e dovrà invece confrontarsi con un’istituzione gigantesca come il Comitato olimpico internazionale. Come lavorerà a servizio di un evento enorme e dall’impatto commerciale altissimo come le Olimpiadi?
Intervistata dalla Cnn, la regista di Hikari e Moe no suzaku (migliore opera prima a Cannes nel 1997) sembra non voler modificare il suo stile. Di certo, come ammette la stessa Kawase, la pandemia l’ha costretta a cambiare idee in corso e anche la struttura narrativa del film, ma questo potrebbe arricchire, invece di indebolire, la sceneggiatura: «Vorrei che quest’opera rimanesse nel tempo, anche tra 50 o 100 anni». Il punto di partenza è sempre lo stesso, cioè la vita degli atleti prima e dopo le gare, quando le telecamere si spengono e si è soli con pensieri e preoccupazioni: «Da donna preferirei concentrarmi sulle atlete madri, e raccontare le storie di chi riesce ad ottenere grandissimi risultati dopo la gravidanza». Per farlo, le è stato chiesto di servirsi di una rete di giovani registi fuori dal Giappone collegati al Nara International Film Festival (di cui è direttrice esecutiva) per condurre le riprese all’estero, mentre intervistava gli atleti a distanza. Al momento, grazie anche all’aiuto di una troupe di 100 collaboratori («corrono per tutto il Paese intervistando le persone che si preparano ai Giochi») ha già filmati per 300 ore, con almeno altre 100 ancora da registrare.
Un film sui Giochi Olimpici in tempo di pandemia
Oltre ad atleti e organizzatori, poi, una parte importante del film sarà dedicata al coronavirus, e ai diversi modi in cui ha influenzato e continua a influenzare gli abitanti della capitale: «Che sentimenti provano gli operatori sanitari, soprattutto a Tokyo e in tutto il Giappone, in questo periodo?». Per scoprirlo, ha visitato un reparto Covid di un ospedale, intervistato medici e infermieri, e filmato il personale in quarantena all’aeroporto Haneda. «Chi lavora giorno e notte per aumentare il più possibile la sicurezza ai Giochi rappresenta una parte fondamentale di questo documentario». E la situazione pandemica del Giappone non ha aiutato, con i casi in crescita, la campagna vaccinale che procede a rilento e nuove misure restrittive. Per questo, Kawase darà spazio anche a chi si è opposto allo svolgimento dell’evento e a chi gradualmente ne ha preso le distanze, compreso un volontario – rimasto anonimo – che si è dimesso. «È molto importante rappresentare sia i sentimenti negativi che quelli positivi come testimonianza del periodo che stiamo vivendo».
Naomi Kawase sulle tracce di Ichikawa
«Viviamo con l’ansia che la nostra vita sia minacciata dal coronavirus e con la frustrazione per la quantità insufficiente di informazioni che il governo ci fornisce. Questi sentimenti ci fanno interrogare sul perché un evento così grande dovrebbe essere tenuto in Giappone», dice la regista, secondo la quale però le Olimpiadi potrebbero essere uno sfogo per la negatività, non la fonte. Rappresentare tutto, però, potrebbe non incontrare i favori dei suoi committenti: il Comitato Organizzatore di Tokyo 2020, che ha incaricato la regista. E il Cio, che acquisirà i diritti del film una volta completato. Dovessero esserci problemi, Kawase sarebbe la seconda regista giapponese della storia a infastidire le istituzioni olimpiche dopo Kon Ichikawa, che realizzò il film sulle Olimpiadi di Tokyo 1964: il Ciò, che non gradì il prodotto finale, usò le sue riprese per realizzarne un altro, ma mentre Sensation of The Century, il secondo film, fu accolto tiepidamente, quello di Ichikawa (Le Olimpiadi di Tokyo) diventò subito un cult ed è ancora considerato tra le migliori pellicole sullo sport mai realizzate.
Le due Olimpiadi hanno già molto in comune: entrambe sono annunciate come Giochi di “ripresa” per il Paese: nel 1964 si celebrava la rinascita del Giappone dalle macerie della seconda guerra mondiale, nel 2020 la risalita dopo il disastro nucleare di Fukushima del 2011. Proprio a Fukushima si sono tenute le prime gare di queste Olimpiadi, quelle di softball, iniziate due giorni prima della cerimonia di apertura. La regista e le sue telecamere erano lì.
All’inizio dei Giochi, fissati per il 23 luglio, Kawase sarà nel backstage del Japan National Stadium e registrerà i circa 10.000 atleti che entreranno in un’arena quasi vuota, «per catturare ciò che non può essere visto in TV». Dopo la cerimonia, il prato sarà sostituito e lo stadio preparato per le gare di atletica leggera: le telecamere di Kawase saranno lì per tutta la notte. Il film dovrebbe essere completato entro la primavera del 2022 e uscire in estate. Una tabella di marcia «piuttosto stretta», ma se tutto andrà secondo i piani potrebbe debuttare al Festival di Cannes a maggio. Di sicuro, la prospettiva di Kawase renderà i Giochi più blindati di sempre più accessibili a miliardi di persone.