Se il parlamento concederà la fiducia, Naftali Bennett sarà il prossimo Primo ministro di Israele. Andrà avanti fino al 2023, quando dovrà cedere il posto al leader centrista Yair Lapid, tra gli artefici dell’ampia coalizione che sorregge il nuovo governo. Bennett, quarantanove anni, sarà uno dei più giovani Primi ministri nella storia del Paese, secondo soltanto al suo predecessore (e vecchio mentore) Benjamin Netanyahu, che all’epoca del primo mandato (1996 – 1998) ne aveva quarantasette. Bennett, che si ritiene «più di destra» di Netanyahu, è leader di un partito minoritario, Yamina, ed è un religioso praticante.
Naftali Bennett, da Israele al Canada e ritorno
Terzo e ultimo figlio di una coppia di ebrei ortodossi emigrati dalla California in Israele nel 1967, un mese dopo la fine della Guerra dei Sei Giorni, Naftali Bennett nacque ad Haifa il 25 marzo del 1972. All’età di quattro anni si trasferì con la famiglia in Canada per accompagnare il padre, imprenditore. Poco dopo essere tornata ad Haifa, la famiglia si spostò in New Jersey, salvo fare marcia indietro verso Israele due anni dopo. Nel 1990, compiuta la maggiore età, fu chiamato ad assolvere gli obblighi di leva e venne inquadrato prima nello Sayeret Matkal, poi nel reparto Maglan. Si tratta, in entrambi i casi, di forze speciali addestrate ad operare dietro le linee nemiche, con compiti di contrasto al terrorismo e recupero di ostaggi.
Durante la guerra con il Libano (1982 – 2000) Bennett prese parte attivamente alle operazioni militari. Tra queste Grappoli d’Ira (aprile 1996), finita al centro di numerose polemiche. Bennett, al comando di alcune truppe rimaste intrappolate nel villaggio di Qana, infatti, avrebbe richiesto di esplodere colpi di artiglieria contro un edificio delle Nazioni Uniti dove, secondo l’esercito israeliano, si trovava una base di Hezbollah. All’interno, tuttavia, si erano rifugiati circa ottocento libanesi. Il bombardamento si tradusse in un massacrò, causando la morte di oltre cento civili. Altrettanti rimasero feriti. Secondo alcuni media israeliani, Bennett avrebbe intrapreso delle manovre rischiose senza avere l’autorizzazione dei superiori che riteneva dei «vigliacchi, non sufficientemente risoluti». Secondo altri le sue richieste di soccorso, definite «isteriche», avrebbero portato al bombardamento.
Bennett, tra guerra e fiuto per gli affari
Terminata la leva, il nuovo Primo ministro si iscrisse alla Hebrew University of Jerusalem, dove studiò legge. Riservista dell’esercito, però, nel 2006 venne richiamato a prestare servizio nella nuova guerra con il Libano, durante la quale condusse delle missioni dietro le linee nemiche. Nel frattempo Bennett era divenuto anche un ricco uomo di affari. Nel 1999 si era trasferito a Manhattan dove fu tra i fondatori di Cyota, una compagnia di software antifrode di cui è stato Ceo. Nel 2005 la società venne venduta a RSA Security per un totale di 145 milioni di dollari. L’operazione rese Bennett un milionario. Nel 2009, poi, divenne amministratore delegato di Soluto, compagnia specializzata in servizi cloud. Anche questa venne ceduta e nel 2013 passò nelle mani dell’americana Asurion per una cifra superiore ai cento milioni. Nel 2014, riferendosi alla sua ricchezza dichiarò: «Non mangio 17 bistecche e non ho un aereo o uno yacht privato. Il mio benessere mi ha semplicemente regalato la libertà di fare ciò che voglio».
La carriera politica di Bennett
Pur essendo considerato da alcuni un neofita dell’alta politica – il suo ingresso alla Knesset risale al 2013 – tra il 2006 e il 2008 Bennett era già stato capo di gabinetto di Netanyahu, con cui negli anni ha avuto una relazione scandita in egual misura da contrasti e pacificazioni. Successivamente assunse la guida di Yesha Council, l’organo che rappresenta le istanze dei coloni di cui è considerato uno dei maggiori portavoce. Eppure non ha mai vissuto nelle colonie ed è attualmente residente a residente a Ra’anana, sobborgo di Tel Aviv.
Fermo oppositore della causa palestinese
Rigido oppositore della creazione di uno Stato palestinese, nel 2015 affermò che la sua realizzazione «sarebbe stata un suicidio per Israele». Ancora più esplicito due anni prima, quando sostenne che «i terroristi palestinesi dovrebbero essere uccisi, non lasciati andare». Dichiarazioni forti che lo hanno messo spesso al centro dell’attenzione dei media. Come quando durante la campagna elettorale del 2014 si lanciò nell’opposizione dei quotidiani Haaretz e New York Times, critici nei suoi riguardi, con un video in cui appare vestito da hipster.
Dal 2013, comunque, la carriera politica di Bennett è stata un susseguirsi di incarichi ministeriali: economia, servizi religiosi, educazione, difesa. Pur appartenendo ad un partito diverso, il Focolare ebraico divenuto nel 2018 Yamina, è stato protagonista fisso nei vari governi Netanyahu. Considerato un nazionalista religioso, mantiene però posizioni liberali nei confronti della separazione tra Stato e religione e sui diritti degli omosessuali.