Le Abu Ghraib del Myanmar
Privazione del sonno. Scosse elettriche. Botte e umiliazioni. L'inferno nei centri di detenzione dell'esercito birmano raccontato dagli ex detenuti.
Umiliazioni. Torture. Botte. Persone incarcerate anche senza motivo e sottoposte a violenti interrogatori in caserme e strutture pubbliche, compreso il palazzo reale di Mandalay, occupate dall’esercito. In Myanmar sono almeno una dozzina questi centri, un sistema di detenzione segreto che ha risucchiato dallo scorso febbraio – da quando la Giunta militare ha preso il potere con un colpo di stato – 9 mila persone. Sono invece 1218 le vittime dei Tatmadaw, come vengono chiamati i militari. Tra queste 131 detenuti torturati a morte.
Le torture dei militari in Myanmar: dalla privazione del sonno alle scosse elettriche
La stragrande maggioranza delle tecniche di tortura descritte dai prigionieri, scrive Ap in un’inchiesta realizzata dopo aver visionato foto, immagini satellitari e intervistato 28 ex detenuti, sono simili a quelle utilizzate dall’esercito prima della transizione democratica del 2010: privazione del sonno, del cibo e dell’acqua; scosse elettriche; umiliazioni di ogni genere come saltare come rane o muoversi carponi come cani. E poi percosse con bastoni di bambù riempiti di cemento, manganelli e scarpe. Le torture spesso iniziano per strada o nelle case. Alcuni muoiono prima di raggiungere le caserme, racconta all‘Ap Ko Bo Kyi, segretario dell’Associazione per l’assistenza ai prigionieri politici e a sua volta ex ex prigioniero politico. «I militari torturano i detenuti prima per vendetta, poi per ottenere informazioni», dice sottolineando come l’esercito sia diventato negli ultimi tempi, se possibile, ancora più brutale. I militari nascondono le prove degli abusi, costringendo i medici a falsificare i rapporti delle autopsie. Non solo. Le sevizie sono pensate in modo da ridurre al minimo i lividi e i segni visibili. Per esempio si mettono tavolette di gomma su schiena e torace prima di colpire il detenuto con bastoni e verghe.

L’ammissione di un ex capitano dell’esercito birmano
Versione confermata da un disertore dei Tatmadaw. «Nel nostro Paese, oltre ad arresti ingiustificati, si consumano costantemente torture, violenze e stupri», ammette l’ex capitano dell’esercito. «Tutto questo è cominciato con il colpo di stato. Il mondo deve sapere». L’ex militare ha anche raccontato che le tecniche di interrogatorio, parte dell’addestramento militare, seguono solo una regola: «Non interessa come si ottengono le informazioni, purché le si ottengano». A una richiesta di chiarimento da parte dell’Ap i funzionari dell’esercito hanno tagliato corto: «Non abbiamo intenzione di rispondere a queste domande senza senso». Nel tentativo di ripulire la propria immagine, la Giunta militare la scorsa settimana ha annunciato la liberazione di 1300 detenuti e la sospensione delle accuse nei confronti di 4.320 persone in attesa di giudizio.
Le condizioni disumane all’interno dei centri di detenzione
I sopravvissuti raccontano violenze fisiche e psicologiche. Un giovane e un suo amico sono stati arrestati mentre tornavano a casa in bicicletta. Trascinati nel municipio a uno dei due è stata tirata la pelle con delle pinze. «Tua madre non può salvarti», gli gridavano. I militari hanno costretto un altro ragazzo a inginocchiarsi su rocce appuntite, gli hanno infilato la canna della pistola in bocca e lo hanno picchiato sulle gambe con un manganello schiaffeggiandolo con le sue stesse infradito. Un altro giovane è stato trascinato nella giungla e gettato in una buca. Lo hanno sepolto fino al collo minacciando di ucciderlo a badilate. «Se mai provassero ad arrestarmi di nuovo», ha detto, «mi suiciderei». Le testimonianze, gli schizzi realizzati dagli ex detenuti e le perizie di un patologo forense confermano le condizioni disumane all’interno dei centri di detenzione. La maggior parte dei prigionieri dorme sul pavimento, tra sporcizia, escrementi e scarafaggi. Alcuni sono talmente ammassati uno sull’altro che non riescono nemmeno a piegare le ginocchia. Altri si ammalano bevendo acqua contaminata. Praticamente assenti i medici. Un ex prigioniero ha raccontato di aver tentato più volte e inutilmente di ottenere soccorso per un compagno di cella 18enne i cui genitali erano stati colpiti ripetutamente con un mattone. Senza parlare del Covid che ha colpito moltissimi detenuti spesso portandoli alla morte.

Donne e adolescenti minacciate di stupro
«Era terrificante. Nella mia stanza c’erano macchie di sangue e graffi sul muro», ricorda un uomo. «Potevo vedere impronte di mani macchiate e insanguinate e macchie di vomito negli angoli». «Ci torturavano finché non ottenevano le risposte che volevano», aggiunge un 21enne. «Non facevano che ripetere: ‘Qui nei centri non abbiamo leggi. Abbiamo le pistole e possiamo ucciderti e farti sparire. Nessuno lo saprebbe». Le violenze non hanno risparmiato donne e adolescenti, spesso minacciate di stupro. «Anche se non ci violentavano fisicamente, ci minacciavano ogni notte», racconta Cho, un’attivista detenuta insieme al marito. La sua compagna di cella è stata picchiata così duramente con un bastone di bambù che per cinque giorni non è riuscita a sdraiarsi sulla schiena. A un monaco di 31 anni, torturato all’interno del palazzo reale di Mandalay, i militari hanno ordinato di saltare come una rana prima di trasferirlo in una cella senza wc. Dopo sei giorni, è stato mandato in una stazione di polizia e poi in una prigione dove è stato rinchiuso in una cella con altri 50 prigionieri. Di notte dovevano sdraiarsi sul pavimento. Se alzavano la testa, le guardie carcerarie, spesso ubriache, li colpivano con una fionda. Altri studenti, invece, sono stati incappucciati, legati a un guinzaglio e trascinati come cani. Ma non è tutto. La giunta militare del Myanmar rapisce sistematicamente anche i parenti degli oppositori per ricattarli, compresi neonati di appena 20 settimane. La denuncia è arrivata a fine settembre dal relatore speciale delle Nazioni Unite per il Paese Tom Andrews, secondo cui le condizioni nel Paese continuano a peggiorare e «gli attuali sforzi della comunità internazionale per fermare la spirale di violenza semplicemente non stanno funzionando». A distanza di un mese le cose non sono cambiate.