You are my Haart

Giovanni Sofia
20/07/2021

Julia, nata Talia Leibov, protagonista della discussa serie Netflix My Unorthodox Life, è moglie di Silvio Scaglia, il fondatore di Fastweb, con cui guida l'Elite World Group e che per omaggiarla ha preso il suo cognome. Il profilo.

You are my Haart

Troppo rigide le regole per riuscire a dare sfogo a una creatività a lungo repressa. «Ai limiti del fondamentalismo», le ha definite senza troppi giri di parole Julia Haart. Nata Talia Leibov, anni fa ha deciso di abbandonare la comunità ebraico-ortodossa di Atlanta insieme ai figli per inseguire un sogno, a suo dire, altrimenti impossibile da raggiungere. La sua storia è diventata un libro e una serie Netflix. My Unorthodox Life ha scavato nel passato della donna, classe 1971 e attualmente Ceo dell’agenzia di modelle Elite World Group, ripercorrendo le tappe principali che l’hanno portata al successo. Ad accompagnarla nell’ultima parte della scalata l’attuale marito Silvio Scaglia. Il manager, già fondatore di Fastweb e Babelgum, è presidente della holding che detiene il controllo del network internazionale di agenzie di model management, di cui fa parte anche la Elite World Group. E per omaggiare la scelta coraggiosa della moglie ha preso il suo nuovo cognome: Silvio Scaglia Haart.

My Unorthodox Life, la storia di Julia Haart

Un racconto duro, quello di Haart, soprattutto nel riferimento alla religione, e per questo finito già al centro di numerose polemiche. Nata a Mosca e arrivata a soli tre anni con i genitori negli Stati Uniti, Julia Haart ha da sempre coltivato la passione per la moda, nonostante la contrarietà della famiglia. Da autodidatta ha imparato a cucire e a 19 anni ha spostato, in un matrimonio combinato come da tradizione chassidica, il suo primo marito. A spingerla verso la laicità, soprattutto, l’educazione riservata alla figlia Miriam: «La guardavo e mi rivedevo in lei. Mi rendevo conto le stessero azzerando la personalità, trasformandola in una persona piatta. Non potevo accettarlo», ha dichiarato al Los Angeles Times. Una decisione, comunque, sofferta accompagnata da un periodo di profonda depressione, in cui non ha nascosto di aver pensato al suicidio. Poi la nuova vita e con essa la decisione di cambiare nome, diventando, appunto, Julia Haart.

Julia Haart, il matrimonio con Silvio Scaglia

Nel 2016 è diventata direttrice creativa della casa di lingerie La Perla, per cui nel 2019, in occasione del Met Gala, ha realizzato un abito con 85 mila cristalli fissati su un’unica corda. Intanto ha sposato  Silvio Scaglia, classe 1958. Il manager che oggi vive a New York con la moglie e insieme a lei guida la Elite World Group, in passato è finito al centro di alcune vicende giudiziarie, da cui è uscito sempre assolto. Una in particolare, la Fastweb-Telecom Italia Sparkle del 2010, gettò nello scompiglio il mondo dell’alta finanza. Accusato di associazione a delinquere pluriaggravata finalizzata a un maxiriciclaggio transnazionale di oltre due milioni di euro, è stato assolto con formula piena in primo e secondo grado, al punto che la procura generale presso la Corte d’Appello rinunciò al ricorso in Cassazione.

My Unorthodox Life, le critiche alla serie tv

Ora sotto i riflettori c’è Julia. La serie sulla sua vita e fortemente critica nei confronti della chiusura degli ultraortodossi (sulla stessa scia la miniserie Unortodox con Shira Haas) è stata ritenuta eccessivamente severa nel dipingere la vita della comunità. Tanto che Alexandra Fleksher, conduttrice del programma Normal Frum Women, la scorsa settimana ha lanciato l’hashtag #MyOrthodoxLife, diventato immediatamente virale su Facebook, Twitter e Instagram. L’idea è diffondere un messaggio di tenore diametralmente opposto, secondo cui si può essere ortodossi e avere al contempo una carriera brillante. «Non stiamo cercando di sminuire chiunque abbia deciso di abbandonare il nostro credo», ha detto Fleksher al Jewish Journal.

«Piuttosto diamo alle donne l’opportunità di condividere il motivo per cui si sentano orgogliose di essere ortodosse. Vogliamo cambiare la narrativa, rispetto alla diceria che ci vuole oppresse». In tantissime le hanno fatto eco: «Non tutte siamo state oggetto di abusi o vittime di traumi. Non tutti vogliamo scappare. Amo assolutamente essere una donna ebrea e ortodossa», ha dichiarato Eve Levy, condirettrice del L’Chaim Center for Inspired Living. Il suo post ha fatto in fretta incetta di like, confermando l’esistenza di un conflitto particolarmente delicato e difficile da risolvere.