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Su una Tesla a noleggio accompagno mio padre in una Rsa di Como ripensando al giorno in cui lo arrestarono. Il giorno in cui cadde il mio mondo. E mentre libero la sua casa, leggo di Omicron che fino a quel momento per me era solo l’etichetta di Piero Umiliani. Il racconto della settimana.

18 Dicembre 2021 09:5819 Dicembre 2021 09:35 Andrea Frateff-Gianni
il viaggio di Kirill verso la rsa: il acconto della settimana

«L’inizio del Giovane Holden è uno tra i più fluidi che abbia mai letto». Questo pensavo in quel pomeriggio d’agosto, polleggiato a bordo piscina, sulla sdraio a righe bianche e azzurre, mentre, dietro alle lenti scure dei miei occhiali da sole da divo del cinema, divoravo l’agile libercolo dalla copertina bianca. All’epoca dovevo avere al massimo 16 anni e sicuramente avevo già collezionato la prima bocciatura all’austero liceo scientifico Alessandro Volta e trascorrevo, come d’abitudine, l’estate a Rapallo nella residenza estiva di famiglia, lontano da tutto e da tutti. Non ricordo molto altro di quel periodo, a parte il libro di Salinger e gli occhi verde naviglio di Ludovica, con la quale si era soliti rifugiarsi sul terrazzo di casa mia a fumare hashish e ad ascoltare determinati dischi dei Doors particolarmente inquieti e maledetti. La voce strascicata del vecchio Jim si sposava a perfezione con il periodo da autentico rebel-kid che stavo attraversando e incattiviva notevolmente la mia aria da sbarbo pettine in Stan Smith e Ralph Lauren.

Il viaggio di Kirill verso la Rsa: il racconto della settimana
Portofino (Getty Images).

Ludovica, sorella minore della più celebre Lucilla (quasi una divinità per noialtri dei Bagni Ariston), si limitava a leccarmelo e non lo prendeva mai in bocca, perché diceva che le faceva venire da vomitare e non voleva assolutamente scopare, perché sosteneva non fossi abbastanza innamorato di lei. E probabilmente aveva ragione. In quel pomeriggio d’agosto, mentre il giovane Caulfield si domandava che fine facessero le anatre di Central Park quando l’acqua ghiacciava, noi due, con gli occhi vitrei, fissavamo un’arancia sbucciata sul tavolo rimasta ancora intatta e avevamo già letto i rispettivi oroscopi. Di fianco a noi, una pila di libri che mi ero portato da Milano, tra cui uno di poesie di un poeta francese di nome Baudelaire, e un paio di riviste porno su cui ci eravamo masturbati entrambi. Le nostre conversazioni, quel pomeriggio, vertevano sostanzialmente sul cugino perso a Ibiza o su quanto odiasse sua madre, meglio morta, come la mia.

Cala il sipario su Kirill, tra Musk sul Time e Omicron: il racconto della settimana
Elon Musk persona dell’anno di Time per il 2021 (Getty Images).

Poi squillò il telefono e ancora oggi con il senno di poi penso a quel momento come lo spartiacque tra quello che poteva essere e invece non è stato. Fu quello il pomeriggio nel quale crollò il grattacielo. Fu quello il pomeriggio nel quale tutto cambiò in maniera radicale. Fu quello il pomeriggio nel quale avvenne la mia cacciata dall’Eden. Quello fu il pomeriggio nel quale arrestarono mio padre. Penso a questo mentre, seduto sul sedile posteriore di una Tesla Model S presa a nolo con autista su Uber, sto portando mio padre, ormai completamente cieco, in Rsa. Penso anche, osservando la strada scorrere da fuori al finestrino, a quando mi raccontò di come il giorno dell’arresto mise, in fretta e furia, una camicia bianca e due maglioni di cachemire in una valigetta 24h insieme al beauty-case, che lui chiamava necessaire, con i carabinieri che lo aspettavano fuori dalla porta. Ricordo che gli chiesi «perché il cachemire ad agosto?», e lui mi rispose «perché in carcere avevo paura di avere freddo». Così lo osservo, seduto di fianco a me, con la camicia azzurra Brooks Brothers con i bottoncini aperti sul colletto e l’abito sartoriale blu scuro, in lana pesante, consumato sulle maniche.

 

Poi squillò il telefono e ancora oggi con il senno di poi penso a quel momento come lo spartiacque tra quello che poteva essere e invece non è stato

 

È molto silenziosa questa macchina. È una Tesla papà, Elon Musk, il padrone dell’azienda che le fabbrica, è stato scelto dalla rivista Time come personaggio dell’anno. Il tipo ha 50 anni, è nato in Sudafrica e al momento credo sia l’uomo più ricco del mondo. Ultimamente si sta specializzando nel mandare con i suoi mega razzi gente nello spazio, una roba del genere. «Comunque è uno abbastanza fico», sospiro, stiracchiandomi, e poi chiedo, cambiando argomento: «Che libro è quell’Adelphi che stringi tra le mani?». «Si intitola Storia naturale della distruzione». «Il titolo è tutto un programma. Che roba è?». «Lo ha scritto un tedesco, Winfried Georg Sebald. In questi giorni dovrebbe decorrere il ventennale dalla sua morte. Mi sorprende tu non lo conosca, è considerato universalmente tra i più grandi saggisti e prosatori contemporanei e, se posso dire la mia, considero un delitto che non gli sia stato conferito il Premio Nobel per la letteratura», dice mio padre ammirato.
«Effettivamente, considerato che lo hanno dato perfino quel pagliaccio di Dario Fo… in ogni modo, di che parla il libro e soprattutto mi chiedo, come farai a leggerlo che non ci vedi quasi più?». «L’altra notte non riuscivo a dormire, erano quasi le quattro e in televisione, credo sul terzo canale, stavano trasmettendo una serie di film di Alexander Kluge tra cui Nella tempesta del tempo, una specie di documentario sulla distruzione senza precedenti causata nella Seconda Guerra mondiale da oltre un milione di tonnellate di bombe che piovvero su oltre un centinaio di città tedesche provocando 600 mila morti fra i civili e sette milioni di senzatetto. Sullo schermo scorrevano le immagini dei bombardamenti su Berlino e in particolare quelle degli animali che bruciavano vivi nello zoo tra urla strazianti. Questo libro racconta più o meno la stessa storia. Me lo farò leggere da qualche cameriere», dice papà seccamente. «Infermieri semmai, non stiamo andando al Grand Hotel», rispondo sbalordito. «Come preferisci, Andrea», sospira a sua volta papà. «A proposito di Seconda Guerra mondiale, ma tu la conosci la storia della morte di Glenn Miller?». «Ma chi il jazzista, quello di Chattanooga Choo Choo?». «Lui, esatto hombre! Ho letto sul Corriere della Sera che ancora oggi non si sa con precisione cosa gli accadde, tanto che tuttora è classificato come disperso. Il 15 dicembre del 1944 stava volando su un piccolo aereo biposto, attraversando il canale della Manica per raggiungere Parigi, liberata da poche settimane, dove avrebbe dovuto esibirsi davanti ai soldati americani e da lì in poi non se ne seppe più nulla. Si vocifera sia morto in un bordello a causa di un attacco di cuore, o che abbia scoperto alcuni documenti riservati  e che gli americani preferirono toglierlo di mezzo. Altra teoria, altrettanto fantasiosa, avanzata, sostiene che Miller sia finito nelle mani delle SS che volevano usarlo per uccidere il generale americano Eisenhower. In ogni modo una storia pazzesca». «Tuo fratello Stefano come sta?», domanda, seccato. «Lo sai, è in clinica papà, pare che si stia pian piano riprendendo. Tra l’altro non è molto lontano dal posto dove stiamo andando», rispondo. «E dove stiamo andando?», chiede lui.

Cala così il sipario su Kiril Frateff-Gianni, l’uomo dalle mille vite, divorato dalla demenza senile e rinchiuso in una Rsa sul lago di Como

La mattina dopo mi sveglio nella stanza degli ospiti di casa di mio padre a Macherio senza avere la minima idea di come possa esserci finito. In lontananza un rumore di aspirapolvere, probabilmente al piano di sotto, mi comunica che non sto sognando, così, con la consapevolezza che oggi dovrò dimostrare a me stesso di essere una persona responsabile, di non essere più un tossico, mi dirigo incerto verso il bagno di servizio per provare almeno un poco a rendermi presentabile. L’immagine che mi rimanda lo specchio non è delle più confortanti e la bottiglia di Bulleit Bourbon lasciata aperta, mezza vuota, di fianco alla tazza del water conferma qualcuno dei miei sospetti e in parte giustifica l’enorme mal di testa di cui sono vittima. Le tracce di vomito per terra e sull’asse del cesso fanno il resto, completando il quadro. Arrancando verso la cucina supero la donna delle pulizie con l’aspirapolvere in mano e noto che in sala sia il divano componibile Le Courbusier che i tavoli Eames sono stati già spostati. Oggi si chiude con Macherio, si restituiscono le chiavi all’agenzia e si lascia l’appartamento dove mio padre ha vissuto in questi ultimi quattro anni, in questo paese della Brianza, ex podere berlusconiano, ricco e in rapida crescita.

Considerando che fino a oggi Omicron per me era semplicemente l’etichetta di Piero Umiliani leggendo quegli articoli si capiva che forse la sopravvivenza dell’umanità non aveva più molta importanza

Solenne e lussuosa, molto figa e con pochi mobili, in definitiva la casa è un ampio bilocale terrazzatissimo all’interno della quale ampi spazi vuoti si susseguono senza soluzione di continuità dando l’impressione di avere a disposizione molto più spazio di quello che realmente c’è. Fuori, un giardino lussureggiante con siepi curate meticolosamente e traboccanti di fiori  di cui non conosco il nome confina con un’enorme distesa di aperta campagna che poco dopo diventa bosco. Un luogo che sinceramente non ho mai amato e che mai ci saremo potuti permettere se il proprietario non fosse un collega di mio fratello alla Giorgio Armani mandato qualche anno fa dal capo a Londra a seguire le faccende inglesi dell’azienda. In ogni modo quel sobborgo tranquillo, languido e rassicurante non calmò mai mio padre che rimase sempre prigioniero di una sorta di ansia perenne legata a misteriosi affari, a fantomatici traffici e inventate operazioni finanziarie che, ad oltre 90 anni, sarebbe stato ridicolo perfino pensare. Cala così il sipario su Kiril Frateff-Gianni, l’uomo dalle mille vite, divorato dalla demenza senile e rinchiuso in una Rsa sul lago di Como, poco distante dalla clinica riabilitativa dov’è al momento è ricoverato mio fratello mentre io, nella gigantesca cucina di quella che fino ieri è stata casa sua, sorseggio un caffè bollente da una tazza in porcellana di Hermès e osservo la donna di servizio che attacca a spremere arance per servirmi la colazione circondato da una miriade di mobili e oggetti di design che non mi appartengono. Di peggio appariva solo la lettura dei quotidiani sull’iPad. Nuovi studi riportavano dati statistici tremendi praticamente in ogni parte del mondo e in conclusione la popolazione appariva confusa anche se in linea di massima se ne fregava. Considerando che fino ad oggi Omicron per me era semplicemente l’etichetta di Piero Umiliani leggendo quegli articoli si capiva che forse la sopravvivenza dell’umanità non aveva più molta importanza. Io fondamentalmente ero solo molto stanco.

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