Il 2021 è stato costellato da brillanti progetti musicali, con solide radici ma in grado di guardare al futuro. Da Sometimes I Might Be Introvert di Little Simz a Promises di Sam Shepherd, passando per Nine dei Sault e Sound Ancestors di Madlib e Four Tet, Tag43 ha selezionato i dischi forse meno conosciuti, ma sicuramente più interessanti usciti quest’anno.
Promises di Sam Shepherd, dove l’elettronica incontra il jazz
Se si parla di dischi meritevoli di attenzione usciti nel 2021 non si può non partire dal cominciare il discorso citando Promises, ultra acclamato progetto, che vede l’inedito connubio tra il mago dell’elettronica colta Sam Shepherd, alias Floating Points, e il titano del sassofono free-jazz Pharoah Sanders, con in più l’aggiunta della partecipazione über cool della London Symphony Orchestra. Quarantasei minuti inscindibili di musica divisi in nove movement basati su una ripetizione narcotica e onirica e incentrati su una sequenza a incastro di arpeggi di clavicembalo che mutano costantemente senza diventare mai impetuosi.
Registrato principalmente a Los Angeles durante l’estate del 2019, con parti orchestrali aggiunte durante la pandemia un anno dopo, Promises è il primo album di Sanders da oltre dieci anni. Come scritto dal giornalista e critico musicale di Pitchfork Zach Schonefeld: «Se suonato senza interruzioni e ascoltato con la pazienza che richiede, è il tipo di album capace di riorganizzare le molecole presenti in una stanza». Un autentico gioiello.
Sound Ancestors di Madlib e Four Tet, un viaggio verso il futuro
Altra perla, nata da una collaborazione, che questa volta vede impegnati due tra i nomi più influenti dell’hipsterismo spinto, ovverosia Madlib e Four Tet è Sound Ancestors, un mix pazzesco di jazz, ritmi africani, soul, batterie hip-hop e campionamenti funk assolutamente ragguardevoli. Composto da centinaia di registrazioni e frammenti inviati da Madlib a Kieran Hebden, altrimenti noto come Four Tet, per un periodo di due anni Sound Ancestors è un miscuglio irresistibile di suoni che confermano la statura di due mostri sacri che in passato avevano già avuto il piacere di collaborare in una versione remix del monumentale Madvillany del compianto MF Doom a cui idealmente questo disco è dedicato. 4
Un’ode a coloro che c’erano prima di noi e contemporaneamente un percorso ben tracciato per coloro che si dirigono a testa alta verso il futuro. Sinceramente imperdibile.
Yellow di Emma-Jean Thackray, punto di riferimento del nuovo Britjazz
Per la categoria debutti invece particolarmente significativo risulta essere Yellow, della band leader e produttrice inglese Emma-Jean Thackray, un disco che prende spunto sia dalla stregoneria beat di Flying Lotus che dal jazz mistico di Alice Coltrane e che all’ascolto non è così lontano dall’imponente To Pimp a Butterfly del Premio Pulitzer e rapper di Compton Kendrick Lamar o dall’ombra jazz del Tyler the Creator di Flower Boy.
Da adolescente nello Yorkshire la Thackray era la principale trombettista della sua band di ottoni locale e l’uso dei fiati in Yellow è così sperimentale e prolungato che conferisce al disco un sapore simile alla tradizione musicale del jazz afroamericano nato a New Orleans. Un album in definitiva che comunica l’arrivo di un talento irresistibile che include senza alcun dubbio Emma-Jean Thackray nel ristretto manipolo dei musicisti il cui lavoro descrive e diffonde in giro per il globo lo zeitgeist del nuovo Britjazz. Non per niente è stato scelto come disco dell’anno anche dal dj e produttore discografico Gilles Peterson che di questo movimento è considerato all’unanimità il leader.
Sometimes I Might Be Introvert di Little Simz, il rap è donna
In ambito hip-hop il 2021 è stato in grado di regalare la conferma sul valore della rapper Little Simz che ha bissato con l’album Sometimes I Might Be Introvert il successo del sublime Grey Area del 2019, con il quale si era ritagliata uno spazio sacro nella scena mondiale. Diciannove tracce che arrivano come un treno e che all’ascolto somigliano ad una sorta di autobiografia musicale dell’artista che mostrano in contemporanea sia la sua vulnerabilità che il suo potere. Prodotto dal britannico Inflo e supportato da un’orchestra di quaranta elementi, il disco fonde insieme un mix di suoni così vasto e a ruota libera che il pensiero non può che andare ad artisti del calibro di J Dilla o dello stesso Madlib.
Un disco che sfata ancora una volta l’odiosissimo cliché che vede il rap come uno sport praticato da soli uomini. Lussureggiante, grandioso e cinematografico. In estrema sintesi inarrestabile.
Nine dei Sault, un disco che è un sogno a occhi aperti
Si dice che i Sault stiano alla musica come Banksy sta all’arte. Collettivo inglese semi-anonimo al loro quinto album intitolato Nine, rilasciato senza preavviso poco prima dell’estate in streaming gratuito per soli 99 giorni, i Sault sono senza alcun dubbio uno dei fenomeni musicali più interessanti degli ultimi anni. Con Nine proseguono nella linea tracciata con 5 e 7 del 2019 e i loro dischi gemelli del 2020, Untitled (Black Is) e Untitled (Rise), usciti in concomitanza con le proteste di Black Lives Matter.
Grime, soul, funk, jazz e hip-hop vengono mescolati sapientemente con caldi suoni afro-caraibici e pezzi gospel, creando una miscela esplosiva mai sentita fino ad ora. Una specie di mixtape che a tratti rimbomba come vecchi pezzi dei Chemical Brothers e per altri ricorda la sperimentazione musicale languida simile alle ballate dei Radiohead. Un disco che sembra un sogno ad occhi aperti anche se i suoi testi alludono alla violenza urbana e alla disuguaglianza imperante.
A Love Supreme di John Coltrane, opera d’arte riscoperta
Immancabile bonus track di questo elenco è la gemma riscoperta dall’etichetta Impulse e pubblicata il 22 ottobre di quest’anno della versione live registrata al The Penthouse di Seattle nell’ottobre del 1965 di A Love Supreme di John Coltrane. Documento di estrema importanza perché per oltre sessant’anni pareva che l’unica registrazione dal vivo di uno degli album capolavoro del jazz di tutti i tempi fosse quella catturata nel luglio del 1965 al Festival di Juan-les-Pins.
La formazione è da urlo: John Coltrane e Pharoah Sanders al sax, McCoy Tyner al piano, Elvin Jones alla batteria e Jimmy Garrison con Donald Garrett al contrabbasso. Più che un disco un opera d’arte.