Da un tenero nomignolo a una collezione da Guinness dei primati. Quella del Bunny Museum di Altadena, in California, è una storia molto particolare. L’idea è nata da un gesto d’affetto tra due coniugi, i fondatori Candace Frazee e Steve Lubanski, si è tradotta in una delle più grandi raccolte di conigli finti e oggetti ispirati al tema del mondo.
L’origine del Bunny Museum
«Un giorno, ho iniziato a chiamarlo coniglietto», ha raccontato Frazee in un’intervista al Guardian, spiegando l’origine della stravagante collezione. «Senza pensarci, lo stavo salutando è venuto in mente il soprannome». Quel gesto, così casuale, ha innescato uno scambio di regali quasi quotidiano che, col passare degli anni, si è progressivamente intensificato, portando all’accumulo di oltre 40mila cimeli messi in mostra in quella che, a tutti gli effetti, è ormai un’esposizione permanente e aperta al pubblico.
Girls so glad they could buy bunny ears in the museum gift shop…for, you know… https://t.co/cfqKhMRbfE pic.twitter.com/RMulCTMhBu
— The Bunny Museum (@TheBunnyMuseum) June 30, 2021
Ovviamente, nulla di troppo serio, ma un’idea particolarmente divertente e dal valore complessivo di circa 1.9 milioni di dollari. I coniugi hanno una sola regola, accettano tutti i conigli che vengono loro donati. Sugli scaffali ricolmi trovano, pertanto, spazio giocattoli, quadri, decorazioni natalizie, confezioni di Nesquik, cartelloni pubblicitari, tutti rigorosamente catalogati in base alla categoria di appartenenza.
L’ala oscura del Bunny Museum
Ma, tra cioccolatini con le orecchie e chitarre con la coda di ponpon, c’è spazio anche per articoli più controversi. Ai quali è stata, addirittura, dedicata un’ala apposita. Nella Chamber of Hop Horrors, infatti, sono stati conservati tutti gli esempi di abuso del coniglio nella storia. Da quelli di Playboy, sessualizzati da Hugh Hefner a quelli utilizzati negli esperimenti di laboratorio, passando per le zampe nei portachiavi, le tazze e i poster del QAnon, il movimento complottista americano che, per il suo merchandising, ha scelto l’adorabile animale tanto caro a Lubanski e Frazee.
Resta il dubbio che se la coppia avesse scelto un nickname diverso, forse non si sarebbe ritrovata questa insolita fortuna tra le mani. «Parliamo sempre di cosa sarebbe potuto succedere se non lo avessi chiamato in quel modo», ha aggiunto Frazee, «Probabilmente, se lo avessi soprannominato ranocchia, avremmo avuto un museo dedicato agli anfibi. O se lo avessi chiamato gorilla, mi avrebbe regalato il peluche di un scimmia e avremmo aperto una struttura dedicata ai primati».