Bianchi come la neve, sempre di cattivo umore e con due corna capaci di spaventare anche i più audaci. I bovini di Chillingham, nell’Inghilterra nord-orientale, rappresentano gli ultimi esemplari selvatici rimasti al mondo, conservando un carattere primordiale assente in tutti gli altri capi di bestiame addomesticati. Ad oggi se ne contano solo 130, tanto da renderli inferiori di numero persino ai rari panda giganti e alla tigri siberiane.
«Nel mondo si contano 1,2 miliardi bovini», ha detto alla Bbc Stephen Hall, professore di scienze animali presso l’Università di Lincoln. «Tuttavia, solo pochissimi vivono liberi dalle influenze umane. Questi esemplari sono gli unici ad essere sfuggiti all’allevamento selettivo della rivoluzione agricola del ’700». La loro unicità si evidenzia anche nelle caratteristiche fisiche: sono infatti molto più piccoli rispetto ai “colleghi” addomesticati, tanto che i tori pesano solo 400 chili (meno di un terzo rispetto ai capi di bestiame delle razze continentali) e le mucche possiedono mammelle piccole, ideali per allattare solo un cucciolo per volta. «Possiamo definirli bovini medievali», ha continuato Hall.
Bovini selvatici tra druidi celtici e Medioevo
La spiegazione di tale fenomeno va ricercata nella storia della Gran Bretagna. Circa 800 anni fa, infatti, i signori del castello di Chillingham – considerato il più infestato del Regno Unito per via dei tanti avvistamenti di fantasmi e demoni – erano grandi amanti degli sport sanguinari e della caccia. Per soddisfare i loro desideri ludici, pertanto, hanno preferito lasciare i bovini allo stato brado, in modo da rendere più realistici gli inseguimenti.
Se il loro destino durante il Medioevo era quello di essere prede del divertimento dei vari signorotti, in epoca romana la loro condizione era ben peggiore. Grandi amanti degli animali dal manto bianco, si pensa che gli antichi sudditi dell’Impero fossero soliti sacrificare questi grandi bovini nei templi dedicati al dio Mitra, lungo il Vallo di Adriano. A confermare l’ipotesi sarebbe una piccola lucerna ritrovata nel castello di Chillingham risalente al II secolo, raffigurante proprio un esemplare dal ciuffo riccio come quelli presenti nel Northumberland britannico.
Come spiegare però il loro caratteristico colore bianco? Secondo il New York Times, occorre tornare ai tempi in cui le foreste inglesi erano abitate dai druidi celtici. Questi antichi maghi, attraverso «un processo di segregazione e macellazione selettiva», sembra avessero intenzione di progettare una versione candida dell’uro, il progenitore selvatico ormai estinto delle moderne razze bovine, da destinare a usi religiosi e sacrificali.
L’uomo interviene solo in casi estremi
Per quanto affascinante, secondo Eddie Eaddington, una delle due custodi attuali del bestiame, questa teoria è fuorviante. «Non credo che la nostra mandria sia collegata agli uri più di tutte le altre», ha dichiarato alla Bbc. «Tutti i bovini moderni sono il risultato dell’addomesticamento dell’uro in epoca arcaica. Più che altro, gli esemplari qui custoditi ci forniscono un’idea di come gli uri fossero soliti comportarsi in natura». L’uomo infatti non pratica nessun intervento sugli animali, nemmeno in situazioni di vita o di morte. «Può non piacere a tutti, ma lasciamo che la vita faccia il suo corso», ha detto l’altra guardiana, Denene Crossley. «Qui non abbiamo veterinari. Sono animali selvaggi, non vogliono il nostro aiuto. Ciò che ci limitiamo a fare è fornire loro del fieno negli inverni rigidi o abbatterli se troppo malati per continuare a vivere, mettendo fine alle loro sofferenze».
È stata proprio l’assenza di un intervento umano a garantire un altro tassello della loro unicità: la consanguineità. Riproducendosi sempre tramite accoppiamenti limitati al loro ridotto numero, hanno fatto sì che ogni esemplare sia praticamente il clone genetico di tutti i suoi simili. «Va contro tutto ciò che sappiamo sulla consanguineità», ha continuato Crossley, sottolineando l’incredulità di molti scienziati. «In genere, il rapporto fra soli consanguinei provoca l’estinzione delle popolazioni ma, per un capriccio evolutivo, su di loro ha avuto l’effetto opposto». Solo talmente simili l’un l’altro da aver reso impossibili eventuali mutazioni. Come ricordano le custodi, l’ultimo vitello a presentare malformazioni «è nato 20 anni fa privo della coda. Per questo è stato abbandonato dalla madre ed è morto dopo sole 24 ore».
L’anomalia genetica che vive fra i fantasmi
Un gesto crudele che però ha permesso alla mandria, nelle varie epoche, di perdurare. «Nel 1947, a causa di una malattia, si contavano solo cinque tori e otto mucche», ha concluso Hall. «Stessa situazione nel 1967, dove si è giunti quasi all’estremo gesto di abbattere ogni esemplare». Oggi però il rischio è alle spalle e i bovini prosperano tranquilli. La rara anomalia genetica che ha attraversato il tempo, vivendo allo stato selvaggio per generazioni, può oggi essere ammirata visitando il parco del castello. Basta stare a distanza e non farsi spaventare dai fantasmi. Una guida turistica infatti ha sostenuto con fermezza di aver sentito voci sommesse nella cappella e nel cortile esterno della fortezza e di aver visto una figura evanescente chiedere acqua nella dispensa. Insomma, un viaggio non adatto ai deboli di cuore.