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Msi, perché l’omaggio di Rauti e La Russa è un abominio storico

Isabella Rauti e La Russa ricordando il Movimento sociale italiano hanno fatto imbestialire tutti. Del resto il partito si nutrì del drammatico fascismo dell’ultima ora. E, seppur in parlamento, rimase fuori dall’arco costituzionale. Gli “esuli in patria” erano contrari alla svolta moderata di Fiuggi: la celebrazione del loro riscatto postumo è stonata.

28 Dicembre 2022 18:16 Marco Fraquelli
Msi, perché l'omaggio di Rauti e La Russa è un abominio storico

Nemmeno il tempo di complimentarsi con il presidente Giorgia Meloni per le parole di condanna espresse nei confronti delle leggi razziali fasciste, che Ruth Dureghello, presidente della comunità ebraica nella capitale, ha dovuto subito cambiare registro, censurando con molta durezza l’iniziativa presa dal sottosegretario alla Difesa Isabella Rauti e soprattutto dal presidente del Senato Ignazio La Russa di celebrare (la prima via tweet, il secondo via Facebook) la nascita del Movimento sociale italiano, Msi, avvenuta il 26 dicembre del 1946. «Quando si ricoprono ruoli istituzionali il nostalgismo assume contemporaneamente contorni gravi e ridicoli», ha detto Dureghello, e ancora: «La Repubblica italiana è antifascista e quando si giura sulla Costituzione lo si dovrebbe fare sapendo che non possono più esistere ambiguità o incoerenze in merito».

Oggi voglio ricordare il 26 dicembre di 76 anni quando, a Roma, nasceva il Movimento Sociale Italiano (M.S.I.).
Onore ai fondatori ed ai militanti missini. ❤️🇮🇹#26dicembre #msi #FDG #leradiciprofondenongelano pic.twitter.com/KbxOevB0lr

— Isabella Rauti (@isabellarauti) December 26, 2022

L’ingresso nell’agone politico con la complicità di Dc e Pci

Ma come mai la sola citazione della sigla Msi suscita tanta indignazione, non solo da parte della comunità ebraica, mentre l’opposizione (per una volta incredibilmente unita, dal Partito democratico al Movimento 5 stelle fino a Carlo Calenda e Matteo Renzi) ha chiesto a gran voce le dimissioni di Rauti e La Russa? Il motivo è abbastanza semplice: al di là del suo regolare, seppur discutibile (in Germania, per esempio, non fu dato spazio parlamentare ad alcun partito ex nazista) ingresso nell’agone politico istituzionale – peraltro con la benevolenza, per non dire la complicità, della Democrazia cristiana, che lo riteneva un buon bastione anticomunista, e lo stesso Partito comunista italiano (Pci), che mirava a radicalizzare lo scontro politico nei confronti dei moderati -, il Msi ha sempre rappresentato, per la diretta continuità con il fascismo storico, in qualche modo un oggetto estraneo all’impianto democratico e costituzionale («fuori dall’arco costituzionale», lo si definiva un tempo) della Repubblica, nata proprio dalla sconfitta del fascismo. Tant’è vero che ha potuto legittimarsi, cioè «istituzionalizzarsi» in senso compiuto solo quando è «morto», sepolto formalmente a Fiuggi nel 1994.

Almirante, Pino Rauti, Pisanò, Tremaglia: gli esuli in patria

In più, e questa è certamente un’aggravante, il partito non fu fondato sulle ceneri del fascismo per così dire più «romantico» delle origini (quello che Renzo De Felice definiva il fascismo movimento, per distinguerlo dalla sua degenerazione autocratica e partitica, appunto il fascismo partito), bensì si nutrì dei drammatici ingredienti del fascismo dell’ultima ora, quello salotino (repubblichino), cioè del fascismo più truce, violento e sanguinario, alleato e complice consapevole delle belve naziste. Fu fondato da quelli che Marco Tarchi ha mirabilmente – e significativamente – definito come «esuli» in patria (i vari Giorgio Almirante, Pino Rauti, Giorgio Pisanò, Mirko Tremaglia, eccetera). Forse, come ha ben rilevato Emauele Lauria sulla Repubblica del 28 dicembre, le esternazioni di Isabella Rauti e Ignazio La Russa hanno, in qualche modo, voluto proprio rappresentare una sorta di riscatto, di orgoglio di quegli esuli in patria che, per decenni, sono stati emarginati dalla politica istituzionale, e oggi possono, tramite i loro «nipoti» al governo, far sentire – postuma – la loro voce.

Perché la vittoria di Meloni al Nord cambia la geografia della destra
Giorgio Almirante (dalla fondazione Giorgio Almirante).

Contro la svolta di Fiuggi e le inquietanti sigle neofasciste

È piuttosto plausibile, per quel che riguarda La Russa, che con il Msi abbia voluto ricordare il padre, nel Movimento dalla nascita. È lo è soprattutto da parte di Isabella Rauti, il cui padre, Giuseppe, detto Pino, ha avuto un ruolo del tutto particolare, e per questo in fondo mai di protagonismo, nel partito (di cui fu brevemente segretario dal 1990 al 1991) e nel mondo del neofascismo più radicale tra gli Anni 50 e gli Anni 70, ma anche oltre, se si pensa che, ancora nel 1995, opponendosi alla svolta moderata di Fiuggi («Dobbiamo uscire dalla casa del padre con la certezza di non farvi più ritorno», aveva detto allora Gianfranco Fini) fondò il Movimento sociale Fiamma tricolore, da cui fu estromesso nel 2003. Il nome di Pino Rauti (detto il «Gramsci nero») volontario nella R.S.I., è associato a diverse sigle inquietanti dell’universo neofascista, da quella dei Far (Fasci di azione rivoluzionaria), processati nel 1951, al tristemente famoso Ordine nuovo di cui Rauti porta la responsabilità politica di ogni atto, come ha scritto in un editoriale – al solito pacato, ma dettagliato – su Repubblica Eugenio Occorsio, figlio del giudice Vittorio, ucciso nel 1976 dal «capo militare del movimento» Pierluigi Concutelli.

Giorgia Meloni e i (vani) tentativi di incipriarsi per nascondere le ombre fascismo
Giorgio Almirante.

Tra banalizzazioni e incazzature: non basta la scusa della sfera familiare

Al solito, da destra si è cercato di banalizzare il tutto. E se il portavoce di La Russa, Emiliano Arrigo, si è detto stupito dal clamore suscitato dal post del presidente del Senato, rimarcando la piena legittimità costituzionale del Msi (che diede, ricorda lo stesso Arrigo, anche voti mai rifiutati per l’elezione di qualche presidente della Repubblica), Umberto Croppi, fine intellettuale di area, bolla come fuori dalla realtà le critiche verso un partito che è stato di governo anche prima della svolta di Fiuggi, mentre un altro intellettuale come Filippo Rossi sottolinea come si tratti di un fatto in qualche modo personale e affettivo, più che politico, quasi che il riscatto della destra postfascista debba passare, appunto, attraverso la sfera personale e familiare. C’è da dire che l’iniziativa di Rauti e La Russa è stata presto seguita da un nutrito numero di altri parlamentari di Fratelli d’Italia, per esempio i senatori Andrea De Priamo, Gianni Berrino, Alberto Balboni, presidente della Commissione Affari costituzionali del Senato, e Alfredo Antoniozzi, vice capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera. E qui, di familiare, sembra ci sia ben poco. Forse anche per questo i vari media ci dipingono una Giorgia Meloni a dir poco irritata, e qualcuno parla di una telefonata «ad alta tensione» con Ignazio La Russa. Insomma, pare che il presidente del Consiglio sia profondamente incazzato per queste uscite, e ne avrebbe tutte le ragioni, visto che è impegnato un giorno sì e l’altro pure a doversi scrollare di dosso ogni traccia di contiguità col fascismo. Ma se questi sono i risultati, hai voglia a scrollare.

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