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Quelle morti solitarie in Corea del Sud e Giappone

Godoksa o kodokushi, il senso non cambia. In Corea del Sud e in Giappone preoccupa il fenomeno delle morti solitarie. Anziani, poveri, disabili si spengono nella più totale indifferenza. E la pandemia non ha fatto altro che peggiorare la situazione.

6 Gennaio 2023 17:30 Federico Giuliani
Le morti solitarie in Corea del Sud e Giappone

Morire da soli, senza nessuno accanto, tra l’indifferenza generale di amici e parenti. Morire nelle proprie abitazioni, scoperti da qualcuno per puro caso dopo giorni, se non settimane, dal decesso. Morire senza lasciare traccia di se stessi. In Corea del Sud la chiamano godoksa, in Giappone, dove di fatto è “nato” questo preoccupante fenomeno, kodokushi. La traduzione letterale di entrambi i termini è “morte solitaria”.

Un fenomeno che si è aggravato con la pandemia 

Si tratta di una piaga che sta pericolosamente prendendo piede nella regione più dinamica e moderna del Pianeta, ma dove il tasso di invecchiamento è sempre più alto. Per la legge sudcoreana si è di fronte a una morte solitaria quando qualcuno che vive da solo, per scelta o perché tagliato fuori dalla famiglia e dai parenti, muore a causa di una malattia o di un suicidio, e il suo corpo viene ritrovato dopo un certo periodo di tempo. Non c’è una sola causa alla base di queste morti. I fattori sono molteplici e si sono aggravati con la pandemia di Covid-19, spaziando dalla crisi demografica all’isolamento sociale, fino all’allargamento della forbice sociale. Nel corso del 2021, in Corea del Sud si sono registrati 3.378 episodi di godoksa, in chiaro aumento rispetto, ad esempio, i 2.412 del 2017.  In Giappone la situazione è ancora più grave: nel 2017, il NLI Research Institute, un think tank di Tokyo, stimava che circa 30 mila morti solitarie l’anno. Nel 2018, giusto per capire il peso di questo fenomeno, nella sola Capitale se ne sono contate 5.513, ovvero sei volte il numero di omicidi confermati nell’intera nazione. In entrambi i Paesi, i governi attribuiscono il fenomeno anche al cambiamento della struttura familiare e all’aumento del numero di persone che vivono da sole – che in Giappone, lo scorso anno, hanno rappresentato oltre il 33 per cento di tutte le famiglie – nonché alla scarsa soddisfazione della vita degli uomini di mezza età, tra divorzi e licenziamenti.

Nel 2021 la Corea del Sud ha registrato 3 mila “morti solitarie”, persone decedute senza affetti. È colpa di povertà e crisi di lavoro.
La minuscola stanza dove ha vissuto una della vittime di “godoksa” (Getty Images).

Tra le cause delle morti solitarie la povertà e l’isolamento sociale

Il ministero della Salute e del Welfare sudcoreano ha diffuso un interessante rapporto volto ad analizzare il fenomeno. È emerso, ad esempio, che, sebbene le morti solitarie possano colpire chiunque, gli uomini di mezza età e gli anziani risultano maggiormente a rischio. Nel 2012, il numero di uomini morti in simili circostanze ha superato di 5,3 volte quello delle donne. Le persone tra i 50 e i 60 anni hanno rappresentato il 60 per cento degli episodi di godoksa, mentre la fascia d’età compresa tra i 20 e i 30 anni è arrivata attorno al 6-8 per cento. La Corea del Sud, ha fatto notare la Cnn, è uno dei Paesi asiatici che, assieme a Cina e Giappone, deve affrontare un progressivo declino demografico. Il tasso di natalità sudcoreano è in calo dal 2015. Gli esperti puntano il dito contro la cultura del lavoro troppo esigente, l’aumento del costo della vita e i salari stagnanti, mentre la forza lavoro si sta riducendo. Una delle conseguenze è che milioni di anziani lottano, da soli, per sopravvivere. Nel 2016, secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico oltre il 43 per cento dei coreani over 65 si trovava al di sotto della soglia di povertà, il triplo della media nazionale di altri Paesi OCSE. Gli esempi di morti solitarie sono innumerevoli. Tra quelli riportati nel report troviamo un operaio di 64 anni morto per una malattia epatica causata dall’alcol, un anno dopo aver perso il lavoro per via di una disabilità. L’uomo viveva senza istruzione, famiglia né cellulare. Una donna di 88 anni, invece, ha riscontrato difficoltà finanziarie in seguito alla morte del figlio, ed è morta dopo che il centro di assistenza per anziani che frequentava, e che forniva pasti gratuiti, è stato chiuso a causa Covid. Gran parte di queste persone viveva in spazi angusti e squallidi, in appartamenti suddivisi o seminterrati.

Le morti solitarie in Corea del Sud e Giappone
Le morti solitarie in Giappone colpiscono soprattutto anziani con demenza (Getty Images).

In Giappone pesa lo sfilacciamento dei legami sociali

Il Paese più tristemente noto per le morti solitarie è il Giappone. Il quotidiano Mainichi Shimbun scriveva nel 2020 che la demenza e lo sfilacciamento dei tradizionali legami comunitari stavano contribuendo ad aumentare questo fenomeno. Secondo Suumo, una società immobiliare giapponese, i prezzi delle proprietà in cui qualcuno è morto di morte naturale o solitaria diminuiscono dal 10 al 20 per cento, del 30 per cento per i suicidi e di circa il 50 per cento per omicidi e altri crimini. L’impatto sociale del fenomeno ha iniziato a essere ampiamente discusso solo 10 anni fa. Al fine di scongiurare tragedie del genere, le aziende stanno installando servizi di intelligenza artificiale di monitoraggio e sensori di movimento all’interno delle case degli anziani. Secondo Bloomberg  le radici del problema risalgono agli anni del boom del Paese, dopo la Seconda Guerra mondiale. Il nuovo stile di vita si dovette poi confrontare con la bolla finanziaria dei primi Anni 90. L’insicurezza economica che ne è derivata dura tuttora e sta portando i giovani giapponesi a rimandare il matrimonio e i figli. Nel frattempo, sempre più persone perdono la sfida con la modernità e muoiono da sole. Kodokushi o godoksa, il senso della morte solitaria non cambia.

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