Non so, né mi interessa sapere, se Luca Morisi, lo spin doctor digitale di Matteo Salvini, sia gay o meno. Il tema, tuttavia, sembra appassionare molto la politica e, di riflesso, i media, che della politica registrano, legittimamente e direi doverosamente, umori, reazioni, esternazioni oltreché azioni e comportamenti. In questo caso azioni e comportamenti che, sia chiaro, appartengono alla sfera privata, e che però – nella loro pubblicizzazione – non possono non impattare sulla politica, poiché sollevano, nello specifico, una contraddizione non troppo secondaria, disvelando, in casa leghista, una doppia morale al centro, in questi giorni, di molte analisi e discussioni. Tralascio il tema della droga, su cui credo che solo una puntuale indagine potrà dire parole circostanziate e dunque sensate, e limito le mie considerazioni alla sfera della omosessualità così come emersa nella vicenda.
Salvini accusa di omofobia la sinistra ma ignora Pillon
Da questo punto di vista, noto subito una prima contraddizione, perché l’accusa di omofobia rivolta dal leader della Lega alla sinistra nei confronti del suo social guru dovrebbe essere rivolta a esponenti proprio della Lega, anzi, a un esponente della Lega: l’ultracattolico senatore Simone Pillon, tenace sostenitore di un complotto sull’ideologia gender alimentato dalla lobby LGBT per sovvertire l’ordine morale del mondo, e pronto a suo dire a farsi esplodere, come un kamikaze dell’Isis, se venisse approvata la Legge Zan. In una conversazione con il Foglio, poi smentita, Pillon ha sostenuto di non essere stupito dell’accaduto, «viste le note abitudini del personaggio» e quindi che la giustizia divina ha semplicemente «fatto il suo corso», aggiungendo che Morisi non gli era mai piaciuto, anche perché il social media manager della Lega «mi ha sempre fatto la guerra». Per esempio mettendosi di traverso, nel 2019, quando cercò di convincere il segretario Salvini – fortemente richiesto da Pillon – a non partecipare al World Family Congress (o Family Day) di Verona, la kermesse ufficialmente organizzata per promuovere la bellezza della famiglia, ma rivelatasi, di fatto, una manifestazione impregnata di omofobia e discriminazione delle diversità, all’insegna dello slogan scandito da vari gruppi di estrema destra partecipanti “Dio, Patria, Famiglia”.

La corrente Mykonos e la minaccia di outing
Insomma, Morisi è il tipico rappresentante di quella corrente interna al partito che Pillon chiama «corrente Mykonos», di cui il senatore dice, quasi con toni di minaccioso outing (l’outing, lo ricordo per chi non lo sapesse, è lo “sputtanamento pubblico” di persone gay che non si sono dichiarate volontariamente, e il suo utilizzo “politico” è stato inaugurato negli Usa agli inizi degli Anni 90 dal giornalista radiofonico Michelangelo Signorile che ne fece uso per difendere la comunità LGBT dagli attacchi omofobi praticati da molti politici conservatori gay che cercavano così di allontanare da sé ogni sospetto di omosessualità), di conoscere tutti i nomi.
Quando dichiararsi gay nella Lega è un boomerang
Pillon, per dirla tutta, ha anche detto che l’omosessualità dei suoi colleghi non rappresenta, di per sé, un problema, ma che sarebbe meglio che i “mykonosiani” almeno si dichiarassero pubblicamente come tali. Cosa che, visto qualche precedente, non si è rivelata del tutto utile per i diretti interessati. È il caso di Stefano Guida, ex parrucchiere, gay dichiarato (nel suo curriculum anche la partecipazione a un film porno, dal titolo inequivocabile di Gay Party Underwear), che, nel 2011, poco più che 30enne, si candidò, senza successo, alle elezioni comunali di Bologna proprio tra le fila leghiste. Pare che la mancata elezione fosse dovuta alla “contro-campagna” organizzata nei suoi confronti dal Carroccio bolognese che non gli aveva perdonato un’intervista molto “aperta”, rilasciata dal candidato a un sito online di informazione.
La breve vita di Los Padania
Stefano Guida era stato candidato “in quota” LOS (Libero Orientamento Sessuale) Padania, gruppo fondato, coraggiosamente, va detto, all’interno del Carroccio a metà Anni 90, per fare da “contraltare” al celodurismo imperante nel movimento, e dove l’epiteto di “culattone” rivolto dai leghisti (anche dai vertici) ai nemici politici era molto gettonato. Il LOS era stato fondato dai veneti Carlo Manera e Marcello Schiavon (e pare accolto favorevolmente da Roberto Maroni) proprio per sensibilizzare la Lega, ma in generale il centrodestra, nei confronti dei diritti degli omosessuali. Riuscì a raccogliere una cinquantina di militanti (che parteciparono anche a qualche gay pride imbracciando bandiere celtiche) ma ebbe una vita effimera, durando, come si dice, lo spazio di un mattino. Venne riesumato a inizi Anni 2000 e, dopo la vicenda bolognese, sparì. Chissà, forse inghiottito dalle nebbie padane. LOS(T) in Padania.