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Legay

Dall’apertura ai matrimoni tra persone dello stesso sesso degli Anni 90 all’anatema di Calderoli del 2006 contro «la civiltà gay che ha trasformato la Padania in un ricettacolo di culattoni», fino al caso Morisi. Il rapporto del Carroccio con l’omosessualità.

30 Settembre 2021 12:521 Ottobre 2021 15:29 Francesca Buonfiglioli
Caso morisi: il legame tra lega e omosessualità

Effetti collaterali del caso Morisi. La vicenda che vede implicato il creatore della Bestia salviniana ha confermato ciò che si sapeva già cioè l’esistenza di due Leghe: quella del celodurismo 2.0, che dichiara guerra al Ddl Zan e si fa paladina della famiglia cosiddetta tradizionale con una-mamma-e-un-papà e il partito in cui, parola del senatore Simone Pillon, «i gay sono tantissimi. Li conosco tutti. Tra Camera e Senato non bastano due mani per contarli» (Intervista al Foglio).

La corrente Mykonos della Lega

Una Lega in cui serpeggia la “corrente Mykonos” (sull’isola greca il deputato dem Alessandro Zan vide un collega leghista particolarmente aggressivo in Aula contro il Ddl che porta il suo nome baciare un uomo) composta da una ventina tra deputati e senatori del Carroccio. E c’è di più, come racconta al Fatto Quotidiano una fonte leghista, nel 2018 Morisi partecipò attivamente alla composizione delle liste elettorali, infilando una ventina di suoi «protetti». Tutti gay. Chissà cosa ne pensa quel Roberto Calderoli che nel gennaio 2006 metteva in guardia il suo popolo dalla deriva rainbow. «La civiltà gay ha trasformato la Padania in un ricettacolo di culattoni», disse l’allora ministro delle Riforme come ricordò Gian Antonio Stella sul Corriere. «Qua rischiamo di diventare un popolo di ricchioni». E, ancora: «Questi culattoni hanno nauseato. Pacs e porcherie varie hanno come base l’arido sesso e queste assurde pretese di privilegi da parte dei culattoni sono fuori luogo e nauseanti». Parole che lette insieme con le cronache di questi giorni suonano come una nemesi.

Il rapporto tra Lega e gay
Roberto Calderoli in Senato nel 2006 (Getty Images).

La Lega Nord, il matrimonio gay e Los Padania

E dire che la Lega Nord delle origini era su ben altre posizioni. «Lo Stato non deve entrare nelle camere da letto dei propri cittadini», recitava un volantino del Carroccio. Nella Padania attraversata dai venti di secessione, il partito era addirittura aperto ai matrimoni gay. «Il matrimonio fra gay? Nella Padania auspicata dalla Lega, sarà possibile per venire incontro alle esigenze di vera libertà degli individui», sosteneva Franco Fante, senatore del Carroccio dal 1994 al 1996. Sempre di quegli anni è l’esperienza di Los Padania (dove Los sta per libero orientamento sessuale) raccontata in Razza Padana (2008) di Adalberto Signore e Alessandro Trocino. «Un’associazione che arriverà a contare una cinquantina di persone», si legge nel libro, «e che insieme a Gay Lib, vicina ad An, si batte dal centrodestra per i diritti degli omosessuali». Los, fondata da Marcello Schiavon, Carlo Manera ed Enrico Oliari, era una delle sigle presenti sul sito della Lega Nord, presenziava agli eventi ufficiali ed era ufficialmente riconosciuta dal partito. «Allora», ricordava Manera in Razza Padana, «c’era un clima laico e di tolleranza».

La svolta machista del Senatùr

Già, c’era. Perché nel 2000 il riavvicinamento al centrodestra guidato da Silvio Berlusconi benedetto dal Vaticano impose a Bossi un dietrofront. «No alla famiglia omosessuale. Noi tolleriamo la diversità ma non accettiamo la dittatura di un modello sessuale artificiale». Con queste parole il Senatùr suggellò la metamorfosi omofoba della sua creatura. Mentre il figlio Renzo, il Trota, dichiarava: «Nella vita va provato tutto, tranne droga e culattoni». Da allora i Los Padania fecero perdere le loro tracce. Fu nel nome del celodurismo militante che sul Monviso, durante il raduno leghista del 2013, sempre Calderoli esortò il popolo padano a «tornare ad avercelo duro». E Bossi lo interruppe: «A te sono sempre piaciute le donne, non sei come Tosi». Salvini subito dopo alla Zanzara cercò di stemperare i toni: «Bossi è fermo al passato in cui si pensava che dare del frocio è un insulto». Fatto sta che Flavio Tosi allora alla guida di Verona fu tra i primi sindaci a istituire un registro per le coppie di fatto, comprese quelle dello stesso sesso.

il rapporto tra Lega e gay
Salvini al Popstarz di Milano. Tra i presenti anche Di Rubba e Manzoni (da Gay.it).

Salvini, tra rosari e serate gay friendly

E Salvini? Il Capitano che bacia rosari in Piazza Duomo e affida «l’Italia, la mia e la vostra vita, al cuore immacolato di Maria» strizza l’occhio ai reazionari, ai tradizionalisti, al popolo del Family Day senza mai passare il segno. Insomma ognuno è libero di fare ciò che vuole. Tra le lenzuola, sia ben chiaro, guai “ostentare”. «Sono convinto che, senza famiglia e senza figli, la nostra società andrebbe a morire», disse nel 2014. «Rispetto l’omosessualità, alla richiesta di diritti io non dico mai di no a prescindere. Ma, e su questo non cambierò mai idea, il matrimonio si celebra fra un uomo e una donna, e i figli si danno in adozione a un uomo e a una donna. Genitore 1 e genitore 2, due mamme e due papà, le adozioni gay e la diversità ostentata, non mi piacciono». L’ex comunista padano del Leonka per raggranellare voti non disdegna certo gli ambienti Lgbt. E la cosa non stupisce visto che nel 2001 l’attuale segretario leghista, che ha definito l’Islam «incompatibile con i nostri valori», cercava voti per le Comunali in moschea. Come riportò Gay.it, nel 2015 si fece immortalare al Popstarz di Milano durante una serata gay-friendly accoccolato con amici sui divanetti. Nelle foto si riconoscono alcune facce note. C’è Alessandro Morelli, ora viceministro delle Infrastrutture e delle mobilità sostenibili che ai tempi in cui era capogruppo leghista a Palazzo Marino – era il 2013 – condivise su Facebook una foto con la scritta “Vendola gay e pedofilo” contro le adozioni gay per poi scusarsi «della leggerezza». Ma anche Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, i due revisori contabili della Lega in parlamento che lo scorso giugno sono stati condannati rispettivamente a 5 anni e 4 anni e 4 mesi nel processo con rito abbreviato nell’indagine sulla compravendita della sede della Fondazione Lombardia Film commission, ente partecipato da Regione e Comune di Milano. Ma questa è un’altra storia. Anche per Salvini.

Tag:Lega, Salvini
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