«La scelta di fare i mondiali in Qatar è stata un errore, è un Paese troppo piccolo per ospitare il torneo. Sarebbe stato molto meglio accettare la candidatura degli Stati Uniti». Alla buonora il colonnello Joseph Blatter ha deciso di fare autocritica. E nel corso di un’intervista rilasciata al quotidiano svizzero Tages Anzeiger ha ammesso con 12 anni di ritardo ciò che nell’immediato era evidente al resto dell’umanità. Non sono chiari i motivi che lo hanno indotto a farlo. E detto francamente, dovendo farlo ha scelto il più bizzarro degli argomenti. Perché le dimensioni minuscole dell’emirato erano requisito noto già all’epoca in cui la candidatura del Qatar a ospitare una fase finale dei mondiali veniva presentata e successivamente premiata dal voto del comitato esecutivo Fifa. Sono molti altri i motivi che nel frattempo hanno reso evidente quanto inopportuna sia stata la scelta di far giocare i mondiali in Qatar. Ma allora era proprio necessario arrivare a meno di due settimane dall’inaugurazione per rilevare l’assoluta evidenza dei fatti? Evidentemente sì, per l’ormai 86enne ex presidente della Fifa disarcionato dagli effetti dello scandalo che a fine maggio 2015 decapitò mezza classe dirigente del calcio mondiale. Lui pensava di uscire indenne anche da quella temperie, ma stavolta lo scandalo era di dimensioni troppo grandi anche per la sua faccia di bronzo. Sicché gli riuscì soltanto di rimettere il mandato poche settimane dopo essere stato eletto nel pieno della tempesta, di guadagnare altro tempo facendo come se lui non fosse il leader morale di quello sfascio etico.
L’ultimo capitolo dell’interminabile lotta di potere all’interno della Fifa
In quei giorni di maggio 2015, per Blatter, le dimensioni territoriali del Qatar non erano un problema. Men che meno lo erano la sera del 2 dicembre 2010, quando con decisione eterodossa il comitato esecutivo della Fifa decise di assegnare due fasi finali dei mondiali in una sola volta e le consegnò a Paesi dal profilo democratico più che opinabile: Russia 2018 e Qatar 2022. E se a 12 anni di distanza il colonnello pronuncia parole che in fondo sono così severe soprattutto per se stesso, bisogna provare a capire se vi sia un messaggio latente sotto la superficie del messaggio esplicito. La risposta è che sì, quel messaggio c’è di sicuro come c’è sempre quando a esternare è un soggetto machiavellico come il penultimo presidente della Fifa. Ma dovendo andare al grado successivo per capire quale sia il contenuto del messaggio e chi il destinatario, allora si può soltanto procedere per interpretazioni. Senza tema di sbagliare l’analisi, tuttavia. Perché per l’ennesima volta queste parole si innestano dentro l’interminabile lotta di potere all’interno della Fifa, dalla quale Blatter sente di non essere ancora uscito. E anzi, la recente assoluzione nel processo penale che lo vedeva coinvolto in Svizzera assieme a Michel Platini lo ha ringalluzzito. È definitivamente fuori dai giochi, ma ciò non significa che non possa usare la riserva di veleni che gelosamente tiene custodita in cantina. E a dover temere è proprio il suo successore, l’avvocato italo-svizzero Gianni Infantino che grazie a un’irripetibile sequela di circostanze favorevoli (e chissà quanto casuali) si è trovata sgombra la via verso l’elezione alla presidenza della Fifa. In tutto ciò il Qatar sta sullo sfondo. E tocca in modo pesante, sia pur in modo diverso, tutti i protagonisti di questo frammento di storia, uno fra i tanti che avremo modo di raccontare nell’avvicinamento al mondiale più cinico nella storia del calcio. I personaggi in questione sono stati fin qui nominati quasi tutti: Joseph Blatter, Michel Platini, Gianni Infantino. Il ‘quasi’ chiama in causa un quarto personaggio, del quale l’opinione pubblica mondiale si è ormai dimenticata e che invece risulta cruciale, sia per l’assegnazione del mondiale all’emirato nel 2010 che per comprendere la violenza con cui vengono condotte le faide all’interno della Fifa: Mohammed bin Hammam.

Bin Hammam, l’ex potente che osò sfidare Blatter
Il signor Mohammed bin Hammam non è stato un personaggio qualsiasi. Classe 1949, figlio di un uomo d’affari, diventa a sua volta un businessman di successo alla guida di Kemco, una holding che partendo dal settore elettromeccanico si espande fino a essere un soggetto di peso nell’economia qatariota in ascesa. L’uomo ha anche una grande passione per il calcio, che lo porta a scalare tutte le posizioni di potere che partono dalla proprietà di un club (l’Al-Rayyan) alla presidenza della federcalcio nazionale nel 1992, fino all’elezione alla presidenza della confederazione calcistica asiatica (CAF) nel 2002. A capo del calcio asiatico bin Hammam rimane per nove anni, fino al 2011. E in quel lasso di tempo assume il ruolo di architetto della candidatura del suo Paese a ospitare una fase finale dei mondiali. Lo fa costruendosi una leadership che lo rende autonomo persino dalla dinastia regnante dell’emirato, che del resto visti i risultati lo lascia fare. Da presidente della CAF assume anche il ruolo di vicepresidente Fifa, con l’effetto che degli alti papaveri allineati in cima alla confederazione calcistica mondiale acquisisce modus operandi e spregiudicatezza. Sa cosa è necessario fare per portare a compimento una candidatura mondiale, e inoltre è un uomo ricco in un Paese ricchissimo. Dunque non deve fare fatica per capire che per ottenere il risultato si debba ungere le ruote. Sicché mobilita una quantità esagerata di denaro per comprare voti, soprattutto quelli delle federazioni nazionali africane come nel 2014 dimostrerà un’inchiesta del Sunday Times. Quando le rivelazioni del quotidiano londinese verranno messe a disposizione del pubblico, bin Hammam sarà già caduto in disgrazia da un bel po’. Per l’esattezza dal 2011 e per un motivo tanto semplice quanto brutale: aver provato a sfidare Joseph Blatter nella corsa alla presidenza della Fifa. Accade tutto nel giro di pochissimi mesi. Il 2 dicembre del 2010, quando la Fifa assegna i mondiali 2022 al Qatar, il capo del calcio asiatico viene narrato al mondo come un trionfatore. Il 29 maggio 2011, cioè nemmeno sei mesi dopo, si ritira dalla corsa alla presidenza della Fifa perché travolto dai sospetti di corruzione, lasciando Blatter a correre da solo per la rielezione. La velocità con cui avviene la sua caduta è spettacolare, ma ancor più stupefacente è la rapidità con cui si susseguono l’annuncio della sua candidatura in contrapposizione a Blatter e l’emergere delle accuse di corruzione a suo carico. Per bin Hamman seguiranno due pronunciamenti di radiazione da parte della Fifa, intervallati da un giudizio del Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna che annulla la prima radiazione. Nemmeno per un momento, durante quei lunghi eppur rapidissimi mesi, Blatter si pone il problema che l’emirato sia troppo piccolo per ospitare una fase finale dei mondiali. Le sue preoccupazioni sono ben altre.

L’ex Roi Platini caduto nel fango
Nel lasso di tempo in cui Mohammed bin Hammam tocca il picco del potere personale da dirigente calcistico per poi precipitare in un abisso d’infamia, Michel Platini è ancora un leader del calcio mondiale in ottimi rapporti con Blatter. Che si è servito dell’ex Roi Michel per scalzare dalla presidenza dell’Uefa un altro dinosauro del calcio internazionale, lo svedese Lennart Johansson, e è anche ben lieto di avere al proprio fianco un mito del calcio giocato. Ma intanto, da capo del calcio europeo, Michel Platini cresce. E le sue ambizioni vanno di pari passo. Comincia a valutare un futuro da presidente della Fifa e nel frattempo stringe alleanze con settori politico-economici del massimo livello. E muovendosi in questa vasta terra di mezzo finisce per partecipare a un meeting che è l’inizio della sua fine. Il tutto avviene il 23 novembre del 2010, quando all’Eliseo l’ex fuoriclasse della Juventus e della nazionale francese partecipa a un pranzo che vede l’allora presidente della repubblica Nicolas Sarkozy fare da padrone di casa, nella doppia veste di capo di Stato e di tifoso del Paris Saint-Germain (PSG). Al pranzo partecipano anche i rappresentanti di Colony Capital, il fondo che detiene il PSG e non vede l’ora di disfarsene, ed emissari del governo qatariota. A tavola vengono prese decisioni cruciali: il passaggio di proprietà del PSG, l’investimento del Qatar nel settore della pay-tv sportiva in Francia, e con ogni probabilità anche lo spostamento di qualche voto per l’assegnazione dei mondiali 2022. Bisogna infatti tenere ben presente la cronologia: il 23 novembre 2010 precede di pochi giorni la data dell’assegnazione della manifestazione al Qatar (2 dicembre 2010). E continuando con la cronologia, a febbraio 2011 (cioè due mesi dopo il voto del comitato esecutivo Fifa) viene saldata a Platini dalla Fifa una stramba consulenza da 2 milioni di franchi svizzeri concordata nel 2002. Guardando retrospettivamente, la consulenza in questione è al centro di un’altra concatenazione di eventi che somiglia a quella da cui è stato travolto bin Hammam. Succede che nell’estate del 2015 Blatter si dimette da presidente della Fifa, ciò che spianerebbe la strada a Platini. E invece a fine settembre 2015 viene fuori la storia della consulenza pagata con nove anni di ritardo e soltanto due mesi dopo l’assegnazione dei mondiali al Qatar. A causa di questa rivelazione Platini rimane fuori dal mondo del calcio, e subirà pure l’umiliazione di un fermo di polizia a Nanterre (giugno 2019) e il processo in Svizzera che lo vede coimputato con Blatter, entrambi assolti. C’è dunque, ancora una volta, lo zampino di Blatter nella caduta di un suo aspirante successore? Sulle prime è questa la lettura dei fatti più accreditata. Ma poi se ne diffonde una alternativa.

Infantino e l’ex procuratore generale
In Svizzera sono esplosi molti scandali intorno al calcio. E uno fra questi, meno noto fuori dalla confederazione, ha visto inquisire l’inquisitore. L’accusatore trasformato in accusato si chiama Michael Lauber, procuratore generale della confederazione elevetica fino all’estate del 2020. In quel ruolo Lauber conduce, in cooperazione con la procuratrice generale statunitense Loretta Lynch, l’inchiesta che porta al clamoroso blitz zurighese del 27 maggio 2015, quello che decapita la classe dirigente Fifa del Nord e Centro America e indurrà Blatter alle dimissioni. Grazie all’esposizione mediatica che ne deriva, Lauber diventa un personaggio noto anche a livello internazionale. Ma pure nel suo caso il momento di massima gloria coincide con l’avvio della rovina. Che arriva più lentamente di quanto accaduto a bin Hammam, ma se possibile comporta un’infamia maggiore. A mettere in pessima luce Lauber sono tre incontri avvenuti fra il 2016 e il 2017, tenuti nello svolgimento delle funzioni ma non menzionati nell’agenda di lavoro, ciò che invece sarebbe obbligatorio per dovere d’ufficio. Chi ha incontrato Lauber in quelle circostanze? Risposta: Gianni Infantino, il nuovo presidente della Fifa che dalle sfortune giudiziarie di Blatter e Platini si è visto spianare la strada verso la massima poltrona del calcio mondiale. A quei tre incontri se ne aggiunge un quarto, avvenuto in precedenza, che non coinvolge Infantino ma una persona a lui molto vicina. Si tratta di Rinaldo Arnold, primo procuratore dell’Alto Vallese ma soprattutto ex compagno di scuola di Infantino. Interpellato sull’oggetto di quell’incontro, Arnold risponde che a essere discusse sono state questioni di procedura giudiziaria. E tuttavia, serve ancora guardare la cronologia: l’incontro fra Lauber e Arnold avviene l’8 luglio 2015, cioè fra il blitz di Zurigo (27 maggio 2015) e la rivelazione della consulenza pagata dalla Fifa che mette fuori causa Platini (fine settembre 2015).

Il rapporto tra il presidente Fifa e l’emirato
Infantino verrà eletto presidente Fifa a febbraio 2016. Da segretario generale dell’Uefa, sotto la presidenza di Platini, si era trovato a amministrare l’applicazione del Fair Play Finanziario nei confronti del PSG. E stando alle informazioni svelate da Football Leaks, il trattamento per il club degli emiri (così come per il Manchester City) fu di estremo favore. Col passare degli anni il rapporto di Infantino con l’emirato si è rafforzato. Nel frattempo il procuratore generale Lauber è stato costretto a dimettersi proprio a causa di quegli incontri segreti. Lo stesso Infantino è finito sotto inchiesta da parte della magistratura elvetica. E magari non c’è un nesso di causa-effetto, ma resta il fatto che nei mesi scorsi il presidente della Fifa ha trasferito all’estero la residenza sua e dei familiari. Dove? In Qatar. Ormai il presidente Fifa si sente talmente integrato nel suo nuovo Paese da sposarne il sistema di valori e fare appello affinché i calciatori che parteciperanno al mondiale si occupino soltanto di calcio, senza stare a preoccuparsi di politica e diritti umani. L’uomo si sente assediato e l’emirato è diventato la sua comfort zone. Si sente tanto più assediato dopo l’assoluzione di Blatter e Platini, che dal canto loro non perdono occasione per lanciare allusioni nei suoi confronti. Del resto, le ostilità sono state definitivamente dichiarate quando, nel processo contro gli ex presidenti di Fifa e Uefa, Infantino ha schierato un’avvocatessa che per conto della ‘nuova’ Fifa caricasse di ulteriori accuse i due imputati. Obiettivo fallito, con ulteriore ostilità come lascito. Qui il cerchio si chiude. E si capisce come mai Blatter scopra adesso che il Qatar, la comfort zone di Infantino, è un Paese non così adatto a ospitare un mondiale. Tanto più se il colonnello affida questa dichiarazione al quotidiano di punta della Svizzera tedesca, rappresentativo di quella parte della stampa elvetica da cui Infantino si è sempre sentito perseguitato perché “di origini italiane”. E già, nella visione del mondo di Infantino la Svizzera è ancora quella attraversata da Nino Manfredi in Pane e cioccolata. Al confronto il Qatar è un paradiso. E cosa volete che siano i diritti umani, quando ci sono di mezzo quelli personali?