Quella del 1988 a Ronse, in Belgio, è la sintesi perfetta di cosa significhi un Mondiale di ciclismo. Di come possa bastare un attimo per cambiare la storia della competizione e di una carriera. Un solo istante per assegnare la maglia iridata, obiettivo di una giornata scandita da mille insidie e infinite variabili. Allora erano in tre sul rettilineo di arrivo. C’era il belga Claude Criquielion, alla ricerca del bis (dopo il titolo del 1984) e pronto a far esultare il pubblico di casa, con lui il canadese Steve Bauer, che all’ultimo chilometro aveva agganciato i due fuggitivi e sognava il grande colpo. A completare il gruppetto, l’azzurro Maurizio Fondriest, visibilmente affaticato. In suo soccorso, però, giunse la fortuna, capace di scompaginare le carte e ribaltare il destino della corsa: Bauer e Criquielion si toccarono a poche centinaia di metri dal traguardo, il belga finì a terra, il canadese perse vigore nella pedalata. E così Fondriest mise la freccia, alzando le braccia al cielo. Era appena diventato campione del mondo.
Duitama, Olano campione del mondo con la ruota forata
Ma se l’edizione del 1988 è entrato di diritta nell’Olimpo, non è stata da meno la rassegna del 1995, a Duitama, in Colombia. Per gli appassionati italiani il ricordo vola alla medaglia di bronzo conquistata da Marco Pantani, al rimpianto per un risultato che sarebbe potuto essere più prestigioso, pur su un percorso non esattamente in linea con le caratteristiche del Pirata. Nella circostanza, lo spagnolo Abraham Olano, erede designato di Miguel Indurain, riuscì a cogliere l’attimo vincente, staccando proprio il navarro e Pantani, troppo preoccupati di marcarsi a vicenda. Un’impresa col brivido per il basco, costretto a ottocento metri dall’arrivo a fare i conti con la foratura della ruota posteriore. L’iberico proseguì imperterrito, tagliando il traguardo con il copertone a terra, ma il morale a mille. Dimostrò grande forza nervosa e talento, nonostante i quali, non riuscì poi a mantenere le altissime aspettative che si erano di colpo riversate su di lui.
Il 1987, l’anno magico di Stephen Roche
Esperto di attimi fuggenti anche l’irlandese Stephen Roche, in grado nel 1987 di realizzare un clamoroso triplete, aggiudicandosi il titolo iridato in Austria, il Giro d’Italia e il Tour de France. Secondo di sempre a centrare il primato, l’ultimo, dopo il Cannibale Eddy Merckx. Al mondiale, Roche scattò lungo le transenne beffando i favoriti allo sprint, sugellando una stagione irripetibile. Altra edizione fuori da ogni previsione fu quella del 1990, a Utsunomiya, in Giappone. Il Belgio siglò una doppietta inaspettata: Rudy Dhaenens, mai vittorioso in gare importanti, malgrado gli ottimi piazzamenti nelle classiche del Nord, anticipò la traguardo il connazionale Dirk De Wolf. Anche il nuovo millennio fu accolto con una sorpresa. Nel 2000 a Plouay, in Francia, vinse il lettone Romans Vainsteins, primo corridore dell’ex Urss a indossare la maglia iridata e fino a quel giorno niente più che un buon corridore. In un finale di gara convulso ebbe la meglio su Andrei Tchmil, russo con nazionalità belga, arrivato sfinito negli ultimi metri.
I trionfi nella tempesta
Parlando di trionfi inattesi, non si può escludere il danese Mads Pedersen. Appena due anni fa, nello Yorkshire, bruciò nella volata finale l’italiano, Matteo Trentin, al termine di una competizione contraddistinta da condizioni meteo estreme. Al traguardo giunsero in pochi, all’interno di un ordine d’arrivo impronosticabile alla vigilia. Da un diluvio a un altro, il 1993 è l’anno di Oslo e Lance Armostrong. Il texano, all’epoca un 22enne di belle speranze e grandi ambizioni, piazzò un colpo strepitoso, anticipando di 19 secondi Miguel Indurain. Ne verrà fuori un’immagine altamente simbolica, con il promettente statunitense che alza le braccia sotto la tempesta. Un po’ come la sua carriera, contraddistinta da grandi successi e terminata nella bufera.