Il Mondiale dei migranti morti sul lavoro, dei diritti negati, delle fasce vietate, delle proteste censurate, della birra relegata lontana dagli stadi. Ma anche, come sempre accade durante il massimo torneo calcistico, il Mondiale delle sorprese. Qatar 2022 non fa eccezione. Nel corso del primo turno della fase a gironi se ne sono materializzate due, clamorose: la sconfitta per 2-1 contro l’Arabia Saudita patita dall’Argentina e quella, con identico punteggio, subita dalla Germania contro il Giappone. A queste due se ne può aggiungere una a metà: il pareggio tra Marocco e Croazia.
Argentina e Germania, tra demeriti loro e meriti degli avversari
Entrambe le vittorie degli sfavoriti sono arrivate in rimonta. A sorprendere di più quella dell’Arabia Saudita, che con la sua difesa altissima ha mandato in tilt l’Argentina, caduta ripetutamente nella trappola del fuorigioco. Dopo il vantaggio di Lionel Messi su rigore, nella ripresa la Selección ha subito l’uno-duo terrificante firmato Saleh Al-Shehri e Salem Al-Dawsari. E poi non è stata in grado di reagire, incartandosi nel tentativo di servire continuamente Messi, un po’ per mancanza di idee, un po’ per accondiscendenza nei confronti del suo fuoriclasse, ancora una volta sotto enorme pressione, come gli capita ogni quattro anni. Per l’Argentina una sconfitta che ricorda per proporzioni quella all’esordio di Italia 90 contro il Camerun, per l’intera Arabia Saudita addirittura una giornata di festa nazionale, indetta da re Salman.

Spartito identico nel match tra Germania e Giappone: tedeschi in vantaggio nel primo tempo su rigore (a segno Ilkay Gundogan), poi rimonta nipponica grazie alle reti di Ritsu Doan e Takuma Asano. La Mannschaft ha avuto più volte la palla del raddoppio, ma ha giocato con una certa superficialità: le parate di Shuichi Gonda e la capacità dei nipponici di rimanere in partita ha fatto il resto. Dopo appena un match, la Germania è già sul baratro: il prossimo impegno è con la Spagna che all’esordio ha seppellito di gol il Costa Rica.

L’impresa dell’Arabia Saudita, 51esima nel ranking Fifa
Diverso il caso del pareggio 0-0 tra Croazia e Marocco, che può essere considerato una sorpresa a metà: per il risultato in sé e anche perché la nazionale slava non è quella di quattro anni fa, quando arrivò a contendere il titolo mondiale alla Francia. Inoltre, premesso che il ranking Fifa è da prendere con le pinze (l’Italia è sesta ma guarda il Mondiale da casa), tra le due nazionali il mismatch non era nemmeno così elevato, a bocce ferme: Croazia al 12esimo posto, Marocco al 22esimo. Graduatoria Fifa alla mano, non c’è dubbio che la sorpresa maggiore sia stata la vittoria dell’Arabia Saudita sull’Argentina. L’Albiceleste si trova infatti al numero 3 della graduatoria realizzata dal massimo organismo mondiale del calcio. La rappresentativa mediorientale, invece, è appena 51esima. Di contro, la Germania è 11esima, mentre il Giappone occupa la posizione numero 24.
Congratulations to the team and the staff for this game, I dedicate this victory to the Saudi people. We are waiting for your support next match! 🇸🇦🦅💚#HervéRenard #SaudiArabia #WorldCup #Alhamdulilah pic.twitter.com/FOUts999gr
— Hervé Renard (@Herve_Renard_HR) November 22, 2022
Arabia Saudita, i Falchi volano in alto
Più che lo scarto di posizioni nella graduatoria Fifa, è ancor più impressionante il fatto che tutti e 26 i calciatori convocati dal ct Hervé Renard giochino in patria. Ma quella che per noi è periferia del calcio, in ottica asiatica è pieno centro: l’Al-Hilal di Riad, ovvero il club più titolato dell’Arabia Saudita, ha vinto due delle ultime tre edizioni dell’Asian Champions League. E chi è stato l’mvp dell’edizione 2021? Salem Al-Dawsari, autore del gol che ha deciso la sfida contro l’Argentina. Nel 2018 il centrocampista dell’Al-Hilal approdò in Europa, nell’ambito di un accordo stipulato tra General Sports Authority (il ministero dello Sport di Riad), la federazione calcistica saudita (SAFF) e la Liga, che prevedeva il prestito di nove giocatori sauditi, tutti della durata di sei mesi, in alcuni club spagnoli di Primera e Segunda División. Una sorta di Erasmus calcistico, che suscitò polemiche: se da una parte l’Arabia Saudita sperava così di far crescere i suoi talenti, dall’altro la Liga aveva aderito esclusivamente per far schizzare alle stelle la vendita dei diritti tv nel Paese arabo. Al-Dawsari, ingaggiato dal Villarreal, collezionò appena una presenza, in modo probabilmente non causale contro il Real Madrid, prima di far ritorno in patria. Più che da accordi come questo, la crescita del calcio saudita passa da sempre dalla guida di ct stranieri. Renard, unico allenatore ad aver vinto due Coppe d’Africa con due Nazionali diverse (Zambia e Costa d’Avorio), è francese. Ma sulla panchina dei “Falchi” si sono seduti nel corso dei decenni (alternandosi a ritmi forsennati) argentini, olandesi, spagnoli, tedeschi, portoghesi e tanti brasiliani: quando a predicare nel deserto sono allenatori stranieri, i risultati arrivano spesso.
Saudi Arabia fans;
“Where is messi?” 🤔🤣
Saudi Arabia 2
Argentina 1#QatarWorldCup2022 pic.twitter.com/dWubHGNbc5— Dean (@deanbutt1) November 24, 2022
L’Arabia Saudita figura infatti tra le nazionali storicamente più forti del continente: annovera nel suo palmares tre Coppe d’Asia (1984, 1988 e 1996) e detiene il record di finali disputate sei. Proprio come le partecipazioni al Mondiale: al debutto a Usa 94, i “Falchi” persero contro i Paesi Bassi, per poi imporsi contro il Marocco. Nell’ultimo e decisivo incontro della fase a gironi vinsero 1-0 contro il Belgio, ottenendo la qualificazione agli ottavi di finale grazie a un’eccezionale azione solitaria di Saeed Al-Owairan. La corsa dell’Arabia Saudita si fermò poi al cospetto dalla Svezia, che poi si piazzò terza.

Giappone, Samurai Blu e molto tedeschi
Se tutti i sauditi giocano in patria, solo sette giapponesi militano nel campionato nipponico. Tutti gli altri in Europa: ben cinque titolari dell’undici di partenza scelto dal ct Hajime Moriyasu giocano proprio in Germania (quattro in Bundesliga e uno in Zweite Liga), diventata il canale preferenziale per l’approdo dei calciatori giapponesi nel Vecchio Continente. Otto in tutto i “tedeschi” convocati per Qatar 2022: tra loro anche i marcatori Doan e Asano, subentrati nella ripresa. Può darsi che la Germania abbia sottovalutato il Giappone. Può darsi che si sia seduta dopo il vantaggio. Di certo il ct tedesco Hans-Dieter Flick ha sbagliato i cambi, mentre il collega Moriyasu li ha azzeccati tutti.

Moriyasu è il quarto tecnico a sedersi sulla panchina dei Samurai Blu dal 1992, anno spartiacque in cui in Giappone, con la nascita della J League, iniziò l’era del calcio professionistico. In precedenza un miraggio, la partecipazione al Mondiale arrivò già nel 1998 e da allora il Giappone non ha mai mancato l’appuntamento (nel 2002 fu Paese ospitante con la Corea del Sud). Merito, anche, dei vari tecnici stranieri che si sono avvicendati in panchina, da Philippe Troussier a Zico, fino al nostro Alberto Zaccheroni e Vahid Halilhodžić. Se nel corso dei decenni tanti grandi calciatori hanno deciso di svernare nel Paese del Sol Levante (l’ultimo Andres Iniesta), moltissimi talenti locali si sono cimentati in Europa. A questo aggiungiamo pure la proverbiale disciplina nipponica: con quattro Coppe d’Asia oggi il Giappone è senza dubbio tra le big del continente. Per quanto riguarda il Mondiale, i Samurai Blu hanno raggiunto tre volte gli ottavi di finale. In Qatar l’obiettivo dichiarato è centrare i quarti di finale. Rimanendo all’Estremo Oriente, il Giappone non avrà a differenza della Sud Corea un giocatore offensivo come Son Heung-min, né un muro difensivo come Kim Min-jae. Ma ha un grande collettivo e, adesso, tanto entusiasmo. Riuscirà a sfatare finalmente la maledizione degli ottavi? Intanto, come hanno fatto notare in tanti sui social, i calciatori giapponesi riusciti a replicare quanto fatto da Holly e Benji: battere la Germania.
Holly e Benji lo avevano già fatto.
🍐🍐#GermaniaGiappone pic.twitter.com/mWrTenegib— Giammarco Desideri (@Gigadesires) November 24, 2022
Marocco, il ruggito dei Leoni dell’Atlante
A differenza di Arabia Saudita e Giappone, il Marocco non è una superpotenza continentale. Appena una Coppa d’Africa in bacheca, vinta nell’ormai lontano 1976. E da allora non ha più giocato una finale. Quella dei “Leoni dell’Atlante” è stata però la prima nazionale africana e araba ad aver raggiunto gli ottavi di finale della Coppa del mondo, a Messico 1986. Con Qatar 2022 sono sei le partecipazioni alla fase finale del Mondiale. A livello di club dopo l’Egitto, che vanta 16 successi, il Marocco è il Paese più vincente della Champions League africana: sette trionfi distribuiti tra Raja Casablanca (3), FAR Rabat (1) e Wydad Casablanca, che si è aggiudicata l’ultima edizione. Il movimento è in forte crescita, in un Paese che ama profondamente questo sport e ha grande fame di calcio. Chi è stato a Marrakech avrà notato l’enorme quantità di ragazzi che passeggiano per l’immensa piazza Jamaa el Fna e le strette vie dei suq indossando le divise di Paris Saint-Germain, Real Madrid, Barcellona, Juventus e Bayern Monaco. Dopo i “no” ricevuti nel 1994, nel 1998, nel 2006 e nel 2010, il Marocco ha conteso fino all’ultimo l’assegnazione del prossimo Mondiale a Stati Uniti, Canada e Messico: ha vinto la candidatura congiunta americana, ma Rabat potrebbe riprovarci per il 2030, magari insieme ad Algeria e Tunisia.

Il Marocco guarda con passione all’Europa. E non potrebbe essere altrimenti. Per quanto africana, la rappresentativa marocchina è infatti molto europea: dei 26 convocati, 21 giocano appunto in Europa, continente dove buona parte dei Leoni dell’Atlante è nata e poi cresciuta calcisticamente, sparsa tra Francia, Paesi Bassi e Belgio. Ma anche Spagna, come nel caso della star Achraf Hakimi: l’ex interista, cresciuto nel Real Madrid e oggi al Paris Saint-Germain, è nato a Madrid da genitori marocchini e (una volta acquisita la cittadinanza) avrebbe potuto vestire la camiseta delle Furie Rosse. Ma a soli 17 anni (oggi ne ha 24) è stato “intercettato” dal Marocco, con cui sta disputando il suo secondo Mondiale. Ed è proprio questa la via da intraprendere per le federazioni calcistiche minori, se davvero vogliono gareggiare alla pari con le tradizionali big del calcio mondiale: reclutare all’estero i migliori talenti delle seconde generazioni, prima che sia troppo tardi.