Un derby vinto fuori casa. L’Arabia Saudita si è goduta l’avvio del Mondiale qatariota con la certezza di avere già stravinto alla prima mossa. E di aver creato le premesse per rubare l’opportunità storica ai cugini qatarioti, così ansiosi di fare del mondiale casalingo l’evento che certificasse la loro egemonia come attore strategico globale nell’area del Golfo e nell’arabo-sfera. E invece la partenza della competizione ha emesso un verdetto difficile da contestare. Quel verdetto dice che l’Arabia Saudita il suo Mondiale l’ha già vinto, sia sul campo sia fuori. Senza passare attraverso il rischio di esporsi ai pruriti investigativi della stampa internazionale o all’indignazione dell’opinione pubblica globale riguardo al mancato rispetto dei diritti della persona. Tutto guadagnato sfruttando gli sforzi e la casa altrui. Una perfetta Strategia del Cuculo. Ciò che ha portato a sbancare in trasferta la concorrenza di Doha, che dal canto suo dovrà ancora valutare se e quanto il Mondiale casalingo (dal quale la Nazionale è già stata eliminata) sarà stato un affare, ma intanto deve fare i conti con una gestione dell’evento che di giorno in giorno si fa più complessa.

Tutto il peso mediatico delle accuse e delle critiche sono sul Qatar
Una sequenza palindroma che certifica una data storica: 22-11-22. Il mercoledì da leoni che sconvolge i pronostici e segna la prima sorpresa del Mondiale qatariota. È il giorno in cui la nazionale dell’Arabia Saudita batte 2-1 in rimonta l’Argentina di Leo Messi, indicata come una delle favorite di Qatar 2022. Per la nazionale allenata dal francese Hervé Renard, sconfitta nel secondo match dalla Polonia, il Mondiale sarà comunque un trionfo, grazie all’inatteso effetto galvanizzante dal risultato maturato sul campo dello stadio Lusail di Doha. Un effetto moltiplicatore di un processo molto ben congegnato di conversione dell’evento qatariota da rischio a opportunità. Il rischio era che la Coppa del Mondo di calcio certificasse la definitiva egemonia, nelle aree del Golfo e dell’arabo-sfera, del piccolo emirato come principale attore economico e culturale; uno status che più di altri nuocerebbe proprio al regno saudita, che per dimensioni territoriali, peso storico-culturale e profilo economico dovrebbe vederselo conferire in via quasi naturale. Invece l’opportunità era quella di sfruttare l’immane fatica di uno Stato grande quanto una regione italiana di media taglia per ricavarne soltanto vantaggi. E in questo senso la monarchia saudita ha fatto all-in, applicando alla perfezione una curiosa Strategia del Cuculo. Cioè, sta portando a casa un risultato ottimo spendendo fatica zero, poiché questa grava tutta sulle spalle dei qatarioti. Che dal canto loro devono reggere pure il peso mediatico delle accuse e critiche sul basso standard in materia di diritti, sgravando anche di questo fardello i sauditi.

Passata in sordina la notizia dello scudo penale per il principe Bin Salman
Sicché, mentre i media di tutto il mondo si concentravano sulle carenti risposte della monarchia qatariota in materia di diritti e libertà civili, è passata abbastanza in sordina la notizia dello scudo penale di cui il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman potrà giovarsi nei confronti della giustizia Usa, che così non potrà perseguirlo nel caso del massacro di Jamal Khashoggi, giornalista del Washington Post. Una svolta giustificata da una motivazione tecnica anziché politica: la nomina del principe ereditario al ruolo di primo ministro del regno, per gentile e opportuna decisione dell’86enne genitore Salman Abdel Aziz Al Saud, sovrano che sente ormai di essere troppo acciaccato per caricarsi l’intero onere di governare la nazione. Una furbata nemmeno particolarmente raffinata, ma sufficiente a garantirgli l’immunità e proseguire indisturbato nell’edificazione di quel Rinascimento di cui si disse nell’intervista ricca di afflati e salive concessa a un ex premier italiano messo a libro paga. E se la si mette sul piano delle furbate, certamente meglio congegnata è quella che sta consentendo al principe ereditario di adottare la Strategia del Cuculo ai danni dei vicini qatarioti.

Un disegno opportunistico dietro la strategia dei sauditi nei confronti di Doha
Il piano si basa su un ragionamento pragmatico, basato su un’assunzione di realtà: in materia di uso politico dello sport globale i qatarioti sono avanti, hanno maturato un vantaggio competitivo che almeno nell’immediato non potrà essere loro insidiato. Meglio copiarli, rubare loro qualche segreto e provare a costruire qualcosa di alternativo. E intanto mostrarsi pubblicamente dalla parte dell’emirato, concentrato sullo sforzo di dare corpo alle ambizioni di egemonia pan-araba. Per questo, giusto in extremis, il giorno prima dell’inaugurazione del Mondiale il principe ereditario ha assicurato che dall’Arabia Saudita verrà ogni possibile supporto al Qatar per la riuscita della manifestazione. Gesto che sembra il frutto di un sincero slancio verso il vicino emirato. E che invece nasconde un disegno opportunistico.

Progetti in Premier League col Newcastle, ma anche golf e F1
La plastica rappresentazione di tutto ciò si è avuta domenica 20 novembre, durante la cerimonia inaugurale del Mondiale, Quella foto di gruppo con manichino che è andata in onda dopo l’ingresso in tribuna d’onore dell’emiro Al Thani, con al seguito lo scodinzolante presidente della Fifa, Gianni Infantino. L’emiro è andato a sedere accanto al padre, con Infantino alla sua sinistra in posa inespressiva. E accanto a Infantino c’era proprio bin Salman, in posizione di assoluto rilievo davanti alle telecamere della mondovisione. Il principe ereditario saudita stava lì a certificare tutto quanto fatto fin qui in termini di scalata silenziosa alle posizioni di potere nello sport globale, operata grazie a uno shopping costante. Il governo saudita ha messo piede nella Premier League inglese, praticamente la Nba del calcio, con l’acquisizione del Newcastle. Poi ha inventato la Superlega del golf, costituendo la Liv Cup e pompando in essa una quantità di denaro che ha attratto i migliori campioni al mondo e ammazzato la concorrenza. Dal 2021 l’Arabia Saudita è anche tappa del Mondiale di Formula 1 a Gedda, e addirittura accarezza l’idea di raddoppiare chiedendo di ospitare una seconda tappa annuale a Qiddiya, la città dell’entertainment globale in via di edificazione.
L’Opa lanciata pure sugli sport elettronici
Da queste parti vengono già disputate le finali delle Supercoppe calcistiche italiana e spagnola. E intanto la federcalcio nazionale tesse la rete diplomatica con le altre federazioni asiatiche, come viene testimoniato dal protocollo d’intesa firmato la scorsa settimana con la federazione di Singapore. E poi c’è l’Opa sugli sport elettronici. Nello scorso mese di ottobre la stampa internazionale ha diffuso la notizia di un investimento da 37 miliardi di dollari, voluto dal principe ereditario in persona, per fare dell’Arabia Saudita l’hub dell’e-gaming globale. Per raggiungere l’obiettivo l’Arabia Saudita non ha bisogno di andare allo scontro frontale col Qatar per strappargli l’egemonia. Le basta lavorare per prendersela, senza fretta. Tutto questo è ben noto a bin Salman, che infatti nella foto di gruppo con manichino se la rideva. E che dalla vittoria dei suoi contro l’Argentina, costruita con veri calciatori sauditi e non con una banda di naturalizzati come da ricetta adottata dai qatarioti, ha ricavato un effetto-hype per i suoi piani. Il tempo è tutto dalla sua parte e gli amici occidentali sono molti più di quanto si vorrebbe far credere.