In Cambogia è vietato criticare le mosse del governo. Lo sa ben Prum Chantha che, un anno dopo aver visto il marito finire in carcere con l’accusa di presunto tradimento e istigazione contro il partito al potere, ha assistito all’arresto del figlio 16enne, affetto da autismo, per aver difeso il padre in una chat su Telegram. Un trauma che, nel giro di una settimana, l’ha spinta a farsi forza e a ritornare tra le strade di Phnom Penh, mettendosi alla testa del collettivo delle ‘Mogli del Venerdì’.
Chi sono le ‘mogli del venerdì’ e perché protestano
Impegnate a protestare nelle piazze o in ordinati sit-in davanti ai tribunali e alle ambasciate internazionali, ‘le mogli del venerdì’ sono nate a giugno 2020 come un piccolo collettivo con un obiettivo chiaro: reclamare il rilascio di parenti finiti dietro le sbarre perché colpevoli di aver criticato il governo. Ogni venerdì (da qui il nome), una dozzina di madri, figlie, sorelle e mogli rischiano la vita per portare avanti la propria campagna e ritornare a riabbracciare i propri cari. Una dedizione che spesso le ha premiate: Chantha, ad esempio, è riuscita a ottenere il rilascio del figlio dopo cinque mesi di reclusione mentre il marito è ancora in attesa del processo che vede gli attivisti contro il primo ministro Hun Sen.

«Mettono a rischio le loro vite», ha spiegato al Guardian Theary Seng, avvocatessa e attivista di origini cambogiane da anni residente in America e impegnata in prima persona ad affrontare i procedimenti a suo carico come imputata, «sono poco più di una ventina, non hanno armi, combattono facendo con cartelli, tshirt con stampate le immagini dei loro cari e resistono alle aggressioni».
Come organizzano le contestazioni
Pur non contando su grandi numeri, sanno farsi sentire. Anche grazie all’organizzazione delle loro contestazioni che seguono una rigida tabella di marcia. Tutto inizia con un raduno di fronte al palazzo di giustizia o al palazzo reale. Un primo step seguito, successivamente, dalla consegna di una petizione a una delle tante ambasciate che hanno sede in città. Un metodo che, nel tempo, le ha trasformate in pioniere di una battaglia in nome della democrazia nazionale. «Siamo alla costante ricerca di Paesi e firmatari che accolgano e appoggino le nostre istanze», ha sottolineato Chantha, che ha già incontrato gli ambasciatori degli Stati Uniti, dell’Indonesia, del Regno Unito e dell’Unione Europea.
At 10:00 am on December 23, 2020, Ms. Prum Chantha(Friday Women of #Cambodia), wife of Mr. Kak Kamphear, who is incarcerated in Prey Sar, met at the invitation of the @USAmbCambodia, Mr. W Patrick Murphy, US Ambassador to Cambodia. pic.twitter.com/fmWPD8ni8l
— Seng Mengbunrong (@SengMengbunrong) December 23, 2020
Tra violenza e aggressioni della polizia
Una prospettiva che, quando tutto è iniziato, nessuna immaginava. «Eravamo davvero molto nervose», ha raccontato Ouk Chanthy, lavoratrice tessile con un marito in prigione e condannato a 44 mesi, «non avevo minimamente idea di come funzionasse tutto questo, di come ci si potesse spendere attivamente per una causa del genere», ha aggiunto, «poi ho deciso di unirmi al gruppo ma ero spaventata. Temevo che catturassero anche me». Davanti a proteste che non hanno mai superato il limite o provocato disordini, la polizia ha optato ugualmente per la violenza, prendendo le manifestanti a calci, minacciandole e allontanandole dalle aree di ritrovo.

Le mogli del veberdì però non si sono lasciate scoraggiare: si sono sostenute a vicenda e, grazie alla meditazione, hanno provato a sconfiggere la paura che le tormentava. «Quando mio marito è stato fermato, due guardie mi hanno accerchiato, fino a farmi cadere e a trascinarmi sull’asfalto coi palmi delle mani sanguinanti», ha ricordato Chanty, «ero terrorizzata, ci trattavano malissimo. Poi, mi sono fatta forza, non potevo mollare. È assurdo che ci sparino, ci malmenino, minaccino le nostre famiglie per il solo fatto di non essere capaci di accogliere delle semplici critiche».
Da collettivo di protesta a network che si batte per la democrazia nazionale
La conversione di un’iniziativa personale in un vero e proprio network non è passata inosservata. Almeno agli occhi di Mu Sochua, leader dell’opposizione, che ha osservato da lontano un gruppo di estranee fare fronte unito fino a spendersi per temi come la libertà di espressione. «È chiaro che, a oggi, non si battono più soltanto per loro stesse e per i loro mariti», ha precisato. «Ascoltando le loro interviste, non si vittimizzano né si piangono addosso. Si fanno vedere forti, determinate a diventare portatrici di un cambiamento tutt’altro che passeggero».

Ovviamente, non tutti sono riusciti a comprendere e ad accettare rischi simili. Chantha e molte altre compagne, ad esempio, sono state bloccate da diversi familiari sui social e il loro numero è sparito dalle rubriche di tanti conoscenti che, per paura di finire nel radar delle autorità, hanno preferito allontanarle. Anche in ambito lavorativo, le cose non sono poi così semplici e trovare qualcuno disponibile ad assumerle è sempre più raro. Tutto pare remare contro di loro ma, a oggi, nessuna ha intenzione di fermarsi: la libertà delle persone che amano vale decisamente di più.