Perché merito e perfezione sono falsi miti

Guido Mariani
13/11/2022

Tra ministero del Merito e studentesse-influencer prodigio l'Italia si riscopre innamorata del mito del primo della classe. Eppure la perfezione non solo è noiosa ma pure infida. La storia, la letteratura e la mitologia sono costellate di fallimenti. Dai Buddenbroock all'Elogio di Franti di Eco, perché l'errore e la sconfitta devono essere rivalutati.

Perché merito e perfezione sono falsi miti

Tra la nascita del ministero del Merito e il caso della studentessa dei record che si è laureata in medicina con il massimo dei voti a 23 anni, facendo contemporaneamente la modella, la conduttrice Tv e l’influencer e, necessariamente, sacrificando ore di sonno, l’Italia sembra tornata a innamorarsi del mito del primo della classe. Sia ben chiaro, nessuno vuole essere operato da un chirurgo che si è laureato 10 anni fuoricorso con il minimo dei voti e nessuno vorrebbe che il suo aereo di linea fosse pilotato da un comandate che ha ricevuto il brevetto di volo per corrispondenza. Tuttavia, l’esaltazione dei migliori appare un po’ stucchevole, soprattutto se è l’incipit di una nuova fase politica in cui il Paese ha sostituito un primo ministro Ph.D. in Scienze economiche presso il Massachusetts Institute of Technology con una premier diplomata al liceo linguistico.

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Carlotta Rossignoli il giorno della laurea (Facebook)

Come dice il samurai “non si può dare fiducia a chi non ha mai commesso un errore”

I voti alti e i diplomi ottenuti con anni di anticipo, si sa, non sono il passaporto verso il successo. Viene in mente una vecchia barzelletta della tradizione ebraica: un povero ebreo chiede di essere assunto in una sinagoga come addetto alle pulizie e viene allontanato perché analfabeta. Decide quindi di darsi al commercio e diventa molto ricco. Un giorno viene chiamato in banca per firmare un documento. Allo sportello confessa con imbarazzo di essere analfabeta. Il bancario sospira: «Mi chiedo dove avrebbe potuto arrivare se fosse anche stato in grado di leggere e di scrivere». L’ebreo risponde: «Avrei fatto le pulizie». Possiamo attualizzare la storiella con tre nomi Steve Jobs, Bill Gates e Mark Zuckerberg, innovatori e miliardari senza laurea che se avessero finito gli studi probabilmente avrebbero fatto i programmatori o i tecnici del computer. Ma tra i miliardari che non hanno finito gli studi si possono contare anche Larry Ellison, fondatore di Oracle, o il re del lusso francese François Pinault. Il merito è commendevole, ma la perfezione è infida perché, come recita l’antica saggezza dei samurai raccolta nell’Hagakure: “Non si può dare fiducia a chi non ha mai commesso un errore”.

Perché merito e perfezione sono falsi miti
Albert Einstein (Getty Images).

Il successo non nasce quasi mai dalla perfezione

Il successo, qualsiasi sia la sua definizione, non nasce quasi mai dalla perfezione. Ce lo insegna la Bibbia sin dal libro dell’Esodo, quando Mosè chiede a Dio perché ha scelto proprio lui, uno «lento di parola e di lingua». La religione Hindu si fonda sul poema del Mahābhārata che narra l’epica battaglia tra famiglie rivali, vinta dai virtuosi Pandava la cui saga inizia con una disastrosa sconfitta al gioco. Roma fu fondata, secondo la tradizione, dallo sconfitto Enea, fuggiasco dalle rovine della sopraffatta Troia. Ma senza scomodare i testi sacri e la mitologia vale la pena ricordare come Albert Einstein fu un bambino con problemi di apprendimento che spinsero i genitori a consultare un dottore; che le prime due compagnie automobilistiche di Henry Ford fecero bancarotta; che Walt Disney venne licenziato nel 1919 dal giornale Kansas City Star perché era a corto di immaginazione e di buone idee; che Elvis Presley si sentì dire dopo un’audizione che doveva tornare a fare il camionista invece di cantare; che i Beatles nel 1962 vennero ignorati dall’etichetta discografica Decca che preferì a loro una band chiamata the Tremeloes; che Steven Spielberg venne respinto per tre volte dalla scuola di cinema della University of Southern California. L’elenco potrebbe continuare.

Dall’Elogio a Franti di Eco ai Miserables di Hugo: la perfezione è noiosa

La perfezione, soprattutto se conformista e ostentata, è inoltre un po’ ridicola e noiosa. Lo sosteneva sottotraccia Umberto Eco nel suo storico saggio Elogio a Franti in cui rivalutava il ragazzino cattivo del libro Cuore di Edmondo De Amicis, l’unico, a suo dire, che nella sua “perfidia” aveva capito l’essenza ridicola dell’ordine costituito. In letteratura ci appassioniamo ai perdenti: dai “vinti” di Giovanni Verga ai “miserabili” di Victor Hugo, dai decadenti Buddenbroock di Thomas Mann alla “povera gente” di Fëdor Dostoevskij. Anche i Promessi Sposi non sono la pietra angolare della nostra cultura nazionale per aver narrato della virtù inscalfibile di Lucia, ma per averci presentato la malvagità di don Rodrigo, le trasgressioni della Monaca di Monza, i tormenti dell’Innominato, i trascorsi di Fra Cristoforo e l’ignavia di Don Abbondio. Il sequel di Pinocchio, bambino in carne e ossa e diligente alunno dai voti alti, non è mai stato scritto perché avremmo rimpianto il burattino irrequieto che inseguiva le seduzioni di Lucignolo e del Gatto e la Volpe.

Perché merito e perfezione sono falsi miti
I Buddenbrook di Thomas Mann.

L’era della Mediocrazia

Solo un mediocre è sempre al suo meglio, disse Somerset Maugham riferendosi ai suoi colleghi scrittori. Il  filosofo canadese Alain Deneault ha scritto un saggio, Mediocrazia, in cui sostiene come la società odierna sia ormai dominata da una mediocrità che non è ignoranza, ma, al contrario, una competenza tanto diligente quanto conformista e, di fatto, anestetizzante. Anche perché, come sosteneva Sherlock Holmes, la mediocrità non riconosce nulla che le sia superiore. Una ricerca pluriennale della New York University che ha preso in considerazione quasi 10 mila studenti di quattro Paesi (Stati Uniti, Canada, Germania e Qatar) ha rilevato come chi ottiene i voti più alti non rientra tra coloro predisposti alla creatività, al rischio e all’innovazione. Come per il chirurgo che ci deve operare, se la nostra vita dipendesse da un calcio di rigore ovviamente sceglieremmo Cristiano Ronaldo per tirarlo e non Martin Palermo, il giocatore argentino che nel 1999 riuscì a sbagliare ben tre tiri dal dischetto in una partita della sua nazionale contro la Colombia, finendo nella leggenda e nel Guinness dei Primati. Ma eccellenza e merito hanno tante sfumature e il talento non nasce solo dalle ore di sonno sacrificate allo studio e alla carriera, ma anche dagli errori e dalle sconfitte.