La festa è in un palazzo massonico in via Borgonuovo, una delle strade più antiche e aristocratiche di Milano, esattamente di fianco all’headquarter di Giorgio Armani dove mio fratello ha lavorato per quasi 30 anni e dove eravamo soliti ritrovarci per i nostri pranzi, circa una volta al mese, prima di quella notte del febbraio del 2020 in cui gli si è piegato il cervello. Ho sempre amato questa piccola via che collega Montenapoleone a Brera nella quale, fra le case illustri, celati allo sguardo da scenografici androni e sontuosi portali, si nascondono angoli segreti di verde in cui il caos della città sembra un ricordo lontano. La cabina del deejay è posizionata di fianco a una grossa portafinestra che si affaccia sulla strada e mi guardo intorno mentre sorseggio un gin tonic in compagnia di Zeno fumando una canna rollata troppo stretta vicino a un lungo tavolo da buffet coperto di sushi veramente trendy e zeppo di secchielli del ghiaccio con sopra la scritta Kettmeier. Di fianco a noi un gruppo di ragazzi giovani, che avranno più o meno l’età di Zeno, parlano fitti e sembrano realmente preoccupati riguardo al problema ecologico del Pianeta. Smetto di ascoltarli e torno verso la mia postazione. Apro il fly-case che contiene i vinili che mi sono portato dietro e inizio a scegliere i primi che ho deciso di passare e continuo a guardarmi intorno fingendo tranquillità anche se non sono tranquillo manco per il cazzo perché non metto i dischi a una festa davvero da un sacco di tempo, almeno da luglio al compleanno di Ginevra mi pare. Ma in fondo sono cose che non si dimenticano, un po’ come andare in bicicletta, dicono.
A me basta dire che mio nonno, l’ingegner Gerolamo Gianni, che tutti in famiglia chiamavano Giommi, è morto di crepacuore nel 1977 nella sua villa ai Piani d’Ivrea dopo aver perso l’azienda. E questa è solo una parte della storia che potrebbe dare una risposta alla domanda che mi ha fatto Sofia sotto il palazzo in piazza Vetra
Quando da sbarbo ho iniziato a frequentare le prime discoteche, il Madame Claude, lo Stage, La Gare e compagnia bella, si suonava solo con i vinili; poi sono arrivati i CDJ100 della Pioneer e lentamente è cambiato tutto: file digitali, mp3, chiavette e addirittura programmi da deejay che riproducono fedelmente i mixer delle consolle fruibili direttamente addirittura dall’iPhone. Io però mi sono portato dietro i dischi e l’idea mi è venuta l’altra sera quando, curiosando in un vecchio hard-disk, ho ritrovato delle vecchie registrazioni delle trasmissioni radio che facevamo con Alb ai tempi dell’università e così, per curiosità, mi sono rimesso ad ascoltarne una, realizzata in coppia con il mio vecchio amico, Mistico, che avevamo dedicato al rap italiano. Così ho pensato di portarmi dietro un po’ di chicche dell’epoca che avevo passato in quella puntata radio che comprendono SXM dei Sanguemisto, Così com’è degli Articolo 31, Mi Fist dei Club Dogo, Mr Simpatia di Fabri Fibra, oltre a dei pezzi degli ultimi album di Guè e Marra, che utilizzerò da ponte prima di svoltare su roba notevolissima presa da Screamadelica dei Primal Scream, da Nevermind Nirvana, da London Calling dei Clash, da Nevermind the bollocks dei Sex Pistols, da Homework dei Daft Punk, da Violator dei Depeche Mode e cedere lo spazio, dopo aver chiuso il set con Personal Jesus, a Bob Sinclair, la star della serata, chiamato ad allietare la festa fino a mattina. Quando me ne vado, intorno all’una, slego la bici da un palo di fronte al vecchio ufficio di mio fratello e prima di montare in sella, quando guardo in alto, noto che sul davanzale di una delle finestre del palazzo dove si sta tenendo la festa, mentre la musica esce assordante inondando tutta la via, c’è, solitaria, una bottiglia vuota di champagne abbandonata lì da chissà chi.

«Vieni a mettere la musica alla mia festa di compleanno?», mi ha chiesto Sofia l’altro giorno, mentre in un locale dietro le Colonne di cui non ricordo il nome, uno di fronte all’altra, ci dividevamo una birra in bottiglia e in città era appena arrivata la primavera. «Io, ehm, non saprei…». «Non essere scioccato. Non ho detto scopiamo. Ho soltanto detto: vieni a mettere la musica alla mia festa di compleanno?». «Ehi, niente potrebbe scioccarmi di più di uscire di casa e passare la serata con un gruppo di ventenni, bella».
Poi sto al gioco, decido di accettare, piego la testa con aria confusa, sorrido scioccamente e giocherellando con la sigaretta che tengo tra le mani già da cinque minuti, scrollando le spalle, le rispondo: «Sì, perché no, si può fare, solo che devono esserci due piatti Technics 1200 perché io suono solo in vinile». Poi l’incontro prosegue discorrendo del più e del meno. Io le parlo dei miei progetti futuri, dell’idea del podcast, della trasmissione in programma ad Aprile con Alb, e lei ribatte, raccontandomi del suo nuovo fidanzato, «mi ha veramente fottuto il cervello anche se è un tipo tutto precisino in camicia e golfino e io dopo un po’ voglio le felpe e i pantaloni larghi», degli esami all’università, del viaggio in Israele, «fantastico», da sua sorella Clarissa e del concerto di Travis Scott, di cui qualcuno le ha regalato i biglietti. Poi siamo sotto casa dei miei zii in Piazza Vetra le dico: «Sai che questo palazzo lo ha costruito l’impresa di mio nonno?». «E non potevano lasciartelo?», chiede lei, ironica, prima di salutarci con dei castissimi baci sulle guance e darci appuntamento direttamente alla sua festa di compleanno venerdì sera.
Per rispondere alla domanda di Sofia bisognerebbe tornare indietro nel tempo, alla Milano degli Anni 70, alle Br, alla P2 e alla mafia che metteva radici a Milano. A me basta dire che mio nonno, l’ingegner Gerolamo Gianni, che tutti in famiglia chiamavano Giommi, è morto di crepacuore nel 1977 nella sua villa ai Piani d’Ivrea dopo aver perso l’azienda. E questa è solo una parte della storia che potrebbe dare una risposta alla domanda che mi ha fatto Sofia sotto il palazzo in piazza Vetra costruito da mio nonno dove una volta c’era la casa dei miei zii.