È il 20 settembre e io sono ancora al mare, steso a prendere il sole, in compagnia di Ofelia, su una spiaggia della Sardegna. C’è un po’ di Maestrale così Ofelia indossa una t-shirt del Jova Beach Party che abbiamo comprato a Viareggio più un paio di short e i soliti giganteschi occhiali da sole grossi come due teleschermi. Mi guarda poi distoglie gli occhi poi torna a guardarmi. Io mi giro di colpo, ancora in costume da bagno, perché non voglio rassegnarmi all’idea che l’estate sia finita e che domani devo tornare definitivamente a Milano, e osservo le sue gambe, stese sul lettino, nere come forse non le ho mai viste prima. A un certo punto l’Apple Watch mi vibra al polso e mi scapicollo a cercare l’iPhone nella borsa di tela blu elettrico, ormai scolorita dal sole, con sopra scritto “anche quest’anno siamo stati al Palinuro Bar” che mi ha accompagnato in giro per le spiagge tutta l’estate. Rispondo. È mia cugina Laura da Roma. «Andrea». Respira a fatica, ha la voce tesa. «Ciao Laura, come stai?», rispondo. «Insomma», ansima, «ho appena ricevuto una telefonata dal Cimitero Monumentale di Milano che mi ha appena comunicato che è scaduta la concessione della tomba di famiglia». Non dico niente, mi limito ad ascoltare con attenzione. «Per rinnovarla si parte da una base d’asta di 280 mila euro», dice. Silenzio. «Altrimenti le salme verranno smaltite in un ossario comune», aggiunge. Silenzio. «Pronto?», chiede mia cugina. «Mi senti?». Un clic. La comunicazione è stata chiusa.
Tutte le volte che ci andavo pensavo che in fondo, anche se abbiamo perso tutto, la memoria nessuno mai potrà portarcela via. Anche se un domani esproprieranno la tomba e la metteranno all’asta, partendo da una cifra folle di 280 mila euro
Quando il 30 novembre del 1980 mia madre Renata morì sfracellata in un incidente stradale sulle Alpi svizzere mio padre volle omaggiarla con un monumento funerario degno dei reali d’Inghilterra. Decise così di coinvolgere nell’operazione un celebre scultore e gli commissionò la realizzazione di una statua in bronzo, raffigurante una donna con in braccio un neonato, a sua volta sorretta dolcemente da un angelo dalle sembianze femminili, che nella sua testa doveva raffigurare il momento esatto dell’incidente in cui mia madre piegò il collo per proteggermi prima dello schianto. Da quando sono nato per me mia madre è quella statua, di fianco alla lapide con sopra scritto il suo nome, in quel luogo, accanto al Famedio del Cimitero Monumentale di Milano. Da qui si spiega la mia passione per quel luogo, che non ho mai trovato triste e con il quale ho consuetudine fin da moccioso, dai tempi in cui mia zia Pia mi portava a visitare la tomba di famiglia e a cambiare i fiori a mia madre. In quella tomba successivamente ci è finita anche lei, insieme alle sue sorelle e a mia nonna Maria. Così ci vado ancora al Monumentale, perché è un luogo al quale in fondo sono affezionato e a volte mentre passeggio per i suoi viali alberati mi sembra sia l’unico posto in città in cui si sente il rumore vero di Milano. Un rombo sordo, indistinguibile e sempre sullo fondo. Lo chiamano “museo a cielo aperto”, perché passeggiando in silenzio puoi incappare in un mazzo di fiori pazzesco, in un capolavoro di Wildt o di Lucio Fontana, nella tradizione della scultura italiana, in quella dell’architettura razionalista o in quella più estrosa, fra Piero Portaluppi, Giò Ponti, Castiglioni. O ancora in edicole adornate da monumenti maestosi come per esempio sono quelle della famiglia Rizzoli, dei Falck o dei Campari. Tutte le volte che ci andavo pensavo che in fondo, anche se abbiamo perso tutto, la memoria nessuno mai potrà portarcela via. Anche se un domani esproprieranno la tomba e la metteranno all’asta, partendo da una cifra folle di 280 mila euro.

A Milano questa settimana c’è la fashion week, non si parla d’altro, i prezzi degli alberghi sono schizzati alle stelle e la città, come ho letto da qualche parte sui social, è «invasa da orde di Zoolander» in ogni dove. Le cose più interessanti sono state senza alcun dubbio “Extraordinary Forever”, la festa globale per i 70 anni di Moncler e la sfilata di Margiela all’auditorium in largo Mahler, con tanto di orchestra di musica classica e gli spettatori protagonisti dell’happening sul palco, insieme ai modelli, che indossano le creazioni della maison. Margiela resta inarrivabile in quanto a stile e provocazione, confermando anche quest’anno la sua peculiarità di scegliere per le proprie sfilate location inconsuete come fermate della metropolitana, cortili di scuola, magazzini in disuso o bar del centro città; come per esempio accadde l’anno scorso con La Belle Aurore. Ancora si parla nel mondo della moda di una sua sfilata in un’area giochi fatiscente nei sobborghi di Parigi di parecchi anni fa, all’interno della quale, sovvertendo ogni regola, chiese chiaramente alla proprie modelle di non imitare più la classica catwalk ma di orientarsi verso uno stile più autentico e realistico che potesse risultare più credibile. I grandi profili del mondo della moda, come i fashion editor o i grandi direttori creativi, arrivarono dal centro fino alla periferia per assistere allo show. Alla sfilata si presentarono i giornalisti del New York Times, di Vogue, di Elle e si trovarono davanti una situazione completamente diversa da quella che si aspettavano. Le classiche sedute della famosa front row si erano spostate in questo luogo underground dove vigeva la regola del “chi prima arriva meglio alloggia”. Non trovarono nessun posto riservato, né alcun bodyguard a fare la door selection. La prima fila fu invece occupata dai bambini della zona che per la prima volta in assoluto, a un certo punto, si alzarono e iniziarono a sfilare assieme alle modelle in passerella.

Venerdì, la giornata. Esco dagli uffici del Monumentale che sono quasi le 11 del mattino. Faccio un bel respiro, slego la bici dal cancello del cimitero, inforco gli occhiali da sole e mi dirigo verso Serendeepity, cercando di pensare esclusivamente ai vinili che voglio comprare. La lista è lunga: il nuovo dei Comet is Coming, il nuovo di Makaya McCraven, il nuovo dei Sault, il nuovo di Kendrick Lamar, una ristampa di un vecchio album di Wayne Shorter, gli ultimi due di Marra e due vecchi dischi Anni 80 con cui voglio iniziare il set di stasera: Rio dei Duran Duran e Sparkle in the Rain dei Simple Minds, album clamoroso, che tra l’altro si apre con Up on the Catwalk, dedicato proprio al mondo delle passerelle. Ho la barba di una settimana, sono abbronzatissimo e indosso un paio di chinos blu, delle Nike in flyknit ultracolorate, una t-shirt di Paul Smith con sopra disegnato un teschio fucsia e una felpa grigia della Carhartt con il cappuccio. Sulla strada mi specchio ossessivamente ovunque pensando fra me e me, «sei troppo figo, ma non ti illudere, tanto non dura» e una volta entrato in negozio a un certo punto mi prende quasi un colpo quando mi rendo conto che dentro c’è David Dewaele, stilosissimo, alla cassa, con una montagna di vinili in mano. Mr. Dewaele aka Soulwax aka Deewee è una sorta di leggenda vivente per chiunque mette i dischi, e non c’è festa alla quale lui e suo fratello Stephen abbiano partecipato che non sia entrata nel mito. Ai party in cui vengono chiamati a suonare (si fanno anche chiamare 2manydj’s) in console passano di tutto: dall’elettronica al rock, dal funk alla disco, dall’indie all’hip hop, dalla musica classica al metal. Sono diventati famosi per la loro abilità nel far convivere sullo stesso beat due brani che nulla hanno a che fare tra loro. Ad esempio il loro mash up di Smells Like Teen Spirit dei Nirvana con sopra Bootylicious delle Destiny’s Child ha fatto epoca. Questa è Milano durante la settimana della moda, un circo continuo, dove negli angoli delle strade, nelle boutique, nei ristoranti, come nei negozi di dischi puoi incontrare chiunque. Adesso per esempio sto mangiando un boccone con Sofia, che non vedo da metà luglio, e ai tavolini di fianco al nostro, nel giardino di un’enoteca di vini naturali in Piazza Sant’Eustorgio, per esempio, seduti ci sono Carla Bruni con sua sorella Valeria e monsieur le Président Sarkozy. Sofia è abbronzatissima. «Bimba, come stai?», chiedo. «Bene e tu? Come mai questa barba?», dice lei. «Ho optato per un look più selvaggio in questo periodo, mi dona no?». «Sì, direi che non è male», dice. «Eh, cerco di sfruttare al massimo il mio aspetto fisico», sospiro. «In realtà mi è venuta una febbre al labbro per il troppo sole e non posso tagliarmela», ridacchio. «Cosa mi racconti?». «Sono in paranoia per gli esami all’università», dice lei. «Però sono gasata perché negli ultimi giorni sono andata a vedere Marracash due volte al Forum e stasera vado da Franco 126. Niente di paragonabile ovviamente, Marra mi ha mandata fuori di testa». «Ho sentito in radio che l’altra sera è stato epico», le dico. «Sì, epico è la parola giusta. Poi un sacco di ospiti. Bellissimo», dice lei dolcemente. «Seguo Marra fin dai tempi di Badabum Cha Cha, è un grande, e come puoi notare dalla mia borsa di dischi, dentro ci sono anche gli ultimi suoi due album. Mi spiace non essere riuscito a vederlo dal vivo ma ahimè lavoravo», frigno. «Non potevi prenderti il giorno al bar?», ribatte lei. «Ero appena tornato dalla Sardegna, sarebbe stato difficile», dico. Mi sorride poi dice: «Hai preferito farti le vacanze». «Stasera in ogni caso suono in un locale di amici per la fashion week, passerò anche un paio di suoi pezzi sicuro», mormoro. «Un duro lavoro», dice lei. «Non è facile come sembra». Pausa. Sofia si accende una sigaretta, ne accendo una anch’io. Poi distolgo lo sguardo e le chiedo, tirando una boccata dalla sigaretta, «Ti sei comprata un paio di Vans nuove?».
Una volta entrato in negozio a un certo punto mi prende quasi un colpo quando mi rendo conto che dentro c’è David Dewaele con una montagna di vinili in mano. Mr. Dewaele è una sorta di leggenda vivente per chiunque mette i dischi, e non c’è festa alla quale lui e suo fratello Stephen abbiano partecipato che non sia entrata nel mito
Il party di Sunnei in una chiesa sconsacrata è la serata più à la page di questo venerdì sera, tra grandi schermi luminosi ed enormi palloni gonfiabili i dischi risuonano a un volume di decibel assurdo. Centinaia di persone le une sulle altre interagiscono con la musica e si illuminano nel buio più assoluto. Io sono quasi pronto per iniziare a suonare e al banco del bar mi divido un gin tonic con Ale Cash, che non vedevo da fine luglio e nel frattempo incontro il mondo: vecchi amici del liceo, gente del giro delle discoteche, pierre di vari locali, gente a cui devo dei soldi per vecchie storie di droga… c’è anche Dumbo. «Andrea, come stai vecchio mio?», mi chiede. «Un po’ di cazzi, come al solito, ma tutto sommato me la cavo. Tu? Che mi dici di questa fashion week? Non sapevo fossi a Milano», dico. «Anche se in realtà avevo visto in giro la scritta DUMBO 2022», aggiungo. «Siamo qui per Pretziada, ma queste cose mi annoiano tremendamente. Entrando qui pensavo a quanto fosse stata giusta Miuccia, all’epoca, a portare Barry Mc Gee a Milano e a quanta bella gente ci fosse quella sera all’inaugurazione della Fondazione. Una vera festa. Milano in quell’occasione era zozza fuori e zozza dentro. Punks, Rude Boys, Skaters e Vandali. Sicuramente il pubblico più bello che Fondazione Prada abbia mai avuto. Ricordo che furono anche messe a disposizione tre biciclette brandizzate. Una per Josh, una per Grey e una per me. I ragazzi mi avevano chiesto di mostrargli la mia città notturna, così partivamo dal King Kong e andavamo in giro per itinerari sempre diversi. Si parlava e si scriveva. Ricordo di avergli mostrato tutta la città senza mai fare il nome di un architetto. Barry sfasciava i muri in Fondazione, noi fuori la Fondazione. Era tipo il 2001». «Eravamo giovani, amico mio», rispondo, prima di aggiungere che devo andare. Poi salgo in console e metto una serie di pezzi pazzeschi: da Kylie Minogue ai Justice, da LCD Soundsystem ai The Gossip passando per Muse e Gorillaz fino agli Eisturzende Neubauten, Robbie Williams, Klaxons e Ladytron, i Duran Duran, Marracash e i Comet is Coming. Poi chiudo con Up on the Catwalk dei Simple Minds. Un vero delirio.
Alle quattro sono a casa, Ofelia fuma una sigaretta nuda stesa sul letto, la camera sembra esplosa, c’è roba dappertutto. «Com’è andata la serata?», chiede. «Un’autentica bomba tesoro», rispondo. «Mi sono parecchio divertito, poi c’era un sacco di gente che conoscevo», aggiungo. «Bene», dice lei, e poi chiede: «Al cimitero invece cosa ti hanno detto?». «Niente di che, forse non devo spendere 280 k ma solo 70 per rinnovare la concessione per altri 90 anni», dico, in preda all’ansia. Poi fumiamo tutti e due, mi tolgo la t-shirt di Paul Smith, i chinos blu e mentre mi infilo il pigiama ho un attacco d’ansia. «Sarebbe più facile cercare un’overdose», le sussurro all’orecchio. «Fumando del crack, forse». Le do un bacio leggero sul collo. «Cosa intendi fare?», domanda. «Mah, domani vado a giocare al lotto e compro un gratta e vinci. Poi si vedrà», dico. La guardo. «Hai un’aria vagamente preoccupata, amore.
Non so se sia proprio una buona idea», dice lei con voce soffocata. «Ah, poi dimenticavo, oggi mi ha anche scritto l’Arnaldo. Pare che abbiano ritrovato DFA».