Il racconto della settimana di Tag43 è dedicato alla Milano Fashion Week.
Arrivo davanti all’Old Fashion con un passo lento e strascicante, è settembre ma si gela, davanti al locale c’è ancora la fila per entrare nonostante la mezzanotte sia già passata da un pezzo. Spengo l’iPhone e mi dirigo verso il cordone facendomi largo tra la folla con ancora indosso il cappuccio della felpa Carhartt. Oltrepasso le transenne con qualche stretta di mano, sento qualcuno gridare il mio nome, non mi giro nemmeno e seguo diligentemente una ragazza in miniabito con le frange Alexander Mc Queen, decisamente figa, che mi accompagna fino alla cabina del deejay mentre le luci stroboscopiche fotografano le facce sconvolte al centro della pista.
Come raggiungo la consolle qualcuno immediatamente mi porge il microfono, io chiedo un cuba e domando alla sicurezza di allontanare un po’ di gente. Poi mi accendo una Philip Morris gialla anche se nel locale è vietato fumare.
Parto con un: «Mi fate tutti schifo», poi la musica cambia e inizia lo show
C’è un casino boia e portano tutti la camicia a parte me, che indosso una t-shirt bianca con sopra il teschio dei pirati, e le ragazze sono tutte in miniabito con le frange Alexander McQueen mentre risuonano le note di un vecchio pezzo di Anderson Paak che passavo nel mio programma radio almeno cinque anni fa. Si sente terribilmente odore di popper. Dalla consolle il mio sguardo di disgusto. Parto con un: «Mi fate tutti schifo», poi la musica cambia e inizia lo show. Alle tre sono quasi completamente ubriaco e sbiascico al microfono frasi senza senso fino a quando non mi dicono che devo presentare l’ultimo deejay della serata, un ragazzo di colore del quale non ricordo il nome ma sono sicuro faccia parte del giro della moda. Vedo spuntare in mezzo alla sala da ballo tra i figli dei massoni qualche felpa con il cappuccio e qualche occhiale da sole.
I teppisti con il cappuccio e gli occhiali da sole si fanno largo tra i pettinati in Ralph Lauren e tra le smorfie in miniabito con le frange Alexander McQueen
Il ragazzo di colore del quale non ricordo il nome spegne la musica e senza neanche mettersi le cuffie inizia a giocare con il mixer tra il delirio generale, mentre io, profondamente sorpreso, mi domando come sia possibile nel 2021 farsi ancora di popper. Il ragazzo di colore del quale non ricordo il nome decisamente non è male. Lo capisci da come si muove sui piatti e lo percepisci dalle occhiate adoranti che gli lanciano le ragazzine ammassate sotto la consolle. Io ormai sono troppo vecchio per queste cose. I teppisti con il cappuccio e gli occhiali da sole si fanno largo tra i pettinati in Ralph Lauren e tra le smorfie in miniabito con le frange Alexander Mc Queen mentre un disco electro-punk fa tremare il soffitto dell’Old Fashion e sono le quattro passate e io ho perso il conto dei cuba e mi ritrovo a limonare in consolle con una ragazzina che giura di conoscermi ma che io francamente non credo di avere mai visto.
Dalla finestra entra una luce pallida e indefinita, il silenzio di una via Mozart deserta rimbomba per le stanze dell’appartamento
Adesso sono quasi le sette del mattino e non ho la minima idea di come ho fatto ad arrivare a casa ma devo essermi sicuramente fermato da qualche troia sulla strada del ritorno, perché ho i jeans sporchi di sperma. Prima di svenire, vestito e con tanto di Nike, sul divano molto stile Savoia del mio salotto, o Serbelloni se preferite, penso al pranzo di domani al lago con il parentado ed un brivido mi percorre la schiena. Quando il citofono mi riporta alla consapevolezza sono immerso in una melma umida e maleodorante e ho delle macchie spaventose sulla t-shirt bianca con sopra il teschio dei pirati parecchio simili a quelle che vedo sul divano molto stile Savoia, o Serbelloni se preferite, del mio salotto. Devo aver vomitato nel sonno. Per darmi un contegno mi tolgo la t-shirt con sopra il teschio dei pirati e la infilo a rovescio, poi mi trascino a rispondere. «Sì?», chiedo con una voce che sembra provenire dall’oltretomba, «Chi è?». «Ciao brother, sono le undici, sei pronto?», sento rispondere dall’altra parte della cornetta, ho un accenno di nausea prima di rispondere: «Quasi, sali un attimo, ti lascio la porta aperta». L’immagine riflessa dallo specchio del bagno non è delle più confortanti, ma dopo una doccia le cose sembrano andare un poco meglio. Dalla finestra entra una luce pallida e indefinita, il silenzio di una via Mozart deserta rimbomba per le stanze dell’appartamento mentre dico spuntando fuori dal bagno con un asciugamano avvolto alla vita che continua a cadermi, «Spero tu non sia venuto in moto brother». Non finisco neanche di dire la frase che mi affaccio in salotto alle prese con l’asciugamano e vedo lo sguardo allibito di Lucilla, la ragazza di mio fratello, provocato forse dalle condizioni nelle quali riversa il mio piccolo ma delizioso appartamento. «Cia-ao…», riesco a balbettare in qualche modo. «Speravo francamente che tu non fossi in moto, come va?», ripeto con poca convinzione. Il brother targato Armani con un sorriso benevolo rompe il ghiaccio, poi sono abbracci e baci sulle guance ispide di barba giovane prima di salutare una rigidissima Lucilla trincerata dietro un enorme paio di occhiali da sole da diva del cinema.
Il ragazzo di colore con cui ho suonato ieri sera si chiama VirgiL ABLoH ed è un designer che il New York Times quest’anno ha nominato tra le venti persone più influenti del mondo
«Nottataccia?», chiede mio fratello, indicando con lo sguardo il divano molto stile Savoia del mio salotto. O Serbelloni se preferite.
«Sì, sai, ho lavorato in discoteca sia ieri che venerdì e sono state un paio di serate, come dire, un po’ disordinate e stanotte ho avuto un piccolo incidente», dico, facendo finta di niente. «Sei proprio un brother, dai adesso muoviti che siamo già in ritardo, e mettiti una camicia», dice lui in modo sbrigativo. «Okay, però ho un assoluto bisogno di caffè», aggiungo, dirigendomi verso la camera da letto.
«Ci fermiamo sulla strada, adesso sbrigati», dice lui. Poco dopo siamo in autostrada diretti verso il lago, e dalle casse dello stereo della macchina suona l’ultimo singolo dei Muse, Dig Down. Il ragazzo di colore con cui ho suonato ieri sera si chiama VirgiL ABLoH ed è un designer e imprenditore statunitense, direttore creativo di Louis Vuitton dal 2018, che il New York Times quest’anno ha nominato tra le venti persone più influenti del mondo.