Tutti contro Milano: la fine della favola di Pisapia e Sala?

Affitti alle stelle, precariato, povertà, delinquenza. Milano da metropoli all'avanguardia è dipinta come una Gotham City padana. La città pare essersi così svegliata bruscamente dal sogno del Place to be turbato "solo" dalla pandemia.

Tutti contro Milano: la fine della favola di Pisapia e Sala?

«La mia città è così contemporanea. Moderna, dinamica, veloce. Così asettica e piena di design. In due parole: sushi & cocaina». Cantava così nel gennaio del 2015 il rapper Marracash, in questo brano intitolato, appunto, Sushi & cocaina, tratto dal suo quarto album Status, per descrivere “in quattro barre” il luccicante capoluogo lombardo, all’epoca alla vigilia dell’Expo e in procinto di diventare nelle classifiche internazionali il Place to be di qualsiasi cosa.

La retorica della Milano dormitorio

Sono passati otto anni – e una pandemia – e oggi Milano pare essere diventata un incubo. «Abitare dentro la circonvallazione ormai è elitarismo puro», ha scritto recentemente Ray Banhoff sull’Espresso. «Come New York ma senza essere New York, manco per cinque minuti e manco per sbaglio». Milano fu da bere viene descritta come una città che alle 21 si spegne, dove la movida molesta resiste solo sui Navigli o in Isola. Insomma un «grande dormitorio silenzioso in cui non c’è niente fuori dagli orari d’ufficio». Dove «trovi da pippare h24 e brutti localini coi cocktail annacquati più cari d’Italia, ma un bar prima delle 6 del mattino è quasi impossibile. Milano città del lavoro? Sì, nel senso che il lavoro diventa tutta la tua vita, non fai altro». Un quadro della città senza appello e senza sfumature, e proprio per questo più utile ad alimentare le solite polemichette uso social che restituire la complessità di una città, con tutti i suoi chiaro-scuri.

Tutti contro Milano: la fine della favola di Pisapia e Sala?
Piazza Duomo (Getty Images).

La storia della bidella Giuseppina, sebbene fake, squarcia il velo sul mercato degli affitti

Partita sui social, con i racconti tragicomici – quelli sì veri e documentati – di affitti e alloggi fuori dalla realtà, la nuova narrazione di Milano è stata poi ulteriormente alimentata dalla mezza bufala della bidella Giuseppina che preferisce fare la pendolare da Napoli perché a suo dire conviene. Una storia folle ma evidentemente verosimile visto che ci sono cascati quasi tutti e l’argomento ha monopolizzato il dibattito, social e accademico, per una buona settimana. E anche quando Giuseppina è stata smascherata, la valanga su Milano non si è fermata.

Perché la storia della bidella pendolare è un'occasione persa
Giuseppina, la bidella pendolare.

La svolta della rivoluzione arancione di Pisapia

Ma quando Milano, ormai dimenticati gli Anni 80, era tornata ad alzare la testa? Più o meno, 12 anni fa. A Palazzo Marino sedeva Giuliano Pisapia, l’uomo della “rivoluzione arancione”, che era riuscito a strappare la guida della Capitale morale dalle mani del centrodestra dopo 18 anni. Milano stava vivendo una vera e propria rinascita sperimentando nuove forme di mobilità, ridisegnando il proprio profilo grazie a grattacieli avveniristici e contemporaneamente recuperava fabbriche o cascine dismesse come nuovi spazi di incontro. Porta Nuova era uno dei simboli di quella rinascita: ex quartiere proletario sorto sulle ceneri di un vecchio Luna Park accanto a Isola, diventò improvvisamente cool e in piena fase di gentrificazione. Nella stessa zona sorgeva il Samsung District e perfino Google aveva scelto di trasferirsi da quelle parti. Al centro svettava la nuova piazza dedicata a Gae Aulenti con la Torre Unicredit di Cèsar Hines e a pochi metri di distanza il fiore all’occhiello, progettato da Stefano Boeri, il Bosco Verticale.

Tutti contro Milano: la fine della favola di Pisapia e Sala?
Giuliano Pisapia (Getty Images).

Sala, sindaco testimonial 

Quel periodo di visionario ottimismo è riassunto in un libro, scritto dallo stesso Pisapia ed edito da Rizzoli, intitolato Milano città aperta. Il racconto di un nuovo modo di fare politica attraverso la descrizione del cambio di passo di una città che aveva cominciato a correre. Seguiranno l’Expo, l’apertura della Fondazione Prada, la nascita del fenomeno Nolo, quartiere immaginario diventato improvvisamente alla moda. Un processo che si era concluso con l’avvicendamento a Palazzo Marino tra l’avvocato Pisapia e il manager Giuseppe Sala (per tutti semplicemente Beppe) che, proseguendo sulle orme del predecessore, ha dato forma compiuta al cosiddetto “modello Milano”, proiettando il capoluogo lombardo nell’Olimpo della coolness. Più di un sindaco, Sala si è trasformato in testimonial della città grazie a una comunicazione super-social moderna e postmoderna, online e offline. Milano del resto «è la città più città di tutte» come teorizza Sala nel suo libro, Milano e il secolo delle città (La nave di Teseo).

Le critiche di Provenzano contro una città che «attrae ma non restituisce»

Nel 2019 però qualcosa ha cominciato a scricchiolare. Per l’ex ministro del Sud Beppe Provenzano «questa città attrae ma non restituisce». «Milano è una città stato, un emirato felice, ma oggi è anche una bolla all’interno della quale sta lievitando un male oscuro: il bluff di una nuova superiorità antropologica», scriveva Michele Masneri sul Foglio, iniziando a criticare Beppesala (tutto attaccato), che apre la sua coda di pavone: si mette su IG con le calze arcobaleno, partecipa a tutti i gay Pride, si occupa di distribuire borracce d’acqua per sensibilizzare la popolazione sull’annoso problema della plastica e intervista i rapper, prima Marracash, poi Ghali, poi addirittura Jovanotti.

Era l’apice del “Fenomeno Milano” ma poi è arrivato il Covid e l'infelice campagna #Milanononsiferma.
Piazza Duomo durante il lockdown (Getty Images).

Così Milano si è risvegliata dal sogno del Place to be

Era l’apice del “Fenomeno Milano” ma poi è arrivato il Covid e l’infelice campagna #Milanononsiferma. E invece si è fermata eccome. E lì sono iniziati i guai. La città si è svuotata. Il south working, letteralmente il lavoro da remoto per aziende fisicamente collocate nell’Italia del Nord, ha preso sempre più piede. Beppe Sala però non ha mollato, dal suo ufficio tutte le mattine dava il buongiorno alla città sulla sua pagina Instagram (format che oggi è diventato un podcast intitolato Buongiorno Milano e prodotto da Chora), buttando acqua sul fuoco. E ha funzionato. Con lo slogan Milano sempre più Milano ha conquistato il secondo mandato. La città però sembra tutt’altro che Milano. L’opposizione continua a dipingerla come una sorta di Gotham City padana covo di delinquenti. Qualcuno la paragona addirittura alla violentissima New York degli Anni 80. Sono sempre più numerosi gli episodi di risse tra giovani che, pagando più di tutti il peso della pandemia, cercano ogni modo possibile per sentirsi vivi. Accadono i fatti terribili delle violenze sessuali in Piazza Duomo di Capodanno 2022 e il sindaco schiera 500 vigili e nuove telecamere. L’opposizione accusa: «La città paga problemi irrisolti». E poi c’è la povertà. Le code che si allungano davanti all’associazione Pane Quotidiano, a un passo dall’avveniristico campus Bocconi, e alla Caritas. L’occupazione è sì ripresa dopo la pandemia ma spesso i redditi non bastano ad arrivare a fine mese, complice anche il caro bollette, il precariato, lo sfruttamento. Non stupisce dunque che, come ha ricordato Presa Diretta, la spesa sociale del Comune sia di 250 milioni l’anno. La favola del Place to be, della mobilità sostenibile, delle ciclabili per tutti, dei diritti per tutti, dell’accoglienza festosa, si è semplicemente rivelata per quello che è: una favola. A cui i milanesi di nascita e di adozione, almeno fuori dalla circonvalla e dal fortino di City Life, hanno smesso di credere già da un po’.