Vent’anni dopo, per seguire quel vecchio consiglio, bisognerebbe buttarsi su Netflix. Spieghiamo: era maggio 2003 quando Inter e Milan si ritrovavano in semifinale di Champions League e allora il panorama sembrava così diverso rispetto a quello che accoglie la sfida della prossima settimana. E gli spagnoli, che col Real Madrid esprimevano la quarta semifinalista (contro un’altra italiana, la Juventus) non perdevano occasione per manifestare disprezzo verso il nostro modo d’intendere il calcio: avaro, speculativo, opportunista, più qualsiasi altro aggettivo della spregevolezza che si potesse mettere nella lista. Praticamente l’anti-calcio, ai loro occhi da esteti un po’ troppo boriosi. Sicché fu a partire da questa visione delle cose, da questa rappresentazione del nostro calcio come Male Assoluto, che nel giorno del derby milanese d’andata il quotidiano sportivo Marca titolò: “Stasera Inter-Milan: andate al cinema”.

La nostra crisi più che decennale tra il 2010 e il 2021
A distanza di due decenni sono cambiate molte cose, ma altre si ripresentano quasi identiche. Allora la Serie A esprimeva tre semifinaliste su quattro della principale coppa europea e pareva aver respinto, almeno quanto a risultati del campo, l’assedio della già ricchissima Premier League. Non ci si rendeva conto che il declino già incubava e che si stesse vivendo l’esaurirsi dell’onda lunga. Quell’onda si sarebbe arrestata proprio coi grandi successi in chiusura di decennio: la vittoria Mondiale della Nazionale di Marcello Lippi a Germania 2006 e le due ultime affermazioni in Champions conquistate giusto dalle squadre milanesi (Milan 2007, Inter 2010). Nel mezzo c’è stato un lungo digiuno interrotto appena dall’illusoria vittoria della nazionale di Roberto Mancini all’Europeo del 2020 (giocato nel 2021 per la pandemia). Invece nel frattempo gli spagnoli hanno vinto un Mondiale e due Europei, mentre i loro club hanno continuato a dominare le coppe europee. Ma vent’anni dopo ci si ritrova punto a a capo: una semifinale milanese e il Real Madrid a doversi giocare l’altra, stavolta non con la terza italiana ma con la superstite inglese (il Manchester City).

Ora non disprezzano più il nostro calcio, anche per Ancelotti
Anche in questa occasione i quotidiani spagnoli consiglieranno ai lettori di andare al cinema o di guardarsi un film in streaming, anziché mettersi davanti alla tivù per vedere la stracittadina europea del Meazza? Probabile che si mostrino più cauti, per diversi motivi. Innanzitutto perché vent’anni fa tanta spocchia non portò bene al Real Madrid, eliminato dalla Juventus al termine di un doppio confronto di altissimo livello che dimostrò come il calcio italiano non fosse soltanto catenaccio. In secondo luogo, perché le stesse merengues sono allenate da un italiano, Carlo Ancelotti, dunque non è proprio il caso di proseguire con le contumelie. Infine, perché magari gli spagnoli ci disprezzeranno ma non hanno mai smesso di temerci. Per loro il calcio italiano, oltreché brutto e noioso, è anche infido. Meglio non darlo mai per morto, come del resto dimostrano i dati di questa stagione europea: cinque squadre italiane in semifinale – su 12 partecipanti rimaste, quasi la metà – nelle tre coppe europee, e già adesso una finalista certa in Champions. La esprimerà il derby milanese, la gara che vent’anni fa i telespettatori spagnoli avrebbero dovuto snobbare.

Riscossa o no? Servirebbe un po’ di sano realismo
Ma è vera gloria? Il dato delle cinque squadre della nostra Serie A che giungono al penultimo atto delle rispettive coppe è da anni d’oro, sicché sa un po’ di atteggiamento da guastafeste porsi il dubbio. Eppure un atteggiamento di sano realismo è da tenere d’ufficio. Il nostro calcio continua a essere malaticcio e i reiterati stenti della nazionale azzurra stanno lì a rammentarlo. E se si guarda al cammino delle nostre semifinaliste, si continua a percepire un senso di straniamento. A cominciare proprio dalle due milanesi, che fra campionato e coppe hanno vissuto una stagione ricca di contrasti. I tifosi rossoneri e nerazzurri continuano a essere increduli, specie se guardano alle oscillanti sorti in campionato. Dove entrambe sono rimaste quasi subito tagliate fuori dalla lotta per lo scudetto, con prospettiva che almeno una delle due rimanga esclusa dai piazzamenti Champions. Del resto, basterebbe guardare a come oscilli il borsino dei pronostici per capire quanto mutevole sia la stagione delle due squadre. Soltanto tre settimane fa, dopo la conclusione dei quarti di Champions, gli umori erano nettamente sbilanciati dalla parte milanista. Ma le ultime settimane di campionato hanno ribaltato la situazione e adesso è l’Inter a arrivare con l’umore giusto al doppio confronto. Tutto ciò per dire che nessun indicatore può essere veritiero, specie a questo punto della stagione. Questo Inter-Milan di Champions è un derby di rottura.

Il tratto comune: la capacità di soffrire e portare a casa il risultato
E di rottura è anche la presenza delle altre tre italiane in semifinale. Juventus e Roma in Europa League, Fiorentina in Conference League. Affronteranno rispettivamente Siviglia, Bayer Leverkusen e Basilea. Arrivano tutte quante al traguardo in coda a stagioni contraddittorie, fatte di fasi alterne, persino con prospettive ancora incerte come nel caso della Juve. Ma sono lì. E al di là dei casi singoli, il tratto comune è la capacità di soffrire e portare a casa il risultato. Ciò che per decenni è stata la vera, grande dote del nostro calcio. Quella che i portatori di un’idea estetizzante di calcio detestano così tanto. Negli anni più recenti pareva avessimo perso anche questo tratto identitario. L’ultima stagione di coppe europee ci dice che forse lo stiamo ritrovando. Sarebbe una buona notizia.