Milan e Inter fuori dalla lotta scudetto già a gennaio: una situazione impronosticabile a inizio stagione, che vedeva i rossoneri ai nastri di partenza con il tricolore sul petto e i nerazzurri favoriti, in quanto usciti dal mercato con la conferma dei big e il ritorno di Romelu Lukaku. Eppure è così. Milan e Inter distano rispettivamente 12 e 13 punti dal Napoli campione d’inverno e, presumibilmente, prossimo campione d’Italia. Le ragioni dei flop delle formazioni milanesi sono molteplici.
Il Milan dell’anno scorso non c’è più: quanti grattacapi per Pioli
Dopo lo scudetto conquistato in rimonta l’anno scorso, il Milan sembra aver esaurito le motivazioni. O, forse, semplicemente la benzina. Il Diavolo battagliero del 2022 non c’è più: il 4-0 subito contro la Lazio, passivo più pesante dall’Atalanta-Milan 5-0 del 22 dicembre 2019 (partita spartiacque nella storia recente del rossonera), certifica solamente una crisi che era sotto gli occhi di tutti. Dalla sosta, il Milan ha vinto a Salerno e pareggiato contro Roma e Lecce, uscendo nel frattempo dalla Coppa Italia contro il Torino. Una settimana fa, in Arabia Saudita, ha inoltre subito una lezione di calcio nel derby di Supercoppa italiana, vinto 3-0 dall’Inter. I rossoneri sono in crisi di gioco e identità.

L’allenatore Stefano Pioli parla di momento delicato, ma probabilmente è ben conscio di avere tra le mani una rosa tutto sommato normale, se non deficitaria in certi ruoli, che l’anno scorso ha compiuto un’impresa calcistica vincendo il titolo. Sulla fascia destra non si scappa: Saelemaekers o Messias, dopo aver inseguito a lungo Ziyech, non sono a un livello sufficientemente alto. La dirigenza lo sa e per questo punta forte su Nicolò Zaniolo, nella speranza che non si bruci come un’altra testa calda, Mario Balotelli. Franck Kessié non è stato sostituito e manca sempre il bomber da 20 reti. Olivier Giroud, finalista del Mondiale, è attualmente un fantasma, al pari del connazionale Theo Hernandez. Mike Maignan è fuori da tempo e al suo posto in porta gioca Ciprian Tatarusanu: non è proprio la stessa cosa. Non pervenuto Charles De Ketelaere, che doveva essere il grande colpo del Milan, una sorta di Kakà delle Fiandre pagato 35 milioni di euro: i numeri ci sono, giurano gli addetti ai lavori, ma l’intristito belga non li ha mostrati. Latitante CDK, il Milan si ritrova a sperare che Rafael Leao sia quello delle ultime giornate dello scorso campionato. Buonanotte.
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— Fra Campionessa d’Italia 🦋🇮🇹 (@RedandBlack22) January 23, 2023
Una stagione sulle montagne russe per la pazza Inter: Inzaghi adesso rischia
Non dorme sogni tranquilli Simone Inzaghi, che nonostante la vittoria in Supercoppa è sicuramente più vicino alla graticola di Pioli, il quale può usufruire ancora del bonus scudetto. Ha a disposizione una rosa più ampia del collega, ma non è abilissimo nelle rotazioni, come hanno dimostrato le scelte effettuate durante la sciagurata partita contro l’Empoli, valsa la sesta sconfitta nel girone d’andata. Henrikh Mkhitaryan, Matteo Darmian, Federico Dimarco e soprattutto Nicolò Barella avrebbero avuto bisogno di riposo e invece hanno giocato. Inzaghi prima ha schierato Joaquìn Correa, impalpabile, poi in 10 uomini all’intervallo lo ha sostituendolo con Raoul Bellanova, disastroso: un attaccante per un terzino, lasciando Lautaro Martinez troppo isolato davanti.

L’Inter è in generale alle prese con un delicato momento societario, in cui l’amministratore delegato Beppe Marotta e i suoi collaboratori devono fare le nozze con i fichi secchi. Tenere i big è stato un successo (ma Milan Skriniar se ne andrà, direzione Psg), però il cavallone di ritorno Lukaku fino al momento non si è visto. Anche in casa nerazzurra c’è la questione spinosa del portiere: il titolare è adesso André Onana, ma Samir Handanovic in età pensionabile rimane sicuramente (con tutti i suoi limiti) migliore. In tutto questo si inserisce l’assenza di Marcelo Brozovic, pesantissima per una squadra che non riesce a cambiare spartito ma che non ha problemi, come insegna la sua storia, a essere pazza. L’Inter ha alzato un trofeo schiantando il Milan e ha superato un complicatissimo girone di Champions league con Bayern Monaco e Barcellona, ma in campionato ha già perso sei volte, pareggiando appena una volta in 19 gare.

La Supercoppa nel deserto arabo: ce n’era davvero bisogno?
Merita un paragrafo a parte la Supercoppa. Pur di racimolare qualche soldo, la Lega l’ha “piazzata” a Riad, a un mese da un Mondiale già disputato nel deserto: le squadre, costrette a una trasferta che certamente si poteva evitare, sono tornate cotte. La Supercoppa italiana, nel corso dei decenni, è stata giocata negli Stati Uniti, in Libia, in Cina e in Qatar. In base a un accordo firmato cinque anni fa, nel 2019, 2020 e 2023 appunto è stata disputata in Arabia Saudita: nei prossimi tre anni un’altra edizione dovrà disputarsi a Riad. Tutto questo per un pugno di soldi arabi. Il contratto siglato dalla Lega con il ministero dello Sport saudita e la Sela Sport, che si occupa dell’evento, prevede infatti un assegno complessivo da 7,5 milioni, da spartire tra i due club impegnati. Ma l’Arabia ha proposto un rinnovo alla Serie A da 23 milioni a stagione per sei anni: l’offerta, che triplica l’attuale contratto, prevede un torneo a quattro squadre sul modello spagnolo, più una sfida con la vincitrice del torneo locale. Una pessima idea e per questo verrà messa in atto.

La Juventus, penalizzata di 15 punti, sarebbe comunque lontana dalla vetta
La débâcle meneghina si accompagna alla penalizzazione della Juventus, un -15 che ha di fatto estromesso i bianconeri dalla lotta per la qualificazione alla Champions league. Ma solo da quella: perché l’addio alle ambizioni scudetto, dopo il filotto di otto vittorie con zero gol subiti, era stato certificato dalla cinquina patita dal Napoli il 13 gennaio. Una sconfitta senza appello, seguita una settimana dopo da quella inflitta dalla Corte, questa sì d’Appello. Di fatto, al giro di boa il campionato è morto e sepolto: mai tra prima e seconda c’era stato un vantaggio così ampio.
Serie A, un campionato dallo scarso appeal: com’è diventato scontato il nostro calcio
Ai tifosi napoletani interesserà poco, ma lo scarso appeal del campionato non è cosa buona e giusta, in ottica diritti televisivi e dunque finanziaria. Interesserà certamente di più al presidente partenopeo Aurelio De Laurentiis, sempre sensibile a certi temi. Sui social sta tra l’altro infuriando la campagna bianconera per la disdetta degli abbonamenti sottoscritti con Dazn, piattaforma per una volta incolpevole ma già più volte nell’occhio del ciclone per i noti disservizi. Cosa ci rimane da qui a fine stagione? La lotta Champions coinvolge, oltre alle milanesi, Lazio, Roma e Atalanta. Sono in cinque per tre posti. Le altre due andranno in Europa league. Zero sorprese quest’anno: l’Udinese si è sgonfiata, la Fiorentina vivacchia senza guizzi, il Toro non ha altro oltre al cuore, la super Salernitana della rimonta-salvezza non si è rivista. E nemmeno il Monza di Berlusconi-Galliani sta suscitando particolari emozioni. A questo si aggiunge una (si fa per dire) lotta salvezza che vede le ultime due già staccatissime. La Cremonese non ha ancora vinto una partita, mentre la Sampdoria è la prima squadra della Serie A a 20 squadre a chiudere sotto i 10 gol il girone d’andata: ne ha segnati appena 8. L’Hellas Verona, a 12 punti, conserva ancora qualche speranza.

Gli straordinari numeri del Napoli capolista: 50 punti al giro di boa
Da qui alla fine, il Napoli dovrà solo gestire uno scudetto impossibile da perdere. E, sia chiaro, le disavventure altrui non possono in alcun modo sminuire quanto sta facendo la squadra guidata da Luciano Spalletti. Dopo la delusione per il tricolore sfiorato della passata stagione e le partenze dolorose di diversi big, è ripartito alla grandissima, stupendo l’Europa intera a suon di gol. Il Napoli ha terminato il girone d’andata a 50 punti (solo una sconfitta, con la pazza Inter). Poche squadre hanno raggiunto in passato questa quota. Il record appartiene alla Juventus 2018/2019 di Massimiliano Allegri, che girò a 53 punti. Quella del 2013/14, allenata da Antonio Conte, chiuse il girone di andata a 52, chiudendo poi il campionato a 102: record. La stessa quota a metà stagione aveva raggiunto la Juve 2005/06, con Fabio Capello in panchina e prima di Calciopoli. Appena dopo, l’Inter 2006/07 allenata da Roberto Mancini era arrivata a 51. In tutti i casi, le squadre citate hanno vinto poi lo scudetto. Almeno sul campo. I napoletani sono liberi di toccare ferro o ciò che meglio credono.