Milan e Inter si affrontano a San Siro in un euro derby di Champions League che tiene Milano con il fiato sospeso. La prima volta era accaduto il 6 maggio del 2003, vent’anni fa, e sul Corriere della Sera campeggiavano le interviste a due tifose doc: Natalia Estrada per i rossoneri, Luisa Corna per i nerazzurri. Tanto per dire. Pare trascorsa un’era geologica. Le storie dei derby milanesi però sono svariate e la rivalità stracittadina negli anni ha raccontato sfide epiche. Il Milan fu fondato nel 1899 nei locali bui e silenziosi di in una fiaschetteria toscana in via Berchet, da un gruppo di inglesi che vivevano a Milano. Aveva già vinto tre titoli da campione d’Italia quando, proprio nel 1908, un gruppo di tifosi rossoneri con vedute divergenti dal resto della società abbandonò il club per formare un’altra squadra. L’Inter, appunto. Fu un pittore, Giorgio Muggiani, il primo “ribelle” che diede il via alla scissione il 9 marzo, in una saletta fumosa del ristorante Orologio che sorgeva dietro al Duomo.

Corso Monforte e Porta Vittoria erano nerazzurre, Porta Ticinese o Porta Genova milaniste
Il calcio di allora, giocato a livello dilettantistico, era a una distanza siderale da quello miliardario di oggi e per chi lo praticava era poco più che un hobby. In squadra ci trovavi il dentista, il lattaio, l’allevatore di polli. Gente che arrivava magari seduta uno di fianco all’altro in tram, con la divisa sotto il soprabito. Gli stipendi erano di 100 lire al mese, un vestito costava 12 lire, un uovo 5 centesimi, una buona colazione in una trattoria una lira. Il tifo all’epoca si divideva per quartieri, per esempio Corso Monforte e Porta Vittoria erano di dominio nerazzurro, Porta Ticinese o Porta Genova invece erano a maggioranza rossonera. Un tempo i membri dei due clan erano riconoscibili dalla faccia, dall’abbigliamento, dal vocabolario, dall’accento. Si era interisti o milanisti (e lo si è anche oggi) per eredità, perché era interista il padre, perché era milanista un parente, che magari ti aveva portato a vedere per la prima volta la partita.

Di qua l’epopea berlusconiana, di là l’orgoglio «mai in B» e Triplete
Da sempre diverse sono anche le due visioni filosofico-imprenditoriali che contraddistinguono il derby milanese. Il Milan, la prima squadra italiana ad aver alzato una Coppa dei Campioni nel 1963 a Wembley, ha sempre fatto vanto del suo Dna europeo. L’Inter, l’unica squadra italiana a non essere mai retrocessa in B, dal canto suo, è anche l’unica ad aver realizzato l’impresa del Triplete, nel 2010, vincendo tutto quello che c’era da vincere in una stagione: campionato, Coppa Italia e Champions League. I milanisti erano i casciavit, gli interisti i bauscia. Da una parte i lavorati duri e puri, dall’altra gli sbruffoni. Pochi sanno che inizialmente erano i milanisti a essere considerati i cosiddetti sciuri, mentre era facile che gli immigrati napoletani o salernitani, provenienti dai ceti popolari, fossero di fede interista. Questa tradizione venne più volte sovvertita nel tempo: gli operai del Milan, i padroni dell’Inter. A sinistra il Milan, a destra l’Inter, fino all’arrivo di Silvio Berlusconi che nel 1986 acquistò la società rossonera e che con la sua discesa in campo, nel ’94, sconvolse nuovamente la tradizione, raffreddando gli animi di parecchi tifosi e scaldando contemporaneamente i cuori di altri.

Spese pazze e morattismo, Inter vuol dire soffrire
Milan infatti per anni è stato sinonimo di berlusconismo sfrenato: elicotteri, cavalcata delle valchirie suonata a mille ai raduni estivi, moduli ad albero di Natale, la società vissuta come una famiglia da giocatori che spesso sono diventati o dirigenti o allenatori. La storia dell’Inter invece è contraddistinta da un morattismo estremo, quasi leopardiano, fatto di spese pazze e allenatori cambiati vorticosamente uno dopo l’altro. Inter vuol dire soffrire, e tal volta dalla sofferenza nasce il genio. Non per niente la più talentuosa generazione di comici degli ultimi anni è tutta di fede nerazzurra, e parliamo di gente come Michele Serra, Aldo Giovanni e Giacomo, Bertolino, Paolo Rossi, Fiorello, Gino e Michele. Tanto per citarne alcuni. Ma anche i milanisti sanno cos’è la sofferenza quindi: Jannacci, Abatantuono, Bisio, Teocoli, Cochi e Renato.

Il Milan in B due volte, «una pagando, l’altra gratis»
Milan è perdere una finale di Champions dopo essere andati in vantaggio 3-0 (Istanbul, l’incubo contro il Liverpool nel 2005). Inter è vincere una Champions e a fine partita vedere, letteralmente, il proprio allenatore andare via sull’auto del Real Madrid, come accadde all’amato José Mourinho. Milan vuol dire fallimenti e una sfilza di presidenti in galera. Andare in B due volte, «una pagando, l’altra gratis». Inter è vincere scudetti a tavolino urlando «onestà» come dei grillini ante-litteram, ma anche perderne alcuni già cuciti sul petto, come accadde il 5 maggio del 2002. Il milanista cade ma è capace di risorgere, l’interista è vittima di una sorta di godimento quasi masochistico nel perdere e contemporaneamente nel rimembrare i successi del passato: Sarti-Burgnich-Facchetti.

Kakà con giacca e occhialetti o i dentoni di Ronaldo il Fenomeno?
Milan è Gianni Rivera e il “paròn” Nereo Rocco, Inter è il “taca la bala” di Helenio Herrera e Sandro Mazzola. Milan è Arrigo Sacchi, Inter Josè Mourinho. Milan sono due coppe campioni consecutive con gli olandesi Van Basten, Gullit e Rijkaard, Inter è lo scudetto dei record con i tedeschi Matthaus, Klinsmann e Brehme. Milan è Kakà in giacca e cravatta e con gli occhialetti, Inter è la testa rasata e i dentoni di Ronaldo, detto il Fenomeno. Milan è la cravatta gialla e le esultanze tutte matte di Adriano Galliani in tribuna, Inter è l’ironia dell’avvocato Prisco che dichiarava: «Quando stringo una mano a un milanista me la lavo, quando stringo una mano a uno juventino mi conto le dita».
