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Mikhailo Podolyak, chi è il generale della comunicazione ucraina

Arrivato alla Bankova nel 2020, è diventato braccio destro di Zelensky. Ed è il regista della propaganda di Kyiv. Dall’inizio della carriera giornalistica in Bielorussia al ritorno in Ucraina, fino ai contatti con gli oligarchi, chi è Mikhailo Podolyak.

15 Dicembre 2022 18:03 Stefano Grazioli
Mikhailo Podolyak, chi è il generale della comunicazione ucraina

Se Sergei Zaluzhny, il capo delle forze armate ucraine, è lo stratega sul campo, Mikhailo Podolyak è quello della comunicazione e della propaganda. Ufficialmente è entrato alla Bankova nell’aprile del 2020, un anno dopo l’elezione di Volodymyr Zelensky, con l’incarico di advisor del capo dell’Amministrazione presidenziale Andrei Yermak, anche lui fresco di nomina e vecchio amico di Zelensky agli inizi della sua carriera televisiva. Podolyak da quasi tre anni è il regista della campagna politico-mediatica che ha portato il presidente a spostarsi da posizioni moderate nei confronti della Russia – nel primo anno di mandato cercava ancora il compromesso con Mosca – a quelle più intransigenti. Fino ad arrivare a oggi, con Kyiv che pone come condizione per un negoziato il ritiro delle truppe russe dall’Ucraina, Crimea compresa.

Le condizioni di Zelensky e Podolyak per un negoziato

Dopo nove mesi di guerra, con la situazione militare in sostanziale stallo nel Donbass e sul fronte meridionale, la linea di Kyiv – cioè quella di Zelensky e Podolyak – può essere riassunta da un tweet postato dal “generale della comunicazione” il 20 novembre scorso: «Come sedersi al tavolo delle trattative? Tre passi: 1) Smettere di lanciare missili contro un Paese sovrano; 2) Ritirare le truppe dal territorio di un Paese sovrano; 3) Ritornare al diritto internazionale, dove sono stabiliti i confini dei Paesi».

"Ru-IQ"… A simple test. How to sit down at the negotiation table? Three steps:

1. Stop firing missiles at a sovereign country.
2. Remove troops from the territory of a sovereign country.
3. Return to international law, where borders of countries are prescribed.

Is it hard?

— Михайло Подоляк (@Podolyak_M) November 20, 2022

 

In altre parole si chiede in sostanza al Cremlino di tornare indietro per poi negoziare, slegando quindi l’idea di tregua o di pace dalla situazione reale sul campo, mentre il nucleo della trattativa nel conflitto non può evidentemente prescindere dalle posizioni del momento, qualsiasi esso sia.

Gli inizi in Bielorussia e la carriera fulminante nel giornalismo

Podolyak è un professionista dell’informazione, della propaganda nelle sue varie sfumature, dal bianco al nero. Nasce come giornalista, dopo aver seguito anche gli studi di medicina. Negli Anni 90 lavora in Bielorussia, poi all’inizio del decennio successivo torna in Ucraina, a Leopoli, sua città natale. Classe 1972, sulla sua famiglia si sa poco. Voci non confermate dicono che suo fratello maggiore Vladimir sarebbe finito già dagli Anni 80 in Russia al servizio del Kgb o del Gru, l’intelligence militare. Grazie a lui si sarebbero aperti e sviluppati quei canali privilegiati che Podolyak si è sempre vantato di avere, non solo a Mosca. Ai tempi di Minsk, quando era arrivato a dirigere poco più che 20enne il quotidiano Pravda del leader del Partito liberaldemocratico bielorusso Sergei Gaidukevich, il suo editore lo ricordava più filorusso di Alexander Lukashenko, salvo poi cambiare casacca all’occasione successiva, mosso da offerte economiche più vantaggiose.

 Tutto nero, dal lato del guidatore l’effigie stilizzata di Mussolini e sulla motrice la scritta «Il Duce». Un tir in Canal Grande a Venezia ha attirato l’attenzione e l’indignazione di cittadini, lavoratori, consiglieri comunali, comitati. Ci è arrivato su una chiatta, che ha ormeggiato davanti all’Hotel Bauer per portare via arredi e altri materiali in vista della poderosa ristrutturazione decisa dalla proprietà, l’austriaca Signa dell’imprenditore Renè Benko , che in due anni e mezzo rinnoverà offerta e comfort e nel frattempo lascerà a casa 200 dipendenti, per i quali è stata avviata la procedura di licenziamento. La trattativa con Confindustria al pomeriggio, al mattino compare il Tir. «No ghe credo», ridono gli autori del video diventato virale. Letteralmente: «Non ci credo». La replica del Bauer e la condanna dell’Anpi «Il tir nostalgico è di un trasportatore esterno e lo abbiamo fatto rimuovere. No comment. Mi dispiace moltissimo», fanno sapere dalla direzione del Bauer. Cittadini, lavoratori, comitati nel frattempo che il camion si allontanava, chiamavano le forze dell’ordine: quando le divise sono arrivate sul posto, il mezzo si era già “dileguato”. Ora si indaga per eventuale apologia del fascismo. Eventuale perché la legge Scelba nell’applicazione giurisprudenziale dice che l’apologia si configura quando l’esaltazione dei simboli è atta innescare la ricostituzione del regime dittatoriale. «È una evidente esaltazione apologetica del massimo esponente del fascismo che l’Anpi condanna con fermezza e che sarà oggetto di denuncia – sillaba la presidente locale dell’associazione partigiani Maria Cristina Paoletti - Dobbiamo constatare che nel nuovo clima politico vi è chi manifesta le proprie pulsioni nostalgiche in modo sempre più sfrontato sfregiando l’immagine di una città di forte tradizione antifascista come Venezia». «Vergogna inaccettabile» Dal Pd, la segretaria veneziana Monica Sambo parla di «Vergogna inaccettabile». «Non si capisce come possa avere transitato indisturbato sino a Venezia per poi addirittura essere trasportato sul Canal Grande. Evidentemente nel clima generale delle forze di destra che Governano si pensa che queste cose possano essere concesse», ipotizza. La stessa domanda la pone Claudio Odorico, sindaco civico di centrodestra di Concordia Sagittaria, città dove ha sede la ditta Obiettivo Trasporti proprietaria del tir: «Come hanno fatto ad arrivare a Venezia indisturbati, girando in autostrada?», si interroga. La ditta non risponde. Dal gruppo civico 25 Aprile il consigliere comunale di terra e Acqua Marco Gasparinetti annuncia che andrà a fondo sulle autorizzazioni rilasciate: «Quando c’era Lui, i tir arrivavano puntuali in Canal Grande?».
Mikhailo Podolyak (Getty Images).

La collaborazione con gli oligarchi ucraini: da Grib a Brodsyk fino a Onyshchenko

È così che Podolyak, entrato in contrasto con i bielorussi, finisce in Ucraina durante la rivoluzione arancione del 2004 e inizia a collaborare con oligarchi di medio taglio e dubbia fama, da Vadim Grib a Mikhail Brodsyk, tra l’altro editore del sito Obozrevatel. Dopo il naufragio arancione con la presidenza filoccidentale di Victor Yushchenko, a Kyiv sale al potere il filorusso Victor Yanukovich e Podolyak si mette a lavorare per Sergei Levochkin, capo dell’Amministrazione presidenziale, rimasto dopo la rivoluzione di Euromaidan del 2014 dentro il partito dell’opposizione filorussa messo poi al bando da Zelensky nel 2022. Dopo il cambio di regime e la svolta filoccidentale collabora inoltre con Alexander Onyshchenko, altro oligarca vicino a Mosca finito sotto sanzioni dal 2021, prima di essere reclutato appunto da Zelensky nel 2020.

Mikhailo Podolyak, chi è il generale della comunicazione ucraina
Volodymyr Zelensky (Getty Images).

La linea dura contro la Russia e gli screzi con l’alleato Usa

Podolyak ha la fama insomma di fare molto bene il suo mestiere e di volerlo fare per chi offre maggiore prospettive. Alla Bankova è stato inizialmente in ombra, poi, quando sono cambiati gli ordini di scuderia e si è passati alla fase del muro contro muro contro la Russia sfociata nell’invasione decisa dal Cremlino, il suo ruolo è diventato fondamentale nell’economia della comunicazione di guerra. Con qualche rischio, visto che se a Kyiv la linea del tandem Zelensky-Podolyak non è messa in discussione, con gli alleati e gli sponsor dell’Ucraina qualche incomprensione c’è stata. Come sul missile ucraino caduto in Polonia che per 12 ore ha tenuto il mondo con il fiato sospeso: Podolyak ha scelto la tattica della negazione, continuando a incolpare la Russia insieme con Zelensky, mentre lo stesso presidente statunitense Joe Biden aveva già ‘scagionato’ il Cremlino. Se il giorno dopo la questione era già sparita dai media, gli attriti sottotraccia con Washington sono però rimasti.

Tag:Crisi ucraina
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